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È l’ora dell’APE… forse

È ben noto come uno dei problemi fondamentali dei riformatori del sistema pensionistico sia sempre stato quello di stabilire il giusto equilibrio fra la realizzazione della tutela previdenziale e le esigenze di politica economica. Il che (come veniva evidenziato già nei vecchi manuali di previdenza sociale) non corrisponde soltanto all’ovvio problema della conciliabilità fra spese previdenziali ed esigenze di crescita economica, ma anche alla necessità che il sistema pensionistico non venga utilizzato per il raggiungimento di fini estranei a quelli suoi propri (ad esempio, per “esigenze elettorali”).
E probabilmente, proprio nella consapevolezza di tali problematiche, fu introdotta con la legge di Bilancio dell’anno scorso il famoso Anticipo pensionistico, il quale – nelle sue due principali versioni “sociale” e “volontaria” – avrebbe dovuto garantire un approdo sicuro soprattutto a coloro i quali avevano visto allontanarsi il traguardo della pensione a causa della “Legge Fornero”.
Tale soluzione sembra oggi acquisire maggiore importanza soprattutto in ragione del fatto che, secondo le ultime pubblicazioni dell’ISTAT di qualche giorno fa, la speranza di vita degli italiani sarebbe aumentata in ogni classe di età. In particolare, secondo l’Istituto di statistica, nel 2016 la speranza di vita «a 65 anni arriva a 20,7 anni per il totale dei residenti, allungandosi di cinque mesi rispetto a quella registrata nel 2013». Il che dovrebbe determinare (salvo deroghe) l’aumento dell’età pensionabile per i successivi anni, proprio come anticipato dal Governo durante la presentazione del ddl per la prossima legge di Bilancio (si parlava di un’età pensionabile di 67 anni a partire dal 2019).
Ma a che punto siamo con l’anticipo pensionistico? Questa misura sperimentale ha saputo alleviare in qualche modo le legittime aspettative dei prossimi pensionati?
La risposta è…non ancora e non a tutti.
Infatti, riguardo all’APE sociale, è notizia di qualche settimana fa che su 39.721 domande pervenute all’INPS, ne sono state respinte dall’Istituto ben il 64,89 % (fonte ilSole24ore), in quanto le stesse non rispettavano in tutto e per tutto i particolari requisiti previsti dalla disciplina legislativa e ministeriale (https://www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemDir=50302). Molte di queste domande erano state avanzate da soggetti che – sebbene avessero quasi tutti i requisiti in regola – risultavano aver avuto uno stato di disoccupazione “altalenante”, ad esempio per aver beneficiato nell’ultimo periodo di brevi rioccupazioni.
Insomma, nulla di cui sorprendersi, dato che lo stesso Istituto aveva chiarito già da parecchio tempo sul suo sito internet come – sulla scorta della normativa regolamentare - «un lavoratore che cessi l’attività lavorativa in seguito alla scadenza naturale di un contratto a termine non rientra tra i potenziali beneficiari dell’APE sociale». A questi si aggiungevano coloro i quali avessero svolto un’attività lavorativa retribuita mediante i voucher ed «espletata successivamente all’ultimo rapporto di lavoro cessato per licenziamento, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale» valevoli per l’ottenimento dell’APE sociale (https://www.inps.it/docallegatiNP//Mig/Allegati/FAQ_APE_SOCIALE%20.pdf).
Ma, a quanto pare, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali non è solito consultare il sito internet dell’INPS. E così, accortosi del problema con un “po’ di ritardo”, lo stesso dicastero si sarebbe premurato solo qualche settimana fa (ovvero poco prima dell’uscita delle graduatorie dei beneficiari ammessi) di fornire all’Istituto una nuova interpretazione, secondo cui «lo stato di disoccupazione non viene meno in caso di rioccupazioni di durata inferiore a sei mesi, per cui eventuali rapporti di lavoro subordinato di durata inferiore a sei mesi svolti nel periodo successivo alla conclusione della prestazioni di disoccupazione – ad esempio brevi rapporti di lavoro a termine oppure prestazioni di lavoro occasionale retribuite coi voucher – non determinano più il venir meno dello stato di disoccupazione» (v. comunicato stampa INPS del 25 Ottobre 2017). Il che costringerà l’INPS a rivedere una buona parte delle domande respinte.
Un “piccolo pasticcio”, dunque. Che, si spera, non si ripeta anche con l’APE volontaria.
Infatti, nonostante il grosso ritardo con cui è stato pubblicato il decreto attuativo (DPCM 4.9.2017 n. 150, pubblicato il 17.10.2017) l’Ape volontaria non è ancora del tutto operativa, in quanto il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed il Ministero dell’economia e delle finanze dovranno prima stipulare (entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto) due accordi quadro: uno con l’ABI ed un altro con l’ANIA (più altre primarie imprese assicurative). Questo perché l’APE volontaria non è un pre-pensionamento, ma un anticipo finanziario che avverrà tramite l’erogazione di un prestito da parte di banche o intermediari finanziari, il quale verrà ripagato con interessi dal lavoratore a partire dalla maturazione del diritto alla pensione e sarà garantito da una polizza assicurativa obbligatoria per il rischio di premorienza. Pertanto, dovranno essere chiarite perfettamente le regole con cui dovranno essere forniti sia i prestiti, sia le coperture assicurative.
La domanda sorge quindi spontanea: basteranno i trenta giorni di tempo indicati dal decreto attuativo per definire i due accordi quadro? Staremo a vedere…

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