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Cosa bolle in pentola per il risk management in Italia?

Sono giorni molto intensi sul fronte del risk management nel nostro Paese. La scorsa settimana a Milano sono stati presentati i risultati dell’Osservatorio sul risk management nelle imprese italiane, realizzato da RiskGovernance in collaborazione con Anra e Confapi Industria. Questa settimana, invece, Insurance Connect ha cercato di analizzare lo scenario attuale riunendo i professionisti del settore durante il convegno dal titolo “Aziende, dai rischi alla sicurezza della polizza”.

Mi sembra interessante, quindi, fare alcune considerazioni sull’argomento. Senza soffermarmi sui numeri emersi dalla ricerca di RiskGovernance, già ampiamenti riportati in questo articolo, mi piacerebbe invece sottolineare altri spunti emersi al Politecnico di Milano, che mi trovano d’accordo e che allo stesso tempo mi hanno lasciato con alcuni dubbi irrisolti.

Quello che maggiormente è emerso ed è stato rafforzato dai risultati del sondaggio è la consapevolezza delle imprese di dotarsi di processi adeguati per analizzare, valutare e, se necessario, trasferire i rischi. Soprattutto tra le piccole e medie aziende questa tendenza è in costante aumento, a causa della complessità dei mercati dove sempre più queste realtà operano e della competitività degli stessi.

Ecco allora che il risk management in azienda sta cominciando a essere visto con occhi diversi: non come un costo al quale l’azienda è soggetta, ma come un vero e proprio investimento nella gestione dei rischi. Come tutti gli investimenti, anche quello nelle attività di risk management deve essere parametrato agli obiettivi dell’imprenditore. Ormai, infatti, è possibile valutare il ritorno economico di ogni azione, anche in ambito assicurativo, per ottimizzare gli investimenti e non disperdere risorse preziose.

In un panorama nel quale l’Italia è ancora relativamente indietro, con solo 80/90 milioni di euro spesi in attività di gestione del rischio contro i 350 della Germania, qualcosa si sta muovendo. Il problema, come spesso si sente dire ed è stato ribadito anche dal Presidente di Anra Alessandro De Felice, è culturale. E’ ancora difficile, per gli imprenditori italiani, capire la differenza tra il costo dell’assicurazione e il costo (o meglio, l’investimento) della gestione dei rischi.

La svolta, però, ci può e ci deve essere. I presupposti sono già tangibili e spetta ai professionisti intercettare le opportunità che il tessuto economico italiano offre. De Felice spesso cita la figura del risk manager in outsourcing e sono d’accordo con lui che questa sia una delle strade da seguire per offrire un servizio consulenziale di valore alle imprese.

Allo stesso tempo i cambiamenti normativi che riguardano la distribuzione assicurativa tendono sempre di più a creare modelli di società di intermediazione evolute, votate alla consulenza. Modelli nei quali si potranno costruire nuove formule di offerta al cliente, per portarlo a essere consapevole del valore delle azioni che sta intraprendendo. Non solo per proteggersi dalle paure del passato, ma anche per investire strategicamente per la solidità dell’azienda.





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