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Una certa idea di Unione Europea

Salvatore Rossi, in un interessante intervento a Roma Tre, propone una tesi che potrebbe far risorgere l'ideale comunitario attraverso la riscoperta, in forma difensiva, di una larga identità comune

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Tornare sulla strada principale di una comunità tra Nazioni che si riconoscono simili e che, insieme, si possono difendere meglio rispetto che restare separate. "Quest’idea semplice va tradotta in sentimento diffuso", ha spiegato Salvatore Rossi, presidente di Ivass e direttore generale di Banca d’Italia, durante un intervento alla Scuola di economia e studi aziendali di Roma Tre.  
L’Unione economica e monetaria, tema della prolusione, in realtà è solo lo spunto per parlare di Unione Europea, di nazionalismo ed europeismo, di come l’idea sovranazionale sia stata minata dalla crisi economica, presentando anche le posizioni del nazionalismo ma dando alla fine "risposte nette a favore della conservazione dei legami europei".  La domanda che occorre porsi è: "vogliamo ancora un legame sovranazionale europeo e quale? E se si, quale Europa occorre perché quel legame si perpetui?" 
La risposta alla prima domanda, dalla prospettiva di Rossi e da quella delle "persone di buona volontà che vedono l’oggettiva convenienza, anche economica, dello stare uniti" è, ovviamente, sì. Secondo Rossi, però, oggi occorre accantonare per un attimo quella "strada laterale economicista imboccata negli anni Cinquanta", che pure ha saputo inverare gli ideali della fratellanza europea fino alla crisi del 2008, "per tornare alla strada principale della comunità fra Nazioni". 

IL PRAGMATISMO NON È PIÙ UN IDEALE 
L’idea economicista cui si riferisce Rossi è quella attuata dagli Stati dopo che la Comunità europea di difesa e la Comunità politica europea erano state bocciate nel 1954 perché cariche di significati simbolici, in un’Europa da poco uscita devastata dalla guerra. Ecco, quindi, che il progetto cambia, prosperando, attraverso "una scelta al tempo stesso pragmatica e furba", dice Rossi: "saranno l’economia e la finanza il terreno elettivo dell’integrazione europea, un terreno al tempo stesso pronto a essere fecondato dopo le distruzioni della guerra ma meno ingombro di riflessi identitari". Nascono così il Mercato comune europeo, la Comunità economica europea e così via, senza intoppi, fino all’Unione monetaria e alla creazione dell’euro, fissate nel Trattato di Maastricht del 1992.  
Alla nascita dell’euro, evento festoso, l’Europa non è mai stata così unita. Poi, però, accade qualcosa: la crisi del 2008, la denuncia da parte dei governi socialisti greci della falsificazione dei conti perpetrata nel Paese dai governi di centrodestra, la crisi di fiducia di governi, investitori, mercati finanziari e opinioni pubbliche sulla coesione tra Stati europei: "è la crisi cosiddetta dei debiti sovrani – ricorda Rossi – che costa ai Paesi europei un altro forte impulso ciclico negativo dopo quello inferto dalla crisi finanziaria globale". Questo nuovo scenario fa risorgere "tensioni profonde che serpeggiavano fra i popoli europei" e che l’idea dell’unione basata su interessi economici, giusti, legittimi e condivisi dagli Stati, non è bastata a contrastare: "l’identità europea sta ora sfumando sullo sfondo rispetto alle identità nazionali risorgenti".

L'UNIONE EUROPEA È COME LA MUSICA COLTA 
Per capire meglio ciò che sta succedendo, e proporre soluzioni, Rossi paragona la possibile sorte dell’idea di Unione Europea con ciò che è accaduto alla musica colta nel corso del ‘900, la cui fruizione oggi è sporadica, in poche sale concerto, "volta solo a beneficio dei suoi stessi adepti".
Secondo Rossi, "l’idea europeista s’inaridì, trasformandosi in una maglia giuridica fittissima che tutto ora avvolge", e che è molto distante dai 400 milioni di elettori europei, perché destinata agli addetti ai lavori. "L’analogia fra la storia della musica colta e quella dell’idea europeista – argomenta Rossi – sta appunto nella trasformazione che in entrambi i casi è avvenuta da ciò che commuove i cuori di molti a ciò che interessa cerebralmente pochi".  
All’apparenza questo discorso potrebbe sembrare una riedizione della contrapposizione, oggi tanto in voga, di élite contro popolo: ma non è così. Gli ideali europei, così come la musica colta, non hanno mai infiammato di per sé "il popolo minuto" o i 400 milioni di elettori: questi "sono stati in qualche modo trascinati nell’avventura europea dall’entusiasmo dei loro rappresentanti politici". Una volta venuto meno quest’entusiasmo, questa ideologia, molti cittadini non hanno riconosciuto l’ideale europeo "aderente alle proprie necessità quotidiane". La costruzione europea, del resto, "era ed è difficilmente spiegabile in termini di interessi immediati", sottolinea Rossi. 

UN'IDEA DIFENSIVA 
Che fare, allora? La ricetta di Rossi prevede, in effetti, una consapevolezza identitaria, ma di un’identità più larga e non ristretta ai confini nazionali. "Essere integrati – spiega Rossi – conviene a tutti gli europei: il benessere collettivo in Europa è tanto maggiore e meglio distribuito quanto più ci si avvicina a una vera federazione di Stati". Se i temi dominanti ora sono la paura e la necessità di protezione, occorre far rinascere l’ideale europeo in senso difensivo: "quando si avverte un pericolo la tendenza è a stringersi, ad asserragliarsi. Ma farlo ciascuno nella propria casa è un’idea peggiore che farlo insieme agli altri nel palazzo in cui tutti si abita. L’Europa è il palazzo a cui apparteniamo". È un’idea basica, che affonda le sue radici nei sentimenti più istintivi di una comunità: difesa e sicurezza. Ma che, in questi tempi, può funzionare. 
"L’alternativa è che torniamo tutti nella nostra casa-fortino nazionale, forse soddisfatti di aver fatto un dispetto al vicino, ma più poveri e soli", conclude Rossi. 

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