Invecchiamento, va cambiato l’approccio alla protezione
Di fronte all’aumento della popolazione anziana e non autosufficiente, è fondamentale pensare a un aggiornamento del diritto assicurativo che aumenti le tutele per questa fascia d’età. Come per altri temi di criticità sociale, sarebbe auspicabile pensare a una collaborazione strutturata tra il welfare pubblico e privato
16/06/2025
Diversamente da quello che si è verificato per i minori, dove esiste una loro definizione e uno statuto giuridico che li tutela, l’ordinamento giuridico privatistico stenta a elaborare strumenti che proteggano adeguatamente gli anziani quali soggetti vulnerabili dalle numerose insidie che incontrano nella loro vita familiare, sociale e contrattuale.
Cionondimeno, da numerosi anni il tema della tutela dei diritti degli anziani è entrato nel linguaggio e nel dibattito giuridico.
Gli anziani e il diritto comunitario
Ecco qualche esempio. Gli articoli 21 e 24 della Carta di Nizza sanciscono il divieto di atti discriminatori nei confronti degli anziani e il loro diritto a condurre una vita dignitosa e indipendente, nonché a partecipare alla vita sociale e culturale.
Diverse direttive comunitarie, soprattutto di matrice consumeristica, come quella sulla sicurezza generale dei prodotti (2001/95), sulle pratiche commerciali sleali (2005/29) o sulle norme comuni per l’energia elettrica (2019/944), richiamano gli stati a legiferare tenendo conto dei rischi legati ad alcune categorie particolari di consumatori quali, appunto, le persone anziane. E il Regolamento sull’intelligenza artificiale, all’articolo 5, vieta l’immissione sul mercato di sistemi di IA che sfruttino la vulnerabilità di gruppi di persone dovute all’età o alla disabilità.
Gli anziani e la normativa nazionale
La legislazione socioassistenziale nazionale, come è noto, ha introdotto numerose politiche sociali ed economiche a tutela delle persone anziane (tra le tante, la legge n. 112/2016 sul Dopo di noi e il dlgs n. 29 del 15 marzo 2024).
Ma è sul versante privatistico che il legislatore è ancora carente e devono essere compiuti molti sforzi per creare un corpo adeguato di norme a tutela dei diritti di questi soggetti vulnerabili.
La criticità delle polizze tradizionali
Restringendo l’ambito del mio scritto al diritto assicurativo, non si può far finta di ignorare che le tradizionali polizze dei rami vita, malattia e infortuni presentano criticità e limiti troppo rigorosi nei confronti degli anziani. Basti pensare, ad esempio, che la stragrande maggioranza delle polizze sanitarie presenti sul mercato non permettono di assicurarsi alle persone che abbiano superato i 70 anni di età. E per i soggetti già assicurati, con il raggiungimento di 70 o 75 anni, la copertura assicurativa cessa.
Inoltre bisogna considerare che in genere l’assicuratore ha la facoltà di recedere dalla polizza sanitaria o infortuni sicché, anche per i soggetti non anziani e portatori di malattie invalidanti, vi è il rischio di ritrovarsi senza copertura assicurativa nel momento di maggior bisogno per effetto del recesso da parte della compagnia.
Le polizze long term care e dread diseases
Bisogna riconoscere però che il mondo assicurativo, consapevole dei limiti delle polizze tradizionali, è andato incontro alle esigenze assistenziali e di cura degli anziani e dei soggetti non autosufficienti con le polizze Ltc (long term care) e con le polizze Dd (dread diseases).
In queste polizze il rischio non è legato a un solo evento di danno (l’infortunio, la malattia), ma al verificarsi di determinati eventi correlati a infortuni o malattie che possono degenerare e impedire poi alle persone alcune attività elementari della vita quotidiana come vestirsi, nutrirsi e camminare.
Le polizze Ltc sono state riconosciute dal legislatore nell’art. 2 del codice delle assicurazioni e nel d.m. del 22 dicembre 2000.
Pur avendo come oggetto uno stato di sofferenza e vulnerabilità legato alla salute, rientrano nel ramo IV del settore vita quali contratti di lunga durata e non è consentito il recesso da parte dell’impresa decorso il periodo iniziale di garanzia.
Queste polizze possono essere temporanee e, in questa ipotesi, la rendita viene corrisposta solo al verificarsi della perdita dell’autosufficienza che si manifesta durante il periodo di validità del contratto, o a vita intera, e la rendita sarà corrisposta al verificarsi della perdita dell’autosufficienza a prescindere di quando tale perdita si verifichi.
Come è noto, sino a oggi, queste importantissime coperture assicurative hanno avuto nel nostro paese una diffusione di gran lunga inferiore rispetto al fenomeno dell’invecchiamento e della non autosufficienza (le stime per il 2030 parlano di 5 milioni di persone) che è una delle sfide sociali, etiche, giuridiche ed economiche del nostro tempo.
Un impegno congiunto tra settore assicurativo e stato
Non è questa la sede per indagare le ragioni di questa scarsa diffusione. Quello che occorre evidenziare è che nel prossimo futuro sarà indispensabile procedere in due direzioni.
La prima è quella di un maggior sforzo culturale delle compagnie, che dovranno far diventare più appetibili queste garanzie rendendole più eque e trasparenti, soprattutto con riferimento alla definizione di non autosufficienza.
La seconda strada è quella di un intervento dello stato, che dovrà incentivare sul piano economico la diffusione di queste polizze con leggi che coinvolgano tutti i soggetti che erogano attività e servizi di assistenza e cura alle persone con disabilità.
Mi riferisco, in particolare, al vastissimo mondo del terzo settore, che dovrà avere un ruolo ancora più centrale e rilevante nell’erogazione di servizi di assistenza long term care.
Ci dovrà essere, dunque, una maggiore cooperazione tra il welfare pubblico e quello privato per affrontare l’emergenza sanitaria e sociale legata all’invecchiamento della popolazione con strumenti efficienti, equi e trasparenti.
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