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Claims made: il test della Cassazione al vaglio della giurisprudenza

Prosegue l’approfondimento sull’approccio delle corti verso le clausole cosiddette “a richiesta fatta”. Alcune sentenze dimostrano che nonostante la posizione delle Sezioni Unite permangono differenze di applicazione

Claims made: il test della Cassazione al vaglio della giurisprudenza hp_vert_img
SECONDA PARTE  

Le due sentenze rese a Sezioni Unite dalla Cassazione avrebbero dovuto fare definitiva chiarezza ed eliminare ogni incertezza interpretativa per il futuro.
Si registrano tuttavia in tempi recentissimi alcune decisioni della Suprema Corte che dimostrano come il dibattito attorno alla validità e idoneità delle clausole in esame sia destinato a durare.
Con sentenza n. 8894 del 13 maggio 2020, la Cassazione ha valutato la idoneità di una clausola claims made contenuta in una polizza di assicurazione della responsabilità sanitaria che prevedeva che vi fosse la richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato entro il periodo di vigenza della copertura, e che entro i 12 mesi successivi l’assicurato dovesse trasmettere la denuncia alla compagnia. In sostanza, dunque, era previsto un periodo di ultrattività della polizza, ma limitatamente alla denuncia del sinistro. 
Sotto questo profilo, la clausola era più favorevole all’assicurato rispetto a una claims made impura del tutto priva di ultrattività.
La Corte ha ritenuto che la clausola così strutturata fosse in contrasto con l’articolo 1341 C.c. in tema di clausole vessatorie (dal momento che tra queste vanno annoverate le clausole che prevedono termini di decadenza), e con l’articolo 2965 C.c., che prevede la nullità dei patti con cui si stabiliscono decadenze qualora venga reso eccessivamente difficile ad una delle parti l’esercizio del diritto.
La Cassazione (con motivazione invero alquanto singolare) ha ritenuto il termine di decadenza annuale nullo, poiché rendeva nel caso di specie eccessivamente difficile l’esercizio del diritto da parte dell’assicurato, sulla base del rilievo che tale esercizio del diritto dipendeva dalla previa richiesta di risarcimento da parte del danneggiato.

Un presupposto differente
Una sentenza di pochi giorni precedente (n. 8117 del 23 aprile 2020) ha ritenuto invece di condividere le valutazioni espresse dalle Corti territoriali con riguardo alla validità di due clausole claims made, sulla base di un ragionamento non del tutto lineare. Si ricostruisce dalla motivazione che le polizze non prevedevano una copertura postuma, ma includevano in garanzia anche condotte avvenute in un lungo periodo precedente la stipulazione, per cui avevano una estesa retroattività.
Per la Corte la clausola era idonea in quanto pienamente operante anche nel suo ultimo giorno di validità (o comunque nel periodo finale), in virtù del fatto che poteva essere presentata una richiesta di risarcimento del danno afferente a un periodo pregresso anche alla scadenza dell’ultimo giorno. 
La decisione sembra aver omesso ogni valutazione circa le perplessità espresse in precedenza nelle due ordinanze di rimessione alle Sezioni Unite. 
La Cassazione infatti, con la sentenza 28/04/2017 n° 10506, e poi con l’ordinanza di rimessione n. 1465 del 19 gennaio 2018, aveva stigmatizzato il ricorso a uno strumento che può determinare uno squilibrio a sfavore dell’assicurato e in generale conseguenze che la Corte ha ritenuto singolari, laddove fa sorgere nell’assicurato l’interesse a ricevere prontamente la richiesta di risarcimento e addirittura a sollecitare la stessa qualora l’assicurato sia consapevole di aver provocato un danno e si approssimi il termine di efficacia della polizza.

Possibili criticità nell’applicazione del test della Cassazione
Le divergenze di approccio da ultimo espresse dalla Suprema Corte sono ravvisabili anche nella giurisprudenza di merito.
Il test tracciato dalla Cassazione è stato infatti a più riprese applicato nell’ambito di giudizi pendenti innanzi a Tribunali e Corti d’appello, e sono già disponibili alcune pronunce che permettono di dare un primo quadro della posizione assunta dalla nostra giurisprudenza. Era in effetti probabilmente inevitabile che l’applicazione del test ai giudizi in corso avesse esiti discordanti.
Innanzitutto, la valutazione della idoneità della clausola, alla luce dei parametri da ultimo individuati dalla Suprema Corte, presuppone una ricostruzione delle intese contrattuali che hanno portato alla sua adozione.
Nella sentenza n. 8117/2020, ad esempio, la Cassazione evidenzia che la Corte d’appello aveva accertato che vi era stata la consapevolezza delle parti sui meccanismi di copertura operanti, escludendo che potesse esserci un uso strumentale della facoltà di recesso e una imposizione del contenuto a opera del contraente forte.
Una simile ricostruzione appare molto difficile da compiere in relazione ai rapporti contrattuali più risalenti. 

La difficoltà di ricostruire le intese
Un altro tema che si è rivelato complesso è quello dell’assolvimento dell’onere probatorio riguardo alla ricostruzione delle intese contrattuali e delle conseguenze nascenti dal mancato assolvimento di tale onere. 
È di regola l’assicurato che eccepisce l’inoperatività della claims made a essere tenuto a provare l’inidoneità della stessa per l’assenza di adeguate informazioni e/o squilibri nella fase della negoziazione della clausola. 
Tuttavia, come già reso evidente da alcuni precedenti, il test oggi tracciato dalla Cassazione impone simili approfondimenti in relazione a situazioni verificatesi molti anni prima, e in giudizi nei quali l’attività istruttoria si è già conclusa da tempo, e le censure volte all’indirizzo della clausola riflettono l’orientamento giurisprudenziale antecedente, incentrandosi sui soli classici temi della validità e vessatorietà della clausola. 
In un simile scenario l’assicurato si trova nell’impossibilità di fornire la prova della (in)idoneità della clausola a causa dell’esaurimento della fase istruttoria, a meno che la clausola di per sé (ossia alla luce della sua formulazione) non possa dirsi in contrasto con le indicazioni date dalla Cassazione nell’ultima sentenza a Sezioni Unite.

Persistono atteggiamenti differenti
Tra le pronunce rilevanti, è emblematico il salvataggio compiuto dal Tribunale di Roma di una clausola claims made impura, con retroattività a sei mesi, per la mancanza di pertinenti censure da parte dei deducenti. 
In quel giudizio, infatti, era stata denunciata soltanto la “vessatorietà della clausola claims made”, per cui il giudice non ha potuto esimersi dal rilevare che “i diversi profili di non meritevolezza o di nullità (…) non emergono ex actis ma avrebbero richiesto una approfondita istruttoria che non è stata né chiesta né svolta” (Trib. Roma, 9.11.2018).
Allo stesso modo la Corte d’appello di Napoli ha ritenuto non suscettibile di censura una claims made impura avente retroattività di due anni, per la “necessità (...) di un onere di allegazione, da parte del contraente” rispetto ai possibili aspetti di criticità evidenziati dalle Sezioni Unite 2018. La Corte ha infatti precisato che “in assenza di specifiche allegazioni e deduzioni in ordine ai profili su indicati, la polizza deve ritenersi valida ed efficace tra le parti” (App. Napoli, 28.1.2020).
Ha risolto in radice la questione la Corte d’Appello di Venezia in un recente caso avente a oggetto una polizza di Rc professionale di un avvocato, affermando che le statuizioni delle Sezioni Unite sul sindacato delle claims made non possono che valere per il futuro.
Infatti, seppure a proposito della precedente decisione a Sezioni Unite del 2016, la Corte ha affermato che “non può discorrersi nel caso all’esame di questo collegio della verifica circa la meritevolezza che le sezioni unite del 2016 avevano posto – peraltro in via astratta e pro futuro – con riguardo alle ipotesi di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile, non sussistendo all’epoca della stipulazione del contratto assicurativo da parte dell’avv. M. alcun obbligo di legge di assicurazione per i professionisti legali (essendo le norme relative all’obbligo assicurativo per la responsabilità civile professionale degli avvocati entrate in vigore solo il 10-11-2017 a seguito dell’emanazione del d.m. 22 settembre 2016” (App. Venezia, 19.6.2019).
La decisione tuttavia rappresenta a oggi un unicum, dal momento che le Corti sembrano aver applicato senza particolari incertezze le direttrici indicate dalla Cassazione, pur essendo pervenute a distanza di molto tempo dalla stipulazione della clausola e dall’avvio del giudizio. 



1 Rilevano l’insufficienza delle allegazioni/deduzioni del contraente anche Trib. Milano 24.1.2020, Trib. Roma 21.2.2020, Trib. Roma 22.10.2019 e App. Venezia 19.6.2019, meglio illustrate infra.

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