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Pensioni, fra gig economy e immigrazione

L’Inps getta un faro sull’economia dei lavoretti, stretta fra precarietà e bassi stipendi. E lancia l’allarme sulla sostenibilità a lungo termine del sistema: l’apporto dei migranti, secondo il presidente Boeri, si conferma cruciale

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Nel 2017 sono state elargite oltre 15 milioni di pensioni, per un esborso complessivo pari al 15,2% del Pil e al 32,5% della spesa pubblica. L’importo medio lordo mensile si è attestato a 1.513 euro, cifra che tuttavia resta un miraggio per quei 5,5 milioni di pensionati che vivono con un assegno inferiore ai mille euro al mese. Sono i numeri principali della relazione annuale dell’Inps, tradizionale momento di analisi e riflessione sulla sostenibilità del sistema pubblico previdenziale.
Un appuntamento quanto mai atteso, arrivato all’indomani di una campagna elettorale che ha visto il sistema pensionistico, e più in generale le dinamiche del welfare state, fra i principali temi di confronto. Inevitabile, quindi, che la relazione si confrontasse anche con tematiche di stretta attualità, politiche e sociali, che stanno investendo il dibattito pubblico.
A cominciare dalla gig economy, la cosiddetta economia dei lavoretti, resa possibile dalle nuove frontiere aperte dal web. Un lavoratore del settore, si legge nella relazione, percepisce un salario medio di 346 euro al mese. Ed è costretto a confrontarsi con una pressoché totale mancanza di tutele. In questo contesto, non stupisce che gli addetti alla gig economy sentano il bisogno di maggiori garanzie in ambito pensionistico (24%), contro i periodi di disoccupazione (20%) ed eventuali malattie (19%).
Altro argomento caldo sono stati i flussi migratori, recentemente tornati alla ribalta delle cronache internazionali. "Le previsioni sulla spesa – si legge nella relazione – indicano che anche innalzando l'età del ritiro, ipotizzando aumenti del tasso di attività delle donne che oggi tendono ad avere tassi di partecipazione al mercato del lavoro più bassi, incrementi plausibili e non scontati della produttività, per mantenere il rapporto tra chi percepisce una pensione e chi lavora su livelli sostenibili è cruciale il numero di immigrati che lavoreranno nel nostro Paese". Ecco dunque che, come ha spiegato Tito Boeri, presidente dell’istituto previdenziale, "il nostro Paese ha bisogno di aumentare l'immigrazione regolare". Anche perché, ha aggiunto, sono “tanti i lavori che gli italiani non vogliono più svolgere”. Ed eventuali incentivi alla natalità o al lavoro femminile, chiosa la relazione, “non potranno da solI arginare la riduzione delle classi di popolazione in eta' lavorativa prevista per il prossimo ventennio”.

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