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Tfr in busta paga (o QuIR): meglio un uovo oggi o una gallina domani?

Ragioni di “attualità” imponevano di aprire questo blog con un commento del Ddl concorrenza nella parte in cui quest’ultimo potrebbe cambiare, almeno sulla carta, i connotati degli attuali assetti della previdenza complementare. E in quel primo intervento mi sono permesso di rilevare come il tentativo di stimolare il mercato della previdenza privata fosse in parte frustrato dalla pregressa decisione di aumentare l’aliquota fiscale sui rendimenti dei fondi pensione. Ma quest’ultima misura non è l’unica, tra quelle approvate con la legge di stabilità 2015, a lasciare perplessi. Si è infatti parlato a lungo del “tfr in busta paga” (altrimenti noto come QuIR – Quota Integrativa della Retribuzione), presentato come una misura di sostegno per le economie di molte famiglie italiane ma che, di fatto, potrebbe indurre il lavoratore – stretto nella morsa della quarta settimana – a bruciare anni di risparmio previdenziale, ovvero quelle risorse destinate a sostenerlo quando ne avrà ancor più bisogno.

Vero, la misura in questione (che è divenuta pienamente operativa dai primi di aprile) è stata introdotta in via meramente sperimentale e, in ogni caso, opererà su base volontaria. Ma la scelta del lavoratore che voglia beneficiarne è irrevocabile fino a giugno del 2018. E chi ci guadagna in questi tre anni? Non il lavoratore (dato che il tfr è pur sempre parte della sua retribuzione…) ma lo Stato. La QuIR, infatti, concorrerà a definire la base imponibile di chi vorrà beneficiarne. A guadagnarci per primo, anche con questa misura, è dunque lo Stato. Quello Stato che da un lato abbisogna del sostegno del welfare privato e dall’altro distrae le risorse destinate a quest’ultimo per poter sostentar sé stesso.

Ora, non mi si tacci di eccessivo polemismo, ma sacrificare il futuro per contingenze di cassa costituisce un esercizio politico sterile. Se l’obiettivo è davvero quello di integrare i redditi delle famiglie italiane, infatti, si potrebbe ricorrere a strumenti “indiretti” quali, ad esempio, la previsione di un plafond di deducibilità di alcune rilevanti voci di spesa che gravano sui bilanci domestici, secondo un meccanismo che, di fatto, favorirebbe anche l’emersione del nero con conseguenti benefici per le casse pubbliche (sul punto si rinvia a quanto autorevolmente suggerito dal prof. Alberto Brambilla sul Corriere della Sera del 4 aprile 2015, Il fisco virtuoso che ci fa star bene).

Perché dunque scegliere un uovo oggi?

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