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Lavoro agile e flessibile = produttività?

Nell’era delle nuove modalità di lavoro subordinato sono sempre di più le aziende che introducono, all’interno della loro organizzazione delle risorse umane, la possibilità di usufruire di situazioni di flexible e/o smart working. Mentre in Italia si stanno cominciando a intravedere i primi risultati di questa nuova impostazione lavorativa, in altri Paesi si possono già tracciare importanti riflessioni.
Nel Regno Unito, è stata recentemente condotta una ricerca dall’ACAS, un ente che si occupa di assistenza e di consulenza in materia lavorativa. Quanto emerso lascia intendere che, come spesso accade, le intenzioni del legislatore non si riescano poi a incontrare le esigenze dei datori di lavoro. Se è vero che nel 2014 una normativa inglese aveva ampliato il diritto al lavoro flessibile a tutti i dipendenti che presentassero determinati requisiti, si è altresì constatato che le aziende non stanno facendo abbastanza per facilitare quei lavoratori che hanno necessità particolari di orario per assistere figli o genitori anziani.
E se da un lato le aziende sono ormai consapevoli dei diritti delle dipendenti donne in maternità, non si può dire altrettanto per gli uomini, che spesso non sono messi nemmeno al corrente di quanto gli spetta di diritto. Un esempio è dato dal lavoro part-time, che secondo la ricerca inglese è utilizzato dal 59% delle donne con figli, contro il 15% degli uomini.
Quello che servirebbe, per ottenere risultati concreti ed efficienti per le aziende, è un cambiamento culturale all’interno degli ambienti di lavoro. Nei quali la sensazione è che gli uomini osino di meno, ancorati alle abitudini del passato, quando devono richiedere maggiore flessibilità negli orari lavorativi.
Il supporto dovrebbe arrivare dai datori di lavori, sia attraverso programmi che incoraggino il lavoro flessibile nel momento in cui i lavoratori devono rientrare in azienda dopo dei periodi di inattività, sia organizzando al meglio l’offerta di flessibilità, che non dovrebbe essere più basata sulle richieste dei dipendenti, ma sulle effettive esigenze dell’azienda, che in questo modo potrebbe gestire al meglio la propria forza lavoro.
In questo modo la flessibilità potrebbe essere un’importante leva per aumentare la produttività delle aziende, stimolando e incentivando i dipendenti a fare meglio e riducendo le assenze per malattia. Gli stessi datori di lavoro, attraverso l’Associazione Britannica dei Responsabili delle Risorse Umane (CIPD, Chartered Institute of Personnel and Development), hanno dichiarato che nel 75% dei casi le nuove modalità di lavoro sopra citate hanno un impatto positivo sull’attrattività delle aziende nei confronti dei lavoratori e sulle motivazioni che spingono questi ultimi a rimanere nel proprio posto di lavoro.
Lo stesso Chartered Insurance Institute, per quanto riguarda il mercato assicurativo, ha emanato le sue linee guida, con alcuni suggerimenti pratici per incentivare il flexible working. Specificando come questo possa essere messo in pratica in ogni settore in modo diverso, in base alle proprie peculiarità.
Ovviamente, essendo l’obiettivo delle aziende quello del profitto, in molti casi è difficile conciliare tutte le esigenze. Ma come visto, sia gli organi legislativi che varie associazioni si stanno muovendo per promuovere un concetto fondamentale per la società moderna: quello di un ambiente di lavoro sostenibile e allo stesso tempo produttivo, che permetta ai datori di lavoro di organizzarsi senza costi eccessivi e ai dipendenti di poter gestire il proprio tempo in modo efficiente.

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