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Lesioni di lieve entità: tutto da rifare?

Dopo le discussioni seguite all’approvazione della legge. 27/2012, il riconoscimento del danno vincolato, per la Rc auto, al riscontro strumentale, pareva cosa acquisita. Ora una sentenza della Corte di Cassazione sembra ridare prevalenza alla valutazione del medico

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Può una sentenza della Corte di Cassazione, che decida su un argomento pacifico in dottrina, arrivare a rompere, non si sa quanto volutamente, uno schema giuridico e una prassi di liquidazione del danno altrimenti chiara e non controversa?

Chissà quale sorte avrà da domani nelle corti territoriali di merito la sentenza n. 18773 depositata il 26 settembre scorso dalla III Sezione Civile della Corte (pres. Chiarini, rel. Vincenti).
La materia del contendere è, ancora una volta, la misura del risarcimento del danno alla persona e, nello specifico, attiene alla disciplina della risarcibilità del danno da lesione di lieve entità, conseguente a sinistro stradale, secondo la costruzione normativa di cui all’art. 139 del d.Lgs. n.209 del 2005 (o Codice delle Assicurazioni) come modificato dall’art. 32, commi 3 ter e quater, della legge n. 27 del 24 marzo 2012.

I COMMI AL CENTRO DELLA QUESTIONE
Come noto, l’art. 32 (ai commi 3 ter e quater) ha apportato le seguenti integrazioni alla disciplina del risarcimento del danno da lesione di lieve entità da sinistro stradale, incidendo nel corpo del preesistente articolo 139 del Codice delle Assicurazioni.

Il primo comma dispone che “al comma 2 dell’articolo 139 del Codice delle Assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”.

Mentre il comma 3 quater del medesimo articolo 32 integra il precetto appena espresso con la precisazione che “il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”.

Il conflitto interpretativo su una norma dotata di una forte astrattezza si incentrò fin da subito sulla valenza dei termini “accertamento clinico strumentale obiettivo” quale condizione di “risarcibilità del danno biologico permanente”, snodo ancor più criptico alla luce del successivo comma che,  diversamente, fa riferimento a un “riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”.

UN’INTERPRETAZIONE CONDIVISA
La soluzione condivisa, per lo più, oggi è quella che il primo comma ponga le condizioni di risarcibilità del danno da lesione permanente e richieda la presenza di un accertamento diagnostico per immagini a conforto della lesione. Il secondo comma (che concede l’indagine anche alla componente visiva del medico legale) attiene invece alla sola risarcibilità del danno da inabilità temporanea.
 
Questa pax interpretativa e giurisprudenziale (al principio si sono allineati la gran parte dei giudici di merito) è stata corroborata da due importanti passaggi della Corte Costituzionale, con due decisioni assai note (sentenza n. 235 del 16 ottobre 2014 e ordinanza n. 242 del 2 dicembre 2015).

DALLA “REGOLA” AL GIUDIZIO MEDICO  
Ora, la Corte di Cassazione con la decisione n.18733 del 26 settembre ha ritenuto di esprimere (in un obiter e quindi senza che la pronuncia abbia valenza nel giudizio e meno ancora nel contesto disciplinare generale) che “invero, il citato articolo 32, comma 3 quater, così come il precedente comma 3 ter, sono da leggere in correlazione alla necessità (…) che il danno biologico sia “suscettibile di accertamento medico-legale”, esplicando entrambe le norme (senza differenze sostanziali tra loro) i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina-legale (ossia il visivo-clinico-strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), siccome conducenti a una obiettività dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti).

In sostanza, la Corte (con tesi inedita a questo livello di giurisdizione) sembrerebbe voler affermare che i criteri di indagine volti ad accertare l’esistenza della lesione risarcibile non sarebbero da ritenere tipici e vincolanti, perché alla scienza medico legale sarebbe rimessa pur sempre la valutazione finale del danno secondo la leges artis non circoscrivibile dalla legge.

Ove questo principio trovasse conferme e conforto in decisioni successive, si verrebbe dunque a creare un forte e inatteso fattore di rottura della relativa pax interpretativa, oggi consolidata nel senso predetto.

Soprattutto, la stessa decisione potrebbe costituire il germe di una nuova chiave di lettura da parte del supremo Collegio, alla quale potrebbero dare seguito altri pronunciamenti, non solo di legittimità, orientati, come quello odierno, a una “ricollocazione al centro” della figura del medico legale rispetto alla prassi liquidativa ed empirica oggi in uso, vincolata alla lettera di una legge.

È facile prevedere che, in tal caso, il nuovo orientamento determinerebbe un (non auspicabile) rifiorire del contenzioso risarcitorio legato, come nella consuetudine di prima della legge del 2012, alla risarcibilità ritrovata di quelle lesioni di lievissima entità, spesso meramente speculative, supportate più da sintomatologia soggettiva che da una obbiettività strumentale reale.






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