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Assicurazioni glocal per le PMI

Guardando indietro alla storia della globalizzazione nel XX secolo, uno dei trend più stupefacenti e spesso sottovalutati è quello legato alle aziende che hanno delocalizzato il proprio business all’estero. Per motivazioni diverse: chi per risparmiare sui costi, chi per testare nuovi mercati, chi per ragioni strategiche. Sta di fatto che, se negli anni ’60 le società con sedi in più Paesi erano solo 7.000, nel 2010 il numero era drasticamente salito a 104.000. E gli analisti ipotizzano che questo numero potrebbe crescere ulteriormente del 40% entro il 2020.
Non stiamo parlando solo delle grandi corporation con fatturati a nove zeri, ma anche delle piccole medie imprese che hanno deciso di investire oltre i confini nazionali. E con il crescere di questo fenomeno, crescono e cambiano i bisogni e le esigenze assicurative di questi clienti. Spetta agli assicuratori capire e ascoltare i potenziali assicurati, per costruire programmi assicurativi sempre più necessari e complessi.
Come fare quindi a confrontarsi con una realtà che cambia e con rischi che vanno valutati da Nord a Sud, da Est a Ovest del mappamondo? In primo luogo le compagnie hanno molto spazio di manovra in cui poter migliorare. Mi riferisco in particolare al momento dell’analisi del rischio e a come questo possa essere allocato nelle varie realtà in qui il cliente opera. Tutto parte dalla trasparenza nella relazione tra assicuratore e assicurato: tutto si basa sui dati e sulla fiducia, per costruire assieme la soluzione ideale per i rischi che si vogliono trasferire.
Il lavoro dell’assicuratore in questo scenario è complesso: normative contrastanti in vari Paesi e problematiche legate alla riassicurazione sono all’ordine del giorno. Ecco allora che il tempismo nello scambio delle informazioni è fondamentale per arrivare puntuali al momento dell’emissione del programma assicurativo.
Purtroppo, soprattutto nelle relazioni tra Pmi e compagnie, capita che il rapporto contrattuale si basi spesso sul prezzo più conveniente. Un po’ come succede con il comparto retail. Così facendo si perde quella relazione di fiducia che solo nel lungo termine si può consolidare, permettendo alle due parti di trarre vantaggi concreti dalla partnership assicurativa.
Quali sono quindi i vantaggi derivanti da un global programme ben costruito? Un assicuratore attento deve essere in grado, dopo una profonda fase di analisi fianco a fianco con il cliente, di offrire la copertura adeguata. Spesso bisogna capire il motivo per il quale l’azienda si è spostata all’estero, disposta così ad affrontare dei rischi nuovi per sfuggire alle difficoltà del Paese d’origine. In particolare il consulente assicurativo si trova a dover valutare assieme al cliente complessi scenari di contingent business interruption. Un terreno impervio e pieno di insidie, se si pensa alle conseguenze di un sinistro relativo a uno dei tanti fornitori a cui si affida la Pmi assicurata per le sue attività.
Le difficoltà nascono quando la catena è inestricabile. Quando l’assicurato si vuole coprire da determinati rischi ma non dispone di tutte le informazioni necessarie relative al fornitore. Ecco allora che si ritorna al punto di partenza. Alla necessità di instaurare un rapporto di fiducia tra le parti. Solo in questo modo si possono pian piano accumulare dati, statistiche, insights importanti per costruire il pacchetto assicurativo migliore.
Nel lungo viaggio evolutivo dell’economia mondiale siamo ormai arrivati a un punto di globalizzazione totale, nel quale avere una sede in almeno due o tre Paesi è cosa normale. Ma in questa espansione globale, quello che rimane “local”, che non può esulare dalle caratteristiche del territorio, della normativa, delle persone, è l’assicurazione. La bravura degli assicuratori è quindi quella di unire questi due elementi, di farli incontrare e non scontrare. Per il beneficio di tutti, affinchè gli ingranaggi dell’inarrestabile globalizzazione non rischino di incepparsi.

Matteo Cominelli
Esperto mercato assicurativo e Consulente con sede a Londra

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