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Cyber crime, attacchi in crescita durante la pandemia

Secondo l'ultimo rapporto del Clusit, nei primi sei mesi dell'anno si sono registrati 850 attacchi informatici di grave entità in tutto il mondo

Cyber crime, attacchi in crescita durante la pandemia
La pandemia di coronavirus spinge il fenomeno del cyber risk. Nei primi sei mesi del 2020, stando all'ultimo rapporto del Clusit, sono stati registrati 850 attacchi informatici di grave entità in tutto il mondo. Si tratta mediamente di quasi 142 episodi al mese, più dei 139 che si erano avuti nel 2019, ossia in quello che il precedente rapporto dell'associazione italiana per la sicurezza informatica aveva definito “l'anno peggiore di sempre” in termini di cyber risk.
Secondo i numeri della ricerca, ben 119 attacchi sarebbero in qualche modo legati alla pandemia di coronavirus. I criminali informatici hanno infatti trovato nell'emergenza sanitaria il terreno ideale per compiere le proprie attività, trasformando la pandemia in un'opportunità per introdursi nei computer e nelle reti digitali di cittadini, imprese e istituzioni. La maggior parte degli attacchi collegati al coronavirus sono stati realizzati nell'ambito del cyber crime (72%), ma anche settori come espionage/sabotage (24%) e information warfare (4%) hanno saputo trarre vantaggio dalla situazione. Gli autori di queste incursioni hanno fatto ricorso principalmente a phising/social engineering (61%) e malware (21%), tecniche utilizzate soprattutto all'interno di attacchi diretti a molteplici obiettivi (64%) e pertanto finalizzati a colpire e danneggiare contemporaneamente il maggior numero possibile di persone e organizzazioni. Il rapporto cita in particolare alcuni casi di bec scam, una tecnica di intrusione informatica che consiste nel prendere possesso dell'account di posta elettronica di un responsabile aziendale e, fingendosi quest'ultimo in una o più e-mail, convincere successivamente un ignaro dipendente a trasmettere informazioni riservate dell'impresa. Questa tecnica è stata utilizzata soprattutto nei primi mesi della pandemia, facendo leva sulla frenesia generata dalle difficoltà di recuperare dispositivi di protezione individuale come le mascherine.

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