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Claims made, condizioni per una reale tutela

Per garantire efficacemente il professionista nell’effettivo esercizio della sua attività, occorrono anche un’ampia retroattività e la cosiddetta deeming clause. Elementi imprescindibili, secondo il commento di Dual Italia alla recente sentenza della cassazione in merito alla non vessatorietà della clausola, per evitare il rischio di carenza di copertura

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Con la tanto attesa sentenza  n. 9140 del 6 maggio 2016 delle Sezioni Unite, tutti gli operatori del mondo assicurativo speravano si fosse posta definitivamente la parola fine alla complessa diatriba sulla validità della clausola claims made. Ma è proprio così?

Il proliferare di commenti e riflessioni sul web e sulla stampa a valle della sentenza ha di fatto nuovamente aperto il dibattito in quanto, chiarito che la clausola è legittima e non vessatoria, la precisazione della Suprema Corte in merito al fatto che la stessa non debba implicare  “buchi di copertura” impone un esame approfondito sull’intero meccanismo di copertura delle polizze in regime di claims made.

In altre parole quando la clausola claims made è, oltre che valida, tale da non lasciare scoperto l’assicurato e pertanto tale da passare positivamente il vaglio del giudice, che caso per caso sarà chiamato a tale valutazione?

Da un punto di vista di copertura temporale, al di là dei rari casi di claims made pura, tanto è già stato detto (e ribadito nella recente sentenza)  sul fatto che, laddove sia previsto un periodo determinato antecedente la polizza durante il quale l’errore può essere stato commesso (una retroattività), tanto maggiori sono le limitazioni temporali dello stesso, tanto minori saranno le possibilità che l’esame riguardo la validità nel merito della clausola possa avere esito positivo.

Quindi: retroattività sì e il più ampia possibile.
Ma è sufficiente? La sola retroattività può davvero lasciare tranquillo l’assicurato?

COME EVITARE MECCANISMI DISTORSIVI

La sentenza ha sfiorato il tema “dell’idoneità” della polizza di Rc professionale a raggiungere lo scopo di garanzia che si prefigge, sottolineando come l’intervenuta obbligatorietà della stessa trova il su fondamento non solo nella tutela patrimoniale dell’assicurato ma anche in quella del cliente dello stesso invitando gli Ordini Professionali a verificare la portata delle polizze proposte anche alla luce di detto assunto e  al fine di evitare “buchi di copertura” a danno dei clienti.

E allora cosa rende una polizza in claims made una vera garanzia per un professionista che si assicura e per i propri clienti ?
Ferma la macro distinzione tra claims made pura e impura, e assodata la necessità della previsione di una retroattività, certamente l’altro essenziale aspetto da considerare è la presenza della cosiddetta deeming clause.

Sul mercato solo alcune polizze includono la deeming clause, che consente di garantire la copertura e la presa in carico da parte degli assicuratori oltre che, e come è ovvio, delle richieste di risarcimento anche delle cosiddette circostanze intese come quelle “situazioni a rischio” suscettibili di dare luogo ad una futura richiesta di risarcimento da parte di un terzo.

La denuncia e la presa in carico da parte degli assicuratori delle circostanze durante la decorrenza della polizza garantisce la copertura assicurativa per l’eventuale richiesta di risarcimento che dovesse eventualmente e successivamente pervenire all’assicurato anche dopo la scadenza della polizza.

E ciò anche se nel frattempo l’assicurato ha deciso di cambiare compagnia di assicurazione, aspetto per nulla banale rispetto alla preoccupazione che si avverte tra i professionisti derivante dalla mancanza, a fronte di un obbligo di assicurarsi, di un corrispettivo obbligo delle compagnie a contrarre.

La mancanza dell’obbligo a contrarre in assenza della deeming clause provoca infatti un evidente meccanismo distorsivo. Vediamo un esempio: il professionista che si accorge di aver commesso un errore, ma non ha ricevuto alcuna notifica da parte di terzi, si trova nella condizione di non essere tutelato dalla polizza perché il proprio assicuratore – legittimamente, in assenza della deeming clause – aprirà il sinistro solo al momento della formalizzazione della richiesta risarcitoria, ma nel frattempo potrebbe non essere “incentivato” a mantenere il cliente.

Il dibattito, giuridico ma anche mediatico, scatenato dalla sentenza della Cassazione ha dunque avuto il merito di porre l’attenzione su alcuni aspetti essenziali e spesso poco noti delle polizze di Rc professionali, affette da una vulgata che le vuole “tutte uguali” e da una lotta sul pricing che sminuisce il valore della copertura effettivamente garantita all’assicurato.  

In conclusione, ciò che gli intermediari – e gli Ordini Professionali chiamati a tale esercizio – devono tener presente è che solo la formula claims made abbinata ad un’ampia retroattività e alla deeming clause risponde efficacemente alle esigenze del professionista che si può mettere al riparo da eventuali future richieste di risarcimento ancor prima che queste si concretizzino e soprattutto sarà libero di cambiare la compagnia di assicurazione senza per questo rimanere privo di copertura.
Come sempre, un’attenta lettura dell’oggetto dell’assicurazione e del testo di polizza è dirimente in tal senso.





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