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La nuova RITA dopo la Legge di Bilancio 2018

Come di consueto, con l’ultima Legge di bilancio (2018) il legislatore non ha perso l’occasione per introdurre alcuni aggiustamenti e riforme nelle materie più disparate, fra cui non poteva certo mancare il tema delle pensioni.
Per quanto riguarda la previdenza complementare, una delle novità più rilevanti che ha attratto la mia attenzione è stata quella relativa alla “Rendita integrativa temporanea anticipata – Rita”, la quale potrebbe essere oggetto di alcune critiche, soprattutto dopo che il legislatore ne ha attribuito ancor più importanza inserendola a pieno titolo fra le prestazioni erogabili dai Fondi pensione indicate all’art. 11 del c.d. Testo Unico sulla previdenza complementare (D.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252).
Al di là delle anticipazioni delle posizioni individuali maturate, questa norma prevedeva che le prestazioni pensionistiche complementari in regime di contribuzione definita e di prestazione definita potessero essere ottenute dall’aderente soltanto in forma di rendita oppure di capitale, ma in quest'ultimo caso non oltre la metà del montante finale accumulato.
Il motivo sembrerebbe semplice: la previdenza complementare aveva (ed ha tuttora) lo scopo di garantire alla fine della vita lavorativa maggiori disponibilità utili ad integrare le prestazioni pubbliche e, dunque, a mantenere un tenore di vita adeguato durante la vecchiaia. Per far ciò, bisognava evitare che l'aderente potesse cedere alla tentazione di vanificare lo scopo perseguito, ritirando in forma di capitale l'intero montante contributivo, col rischio di rimanere poi con la sola pensione pubblica (probabilmente inadeguata al suo tenore di vita) dopo aver sperperato quanto erogato dal fondo pensione.
Ebbene. Questo principio sembrava essere stato scalfito dalla legge di bilancio dell’anno precedente (quella per il 2017), la quale – dando vita alla Rita – aveva introdotto in via sperimentale un istituto innovativo che andava ad aggiungersi alle prestazioni già erogabili ai sensi del T.U. sulla previdenza complementare.
Tale strumento consisteva proprio nell’erogazione frazionata anche dell’intero montante fino a quel momento accumulato, seppur a particolari condizioni: cessazione dal rapporto di lavoro, possesso dei requisiti per l'Ape, ecc.
Dopo gli “aggiustamenti” e le modifiche compiute con la legge annuale sulla concorrenza (art. 1, comma 38, lett. b), L. 4 agosto 2017, n. 124 che ha sostituito il 4 comma dell'art. 11 del T.U. sulla previdenza complementare), questa “eccezione” è stata definitivamente sdoganata dal legislatore, il quale, proprio con la legge di Bilancio 2018, ha reso strutturale tale previsione.
E così, secondo il nuovo comma 4 dell'art. 11 del T.U. sulla previdenza complementare, i lavoratori a cui manchino cinque anni dalla pensione e che abbiano almeno venti anni di contribuzione alle spalle potranno chiedere l'erogazione in tutto o in parte della prestazione delle forme pensionistiche complementari (con esclusione di quelle in regime di prestazione definita) «in forma di rendita temporanea denominata “Rendita integrativa temporanea anticipata” (Rita), decorrente dal momento dell’accettazione della richiesta fino al conseguimento dell'età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia e consistente nell'erogazione frazionata di un capitale, per il periodo considerato, pari al montante accumulato richiesto».
La Rita, così come rivista dal legislatore, potrà essere riconosciuta anche a quei lavoratori che risultino inoccupati per un arco temporale superiore a ventiquattro mesi e che maturino l’età anagrafica per la pensione di vecchiaia entro i dieci anni successivi.
Così facendo il legislatore avrebbe definitivamente garantito ad una parte di aderenti la possibilità di ritirare (seppur in maniera dilazionata) tutto il “gruzzolo” accumulato durante la loro iscrizione al fondo pensione, con il rischio di trovarsi durante la vecchiaia senza quelle ulteriori risorse finanziarie necessarie ad integrare le prestazioni previdenziali di primo pilastro.
Il che potrebbe far sorgere, per i motivi prima anticipati, alcuni dubbi in merito alla coerenza della Rita rispetto ai principi costituzionali di cui all’art. 38, co. 2, della Costituzione, a cui si ispira il sistema previdenziale pubblico e privato.
Sia chiaro, il pericolo è forse più teorico che pratico, in quanto l’erogazione della Rita resterebbe limitata a particolari circostanze (diremmo, di necessità) degli aderenti, a cui i Fondi pensione sapranno indicare le opzioni alternative che possano rispondere alle effettive esigenze degli iscritti.
Si tratta, insomma, di uno strumento molto utile per alcuni soggetti che potranno sperare in un temporaneo sostentamento (eventualmente insieme all’Ape) prima di poter raggiungere il traguardo della pensione, senza doversi affidare al sistema assistenziale pubblico già gravato di parecchi oneri.

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