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La “claims made” alla prova dei fatti

Non poteva passare molto tempo e l’attesa si sapeva non sarebbe stata lunga: ecco le prime conseguenze pratiche della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n.9140

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La portata potenzialmente “devastante” della sentenza resa dalle Sezioni Unite della Cassazione il giorno 6 maggio 2016 e rubricata al n.9140 ha reso un panorama del tutto nuovo nel regime del contratto per l’assicurazione della Rc professionale in generale, rimettendo la norma principe della regolazione temporale della copertura (la claims made o a prima richiesta fatta) a una sorta di limbo decisionale ove il singolo giudice interessato della controversia tra contraente e assicuratore sarà tenuto a valutare la legittimità della clausola in questione sotto l’aspetto della sua efficacia e “meritevolezza”.

Come abbiamo già avuto modo di osservare anche su queste pagine, la clausola non è stata dichiarata nulla, né vessatoria o illegittima rispetto al contesto di regolazione normativa che deriva dal nostro ordinamento contrattuale: l’art. 1917 C.C.. Ben può esistere dunque una clausola che, derogando al regime temporale di cui all’art. 1917 C.C. (fatto accaduto nel tempo dell’assicurazione) ammetta che il sinistro insorga solo quando pervenga all’assicurato la prima richiesta danni.

Tuttavia, al giudice è rimesso il potere di valutare se il singolo regime contrattuale risponda ad una regola di meritevolezza di tutela della clausola che delimiti, sul piano temporale, la copertura assicurativa e che quindi possa essere ritenuta valida ed efficace tra le parti.

In discussione la copertura temporale

Un primo caso pratico di applicazione del principio lo ritroviamo nella sentenza appena resa dal tribunale di Milano (Sez. I, Dott.ssa Flamini, 15 giugno 2016) chiamato ad esprimere un sindacato di meritevolezza su una clausola “claims made” contenuta nella polizza assicurativa della Rc professionale di un architetto progettista di un lavoro edile.

Nel caso specifico, a fronte di un conclamato errore professionale, l’assicuratore aveva eccepito l’inoperatività della copertura assicurativa perché, benché la denuncia di sinistro fosse intervenuta in pendenza di polizza, la clausola “claims made” prevedeva un limite alla retroattività oltre il quale era stato commesso il fatto/errore generatore del danno.

Il giudice, esaminando la meritevolezza della clausola predisposta dall’assicuratore, ne rilevava la illiceità sotto il profilo della sua inadeguatezza a dare un’efficace copertura alla responsabilità del professionista, perché “lo schema della responsabilità professionale in esame” è incompatibile con la regolazione del limite temporale imposto, “in ragione delle caratteristiche dell’opera intellettuale prestata e della inevitabile discrasia temporale tra l’esecuzione della prestazione e la manifestazione del  danno”. Troppo breve dunque, secondo il giudice, la retroattività dettata dalla clausola rispetto al rischio professionale dell’architetto.

Cosi determinata la illiceità della clausola come regolata nella disciplina negoziale, la stessa viene ritenuta nulla con la conseguenza che “trattandosi di clausola che deroga in senso meno favorevole all’assicurato, la stessa, ai sensi dell’art. 1932 II comma C.C., è sostituita di diritto dalla corrispondente disposizione di legge (costituita dall’art. 1917 comma I C.C.)”.

È in crisi la sostenibilità della polizza

È proprio questo però il punto critico sul quale si arena il filo logico della decisione in argomento e, se si vuole, lo stesso iter logico della sentenza n. 9140 della Cassazione: la riconduzione del regime contrattuale da “claims made” a “loss occurrance” (quindi dalla valenza della prima richiesta a quella del fatto generatore del danno) avrebbe dovuto portare allo scrutinio di validità temporale secondo lo schema, appunto, dell’art. 1917 C.C. richiamato. Nel caso di specie, si legge, la polizza decorreva nell’anno 2008 e l’errore era stato commesso nel 2004.

Affermando (conformemente a quanto stabilito dalla Cass. nella sentenza 9140) la necessità di ricondurre lo schema di polizza a quello del fatto accaduto in pendenza di polizza, la copertura in questione non poteva essere ritenuta valida proprio perché accesa dopo l’accadimento stesso.

L’effetto pratico ottenuto, in buona sostanza, è quello di un’estensione dell’efficacia della polizza ad una dimensione temporale allargata sia sul piano della durata (ampliata a dismisura) sia su quello della sproporzione tra il premio pagato e l’ampiezza della copertura divenuta pressoché assoluta.

L’impressione insomma è che si possa passare da una dimensione di possibile sotto assicurazione del rischio professionale a quello di un’estensione senza limiti delle polizze in essere con forte margine di indeterminatezza del rischio assicurato con le polizze in argomento e una perdita di equilibrio del rapporto tra premio e copertura temporale, a forte discapito dell’impresa di assicurazione.


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