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Nella perdita di chance va valutata la probabilità

Con la recente ordinanza n. 25910, la Corte di Cassazione ritorna sul tema degli oneri probatori in materia di danno morale e perdita di possibilità, sottolineando che nel valutare la prova non serve avere la certezza della privazione ma giudicarne la ragionevole eventualità

Nella perdita di chance va valutata la probabilità hp_vert_img
Con l’ordinanza del 5 settembre 2023 n. 25910, la Cassazione torna a pronunciarsi in materia di criteri liquidativi relativi al danno morale, affrontando poi anche il tema della perdita di chanche.
La fattispecie concerne la richiesta risarcitoria avanzata da una giovane donna in conseguenza degli esiti anomali di un intervento chirurgico di mastectomia sottocutanea bilaterale con contestuale ricostruzione del seno cui si era sottoposta, e che aveva comportato un rilevantissimo danno estetico e anche considerevoli limitazioni funzionali. La pronuncia giunge al vaglio degli Ermellini in quanto la ricorrente censura la pronuncia di secondo grado con la quale la Corte territoriale aveva in particolare rigettato la domanda di risarcimento del danno morale. La Suprema Corte di Cassazione ha oramai da tempo chiarito come il danno morale conseguente alle lesioni personali subite non rappresenti un semplice automatismo, ma debba essere oggetto di rigorosa prova.
Con la pronuncia in esame, richiamato il precedente Cass. n. 6444 del 2023, la Suprema Corte rileva come, se è pur vero che in tema di danno non patrimoniale discendente da lesione della salute l’accertamento di un danno biologico non può conseguire in via automatica il riconoscimento del danno morale (trattandosi di distinte voci di pregiudizio della cui effettiva compresenza il danneggiato è tenuto a fornire rigorosa prova), è altrettanto vero che può rilevare, sul piano presuntivo, ai fini della dimostrazione di un coesistente danno morale, un ragionamento inferenziale cui deve riconoscersi efficacia tanto più estesa quanto più elevato sia il grado percentuale di invalidità permanente (di contro, il danno morale si deve ritenere normalmente assorbito nel danno biologico di lieve entità salvo rigorosa prova contraria).

UNA VALUTAZIONE APPROFONDITA E NON AUTOMATICA
La Corte d’Appello ha dunque errato nell’escludere che un rilevante pregiudizio estetico e funzionale con deturpazione permanente del seno, in una giovane donna, potesse risultare elemento rilevante, in via presuntiva, ai fini dell’affermazione del danno morale, idoneo cioè a determinare una apprezzabile compromissione dell’equilibrio emotivo-affettivo del soggetto. E sbaglia ancora la Corte d’Appello nel circoscrivere l’onere probatorio del richiedente alle sole prove orali, senza prendere in considerazione la situazione della giovane come processualmente accertata e valutarla nella sua idoneità a produrre anche uno stato di sofferenza interiore in termini di ansia, infelicità, disaccettazione di se stessa e del proprio corpo così significativamente e irreparabilmente vulnerato dall’intervento sanitario. 

OPPORTUNITÀ NON È CERTEZZA
La decisione affronta altresì la tematica del cosiddetto danno da perdita di chanche. Gli Ermellini accolgono infatti altresì il motivo di ricorso teso a censurare la decisione di secondo grado, laddove questa ebbe a escludere il riconoscimento del richiesto danno da perdita di chanche.
La ricorrente lamenta, infatti, che era avviata a una carriera nel settore della pubblicità e della moda, oramai compromessa a causa dei rilevanti danni estetici conseguiti. La Suprema Corte censura la decisione di secondo grado poiché questa afferma che il danno da perdita di chance esige la prova, anche presuntiva, purché fondata su circostanze specifiche e concrete, dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere in termini di certezza, o di elevata probabilità, la sua esistenza. Ma la Corte di Cassazione ci ricorda che la prova deve invece sostanziarsi nella dimostrazione dell’esistenza e dell’apprezzabile consistenza di tale possibilità perduta, da valutarsi non in termini di certezza, ma di apprezzabile probabilità (nel caso di specie in termini di affermazione economica o nel mondo del lavoro nel campo prescelto, prova che può essere data con ogni mezzo e quindi anche a mezzo di presunzioni) e nell’accertamento del nesso causale tra la condotta colpevole e l’evento di danno (nella specie, le possibilità lavorative perdute).

ALLA BASE LA PRECLUSIONE DI UN VANTAGGIO SPERATO
La Corte di merito è caduta dunque in errore laddove ha affermato che la valutazione in termini di danno risarcibile della chance debba essere compiuta col metro della certezza e non piuttosto con quello della possibilità qualificata secondo i canoni di apprezzabilità, serietà, consistenza. Il danno da chance perduta consiste, infatti, non nella perdita di un vantaggio, economico e/o non economico, che sia certo e attuale, ma nella perdita della concreta possibilità di conseguire un vantaggio sperato. Nel caso di specie infatti la giovane ragazza non lamentava la perdita certa di una capacità reddituale già in atto, ma la perdita della possibilità di affermarsi nel campo che aveva prescelto, della cui riuscita non poteva essere ancora certa, ma rispetto al quale aveva delle apprezzabili probabilità di conseguire un risultato sperato. Dette possibilità, invece, dopo l’accaduto le sono state del tutto precluse.
Ecco dunque che doveva trovare ingresso la richiesta risarcitoria avanzata a titolo di perdita di chanche. 

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