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Colpo di frusta, la Consulta va "oltre ogni ragionevole dubbio"

Ennesimo capitolo (forse conclusivo?) della lunga storia sulla riforma dei risarcimenti per le lesioni micropermanenti. Una recentissima pronuncia della Corte Costituzionale rafforza l'interpretazione degli avvocati Maurizio Hazan e Andrea Codrino espressa la scorsa settimana in un ampio approfondimento, pubblicato sempre da Insurancetrade.it

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Mentre scrivevamo il nostro contributo sul colpo di frusta (lo si può leggere qui), la Consulta interveniva nuovamente sul tema, rendendo pubblica una pronuncia che, a nostro parere, rafforza la posizione che ci eravamo permessi di sostenere. Ci riferiamo alla sentenza 98 del 18 aprile 2019, con cui la Corte Costituzionale è intervenuta sulla (confermata) legittimità costituzionale dell’articolo 283 del Cap (nella parte in cui limita ai sinistri con danni gravi alla persona l’obbligazione risarcitoria del Fondo di garanzia per danni a cose da incidente con veicolo non identificato).  
Tale limitazione trova, secondo la Consulta, una sua giustificazione nell’esigenza di evitare che l’intervento del fondo (nell’ipotesi di sinistro con veicolo non identificato) sia utilizzato come facile strumento di frode per ottenere il risarcimento di danni a cose: condizionare la richiesta risarcitoria alla compresenza di danni alla persona di una certa entità limita, anche se certo non esclude, il rischio che il sinistro sia simulato (essendo, tra l’altro, più probabile che la ricostruzione dinamica del fatto sia assistita da testimoni e da accertamenti effettuati da Autorità intervenute sul luogo del sinistro). 
Si tratta, in ultima analisi, di evitare che il fondo, quale strumento di socializzazione dei costi di danni altrimenti non risarcibili (strumento sovvenzionato, sia pur indirettamente, dalla collettività assicurata), sia attivato anche in casi di dubbia accertabilità, gravandolo di oneri potenzialmente indebiti e ponendo a rischio la sostenibilità generale del sistema.

EVITARE LE FRODI AI DANNI DEL FONDO DI GARANZIA 
In questo contesto, il sacrificio di alcuni (coloro i quali abbiano subito danni lievi alla persona) risponde a una regola di corretto bilanciamento di interessi individuali e collettivi entrambi meritevoli di tutela, assecondando dunque, e non vulnerando, il principio di solidarietà di cui all’articolo 2 della Costituzione.  
Nella sua motivazione la Consulta richiama poi un importante precedente della Cassazione (sentenza del 27 novembre 2015, numero 24214) in seno alla quale si conferma che, privilegiando l’interpretazione finalistica della norma, va evidenziato come lo scopo della limitazione del risarcimento del danno a cose nei soli casi di danni gravi alle persona sia proprio quello di evitare frodi in danno del fondo. Ciò del resto risulta confermato nella relazione alla proposta di direttiva 2005/14, ove si afferma che quando un sinistro abbia causato danni gravi alla persona, “il rischio di frode è (…) pressoché inesistente”, e di conseguenza il danno alle cose può essere risarcito, posto che, questo è il senso della relazione, nessuno si ferirebbe gravemente per ottenere i risarcimento del danno all’automobile”. 
In quella stessa sentenza, la Suprema Corte, sostenendo a chiare lettere (consigliere relatore Marco Rossetti) “che le norme vanno interpretate in conformità alla loro ratio”, finisce per concludere, testualmente, che lo “sbarramento” di cui all’articolo 283, comma 2 del Codice delle assicurazioni serve proprio a prevenire le frodi e che dunque “è del tutto coerente con tale ratio ammettere il risarcimento del danno alle cose quando il sinistro abbia provocato esiti macropermanenti, e negarlo nel caso contrario: infatti un danno alla salute micropermanente (ad es., postumi di lievi traumi contusivi o colpo di frusta) può essere simulato, l’amputazione d’un arto no”.

L'AMMISSIONE DI UNO SBARRAMENTO RISARCITORIO 
Ecco dunque che la Cassazione, in quel precedente, ammetteva un vero e proprio sbarramento risarcitorio, giustificandolo con la troppo facile mistificabilità delle lesioni di lieve entità, quali quelle descritte dall’articolo 139 del Cap e dunque contenute entro la soglia del 9%. 
L’assonanza con l’attuale previsione dell’articolo 139 del Cap, che merita dunque di esser sostenuta anch’essa da un’interpretazione razionale, è evidente: l’introduzione ope legis di un limite al risarcimento delle menomazioni permanenti da lesioni di lieve entità è ugualmente correlato finalisticamente anche all’esigenza di prevenire il rischio di frodi e tende, in ogni caso, a espungere dal sistema (del danno risarcibile da Rc auto) tutte le fenomenologie che non sono accertabili in termini inoppugnabili. 
E non è un caso che, nel prendere posizione sull’articolo 283 e per delimitare (e non ampliare) il perimetro dei danni al di sopra dei quali è ammesso l’intervento del Fondo, la Consulta fa espresso riferimento alla nuova formulazione dell’articolo 139, provando a risolvere (in termini piuttosto netti) un problema interpretativo correlato al troppo lasco rinvio operato dalla Cassazione a quella medesima disposizione.

UNA LETTURA ANCOR PIÙ RESTRITTIVA 
Molti avevano rilevato che, all’interno dell’ampio delta delle micropermanenti codicistiche (da 1% a 9%) vi erano fattispecie di una certa gravità da impattare sul rischio di frode in modo non dissimile dalle lesioni superiori (si pensi al distacco di una falange del dito di una mano o di un piede). E dunque l’identificazione delle lesioni gravi di cui all’articolo 283 con il generale paradigma di operatività dell’articolo 139 rischiava di essere eccessivo e, perciò, non del tutto persuasivo.  
Ecco dunque che la Consulta, ferma la dichiarata legittimità dell’articolo 283, ne suggerisce una lettura restrittiva, ritagliata attorno alla nuova formulazione dell’articolo 139, per come novellato dalla legge 124 del 2017. Quel che deve guidare l’interprete è proprio la nuova necessità di acquisire riscontri strumentali, e comunque prove inconfutabili, per l’accertamento dei postumi permanenti da lesioni lievi. Ciò in quanto tale esigenza di certezza mira anch’essa a scongiurare il rischio di frodi nelle richieste di risarcimento di lesioni, quali il trauma minore del collo, facilmente mistificabili. 
Così quel che ai sensi del 283 è “danno grave alla persona” potrebbe essere rintracciato anche sotto la soglia del 9%, ferma restando la necessità che lo stesso sia accertabile in modo inconfutabile e, diremmo, al di sopra di ogni ragionevole dubbio.

UNA PROVA DI RESISTENZA 
Ora, nel passare alla disamina incrociata dell’articolo 139, la Corte Costituzionale conclude il proprio percorso argomentativo con alcuni passaggi che, con buona pace dell’interpretazione costituzionalmente orientata proposta dalla Cassazione nelle sue ultime sentenze (Cass. terza sez. civ. n. 10816 del 18 aprile 2019; Cass. terza sez. civ. n. 10819 del 18 aprile 2019; Cass. civ. [ord.], sez. III, 28-02-2019, n. 5820) esalta la medesima finalità (di prevenzione delle frodi) che anima la diposizione, giustificandone la struttura e lo sbarramento risarcitorio/accertativo ivi stabilito. E così, secondo la Consulta l’attuale previsione dell’articolo 139 impone di “distinguere tra lesioni micropermanenti di incerta accertabilità, il cui danno non patrimoniale non è risarcibile (come danno assicurato), e lesioni micropermanenti che invece sono ritenute, dal legislatore che ha novellato la disposizione, adeguatamente comprovate e quindi tali da escludere plausibilmente il rischio che siano simulate”.  
La Corte Costituzionale sostiene dunque che il danno di lieve entità, per trovar spazio nella Rc auto, deve vincere una sorta di prova di resistenza sancita dalla possibilità di dimostrarlo oltre ogni ragionevole dubbio. E sdogana quelle esigenze di contenimento di quelle possibili e facili frodi che mettono in crisi la sostenibilità di un sistema a matrice solidaristica, assai prossimo a quello delle assicurazioni sociali. Sistema nell’ambito del quale non pare sconveniente (ed anzi opportuno) che un potenziale danno lieve, qualora non superi un livello di serietà/gravità da renderne l’accertamento inconfutabile, possa esser sopportato da chi affermi di averlo subito.

"L'INCERTA ACCETTABILITÀ" 
Non sono risarcibili, quindi, senza che ciò costituisca offesa alla tavola dei valori espressi dalla Carta, tutti i danni di “incerta accertabilità”, sintagma che avevamo anche noi utilizzato, nel nostro precedente contributo.  Ed allora, e qui torniamo a tutto quanto già espresso in precedenza, l’esistenza stessa di una contrapposizione scientifica (tra le diverse, e ugualmente autorevoli, scuole di pensiero della medicina legale) circa l’oggettiva accertabilità del trauma minore del collo conferma che quel tipo di danno, quand’anche tale, non sarà mai accertabile con il crisma di una assoluta ineccepibilità. Giacché il giudice stesso dovrebbe tener conto del fatto che, ab imis, l’accertamento non strumentale e clinico del trauma minore del collo incontra oggi, nella letteratura medico legale, profonde e mirate critiche tali di per sé da metterne in discussione, in battuta la sicura attendibilità. Sicura attendibilità che diventerebbe tale, con la medesima incontestabile evidenza di una ben visibile cicatrice (esempio espressamente fatto proprio dalla norma), allorquando i postumi divenissero veramente accertabili strumentalmente, assumendo i contorni di un trauma maggiore del collo, senza il rischio di falsi positivi. 

UNA NORMA INNOVATIVA 
Ecco dunque che la stessa Consulta, a cui la Cassazione (giustamente) guarda come sua stella polare, pone e giustifica, in ottica di sistema, chiari limiti minimi al di sotto dei quali un danno possibile non può essere riparato, non avendo superato il vallo del ragionevole dubbio circa la sua stessa esistenza. Vallo che, allo stato dell’arte, solo lo strumento pare esser in grado di oltrepassare, almeno per danni alla persona quali i traumi del collo, che divengono assolutamente e ineccepibilmente accertati soltanto quando, passando da minori a maggiori, assumano consistenza tale da poter essere intercettati dall’esame strumentale.  In conclusione, la forza del rinvio operato dalla Consulta alla versione riformata dell’articolo 139 del Cap consente di rimarcare il valore precettivo e innovativo di quella norma, che non si limita a declinare l’ovvio, come taluni vorrebbero, né a raccomandare quel rigore accertativo che costituisce il minimo comune denominatore di ogni valutazione giudiziale di un danno ai fini della sua risarcibilità.

IL RISCONTRO STRUMENTALE È QUINDI IMPRESCINDIBILE 
Quel che il Codice delle assicurazioni vuole, dopo la legge 124 del 2017 è che l’accertamento del danno da lesioni lievi segua un percorso tale da escludere ogni ragionevole dubbio, in scienza e coscienza, sulla effettiva esistenza della lesione e di una conseguente una menomazione permanente. E in quest’ottica si reperisce la giusta chiave di lettura per coniugare tale impostazione con quanto la stessa Cassazione ha avuto modo di sottolineare in una nota pronuncia (la numero 1272 del 19 gennaio 2018), nella parte in cui anch’essa conferma espressamente che il riscontro strumentale sia imprescindibile proprio nel caso dei colpi di frusta, nell’ambito dei quali l’applicazione delle semplici leges artis risulta insufficiente (almeno secondo buona parte della letteratura medico legale) a fornire la prova rigorosa della lesione. Ed è proprio in relazione a questi ultimi che, secondo quella sentenza, “l’accertamento strumentale risulterebbe, in concreto, l’unico in grado di fornire la prova rigorosa che la legge richiede”.

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