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La corte suprema chiarisce sul massimale

In una recente sentenza, il limite viene definito come elemento non essenziale del contratto assicurativo sulla responsabilità civile e sta alla compagnia provarne l’applicabilità

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Recentemente la Suprema Corte è intervenuta in materia di pattuizione del massimale con delle argomentazioni particolarmente articolate e, in quanto tali, meritevoli di attenta disamina.

In particolare, la sentenza della Terza Sezione della Suprema Corte, n. 3173, depositata il 18 febbraio 2016, offre numerosi spunti di riflessione sull'importanza, in qualsiasi polizza a copertura della responsabilità civile, della chiarezza delle disposizioni che provvedono riguardo massimali e sotto-massimali e, in particolare, sull'onere della prova circa la loro applicabilità in concreto.

Anzitutto, andando ad affrontare la questione dell'indicazione della misura del massimale, la Corte ha statuito che “è sempre onere dell'assicuratore provare l'esistenza e l'ammontare del massimale: sicché, ove l'assicuratore non lo assolva, la domanda di garanzia proposta dall'assicurato andrà accolta comunque, a prescindere da qualsiasi limite di massimale” (come già affermato da Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 17459 del 31/07/2006, Rv. 592071).

L’argomento alla base di detto principio è che il limite del massimale rappresenti un fatto impeditivo o modificativo della pretesa dell'assicurato e, per questo motivo, l'onere di provarne il fatto costitutivo, cioè di dimostrare che il massimale concordato tra le parti del contratto di assicurazione sia inferiore all'indennizzo invocato dall'assicurato, rimane onere dell’assicuratore.

L’assenza di eccezione sul punto, in corso di giudizio, dunque, nuoce alla compagnia assicurativa e non all’assicurato, la cui domanda di risarcimento può essere comunque accolta per l’importo richiesto. Al giudice non sarebbe possibile individuare il massimale, laddove la compagnia non dovesse sollevare eccezioni sul punto.

I punti chiave della sentenza

Nella pronuncia in esame, per l’argomento che ci occupa, possono essere individuati alcuni punti principali:
•    “la pattuizione d'un massimale non è elemento essenziale del contratto di assicurazione della responsabilità civile”, a differenza delle assicurazioni sulle cose dove il valore della cosa assicurata è elemento essenziale del contratto, essendo vietata la cosiddetta  soprassicurazione (ex art. 1908 c.c.) (in difetto, si consentirebbe “la percezione da parte dell'assicurato di indennizzi superiori al valore della cosa assicurata”;
•    la funzione che svolge il massimale infatti, nell’assicurazione per la responsabilità civile, è quella di evitare che l’assicuratore rimanga illimitatamente responsabile e “il contratto potrebbe essere dunque stipulato per un qualsiasi massimale, senza che ciò incida sulla natura o sulla causa del contratto, così come potrebbe essere stipulato per un massimale illimitato, ipotesi non sconosciuta alla prassi commerciale”;
•     “il "fatto costitutivo" della pretesa dell'assicurato ad essere tenuto indenne dal proprio assicuratore della responsabilità civile è l'avverarsi d'un sinistro che abbia le caratteristiche descritte nel contratto. L'esistenza del massimale e la sua misura non costituiscono dunque i fatti generatori del credito dell'assicurato, ma piuttosto i fatti limitativi del debito dell'assicuratore. In quanto tali, essi debbono essere allegati e provati da quest'ultimo, secondo la regola di cui all'art. 2697 C.C.”.
La funzione del limite massimo di copertura assicurativa (cosiddetto massimale) quindi, non è altro che quella di tutelare l’assicuratore evitando che rimanga illimitatamente responsabile dei danni provocati dall’assicurato, stabilendo a priori l’importo massimo che l’assicuratore si impegna a risarcire.

Il massimale non è clausola vessatoria

Recentemente, in un caso affrontato il Tribunale di Roma ha negato natura vessatoria alla clausola di polizza che introduce un massimale unico per sinistri accaduti prima della stipula, applicando un principio caro alla Suprema Corte, la quale ha in più occasioni sottolineato che “… sono da considerarsi clausole limitative della responsabilità, per gli effetti dell’art. 1341 C.C. quelle clausole che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito. Attengono diversamente all’oggetto del contratto quelle clausole che riguardano il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, specificano il rischio garantito” (Corte di Cassazione 4 febbraio 2002 n.1430).

Dunque, il massimale di polizza, incluso quello aggregato, non rientra tra le clausole vessatorie.

In ogni caso, alla luce della recente sentenza della Suprema Corte, appare evidente come sia raccomandabile, per la compagnia assicurativa, pattuire chiaramente quale sia l’ammontare del massimale (aggregato o non) ed essere pronta, in caso di necessità, a darne prova in sede giudiziale al fine di non vedersi condannata al pagamento di cifre spropositate ed extra massimale.





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