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Assicurazione obbligatoria, utile di impresa e welfare mix

Qualche giorno fa mi sono imbattuto in un’ormai risalente pronuncia della Corte Costituzionale, la n. 36 del 2000, con cui veniva dichiarato inammissibile il quesito referendario allora posto dal Partito Radicale e volto a superare il “monopolio” di Inail nella gestione dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro.
In altri termini, quella proposta politica – pur mantenendo fermo l’obbligo di assicurazione – voleva consentire ai datori di lavoro di ricorrere liberamente al mercato privato per garantite i propri dipendenti contro gli infortuni occorsi in costanza di lavoro.

La Corte, tuttavia, asserì in modo abbastanza netto che “l’utile di impresa è un fattore estraneo alle assicurazioni sociali, la cui funzione è invece esclusivamente quella di garantire ai beneficiari la sicurezza del soddisfacimento delle necessità di vita. Ciò è confermato da una serie di disposizioni, quali quella dell'obbligo per l’Inail di pagare le rendite in modo automatico ed indipendentemente dalla regolarità dei versamenti contributivi; quella della suddivisione dell’onere economico complessivo, che grava in gran parte su di un’ampia platea di datori di lavoro, e solo in misura minima sui lavoratori; e quella relativa all’esercizio dell'assicurazione con forme di assistenza e di servizio sociale”.

È bene chiarire sin da subito come il “monopolio” di Inail nella gestione dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro sia in ogni caso imposto dal quarto comma dell’art. 38 Cost. (“ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”). Nondimeno, l’asserita incompatibilità tra utile di impresa e assicurazione sociale è argomento che esorbita dallo stretto diritto e, almeno suggestivamente, suscita alcune riflessioni sul riparto di funzioni - tra pubblico e privato - anche in altri comparti obbligatoriamente assicurati che, per quanto privi di rilievo costituzionale, presidiano comunque interessi di portata generale.

Si pensi soltanto al comparto della Rca, la cui specifica disciplina si pone come obiettivo primario la tutela del terzo danneggiato e che, proprio in funzione di ciò, impegna l’assicuratore privato anche ove, secondo le regole di diritto comune, lo stesso non sarebbe tenuto (pagamento al terzo anche nel caso di dolo dell’assicurato, inopponibilità delle eccezioni contrattuali ecc.). Si considerino, poi, le specifiche regole che, proprio in quel comparto, governano la fase di liquidazione del danno, volte a correggere la tendenziale asimmetria di posizione tra impresa e danneggiato, mediante la fissazione di un termine per l’istruzione della procedura risarcitoria e di un obbligo di trasparenza non poi dissimile da quello imposto all’amministrazione pubblica nell’esercizio delle proprie prerogative procedimentali. E ancora si guardi, sempre in quel comparto assicurativo, all’adozione di un sistema tabellare per la liquidazione del danno non patrimoniale che, in qualche e modo, può essere ritenuto un derivato della “sperimentazione” con cui venne innovato proprio il dpr 1124/1965 (Testo Unico Inail) mediante l’introduzione dell’indennizzo del danno biologico.

A fronte di una disciplina così puntuale e, diremmo, “invasiva” (proprio perché volta a garantire la platea dei terzi beneficiari della prestazione che sono estranei al rapporto contrattuale tra assicuratore e assicurato), verrebbe dunque da chiedersi cosa resti di “privato” nell’assicurazione obbligatoria e se, in fondo, non sia poi contradditorio attribuire agli operatori di mercato funzioni pubbliche o para-pubbliche che potrebbero stridere con lo scopo di lucro dagli stessi perseguito.

Ora, è difficile immaginare un superamento degli attuali assetti dell'assicurazione obbligatoria della Rca (né, peraltro, gli stessi sono in discussione... ) e ciò anche, se non soprattutto,  in considerazione dei volumi di quel mercato che difficilmente un operatore pubblico potrebbe presidiare nella sua interezza.

La nostra riflessione, tuttavia, potrebbe rilevare in altri settori recentemente interessati dall'introduzione di un obbligo assicurativo e che nei prossimi anni dovranno trovare il proprio migliore assetto. Tra questi, ad esempio, quello della Rc sanitaria che, così come delineato dall'incompiuta riforma Balduzzi, ha intanto mutuato dalla disciplina della Rca il sistema tabellare di liquidazione del danno biologico, e ciò con l'evidente fine di calmierare le conseguenze economiche della responsabilità da mal practice e dunque consentire il "ritorno", in quel settore, dei player privati altrimenti impossibilitati (o quanto meno poco inclini) ad assumere un rischio difficilmente profilabile quale, appunto, quello sanitario. Anche in quell’ambito, dunque, ci attende - ed anzi sono state gettate le basi per - l'ingresso (ed una sostenibile permanenza) dell'assicurazione privata.

Tuttavia, a titolo di mera suggestione, vien da chiedersi se, proprio in ambito sanitario, non vi sia spazio per coinvolgere anche il “pubblico” mediante l'introduzione di un’assicurazione “sociale” contro i danni da mal practice, con premio a carico delle strutture, che garantisca un equo indennizzo alle vittime di errori sanitari (fermo restando, ovviamente, il risarcimento dei danni differenziali per i quali potrebbero intervenire proprio le coperture private degli enti) e che reimmetta gli attivi della gestione assicurativa pubblica nel medesimo comparto, magari finanziando attività di prevenzione e di gestione del rischio sanitario.

In definitiva, tornando al punto da cui siamo partiti, pare che l’obiter dictum della Consulta circa l'incompatibilità tra utile di impresa e assicurazione sociale non possa trovare applicazione al di fuori dell’art. 38 Cost.. Ed anzi, è pressoché inevitabile che l'assicurazione privata entri in scena in sempre più numerosi comparti di interesse generale. Tuttavia, è altrettanto ragionevole ritenere che, almeno in alcuni di essi, l'integrazione del “privato” con il “pubblico” possa condurre a risultati ancor più positivi di quelli attesi dall'entrata in gioco dell'assicurazione privata, anche mediante un proficuo (re)impiego delle risorse presenti nel mercato di riferimento. Perché la formula welfare mix non può certo risolversi in una mera dichiarazione di resa dello Stato rispetto alle sfide dei nostri tempi, ma, piuttosto, deve descrivere un nuovo modo di pensare al welfare, in chiave sostenibile ed efficace.





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