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Il giudizio della Consulta sulla mediazione obbligatoria

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La Corte Costituzionale, con comunicato del 24 ottobre scorso, haanticipato di aver dichiarato la illegittimità costituzionale, per eccesso didelega legislativa, del D. Lgs. 04.03.2010 n. 28, nella parte in cui haprevisto il carattere obbligatorio della mediazione.Premesso che per poter comprendere le ragioni che hanno portato la Corte a queste conclusioni, sarà necessario attendere che vengano rese pubbliche le motivazioni di tale decisione, ci permettiamo in questa sede alcune brevi considerazioni.
In primo luogo, era francamente prevedibile che, se la Corte Costituzionale si fosse attenuta al diritto, resistendo alle pressioni" e alle "ingerenze" che una tale decisione avrebbe comportato, avrebbe dovuto dichiarare l'illegittimità costituzionale della predetta normativa. La Dottrina ha infatti ripetutamente messo in luce i vizi ed i difetti sia formali (art. 76 della Costituzione) che sostanziali (artt. 3, 24 e 111 della Costituzione) della normativa di cui al D. Lgs. n. 28/2010.
Circa la violazione dell'art. 76 della Costituzione, ci limitiamo a ricordare che il principio e il criterio direttivo della legge delega (art. 60 della Legge 18.06.2009 n. 69) a cui si sarebbe dovuto attenere il Governo era quello di prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, avesse: "per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l'accesso alla giustizia" .
Tralasciando in questa sede la questione della "disponibilità" o meno di alcuni diritti rientranti nelle materie oggetto della mediazione, è evidente come nella Legge Delega non vi fosse alcuna traccia della cosiddetta "obbligatorietà", e cioè di quanto poi ha previsto l'art. 5 del D. Lgs. n. 28/2010, che ha imposto l'esperimento del procedimento di mediazione come "condizione di procedibilita' della domanda giudiziale" per numerose materie del contenzioso civile ("condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari").

DAL CLAMORE MEDIATICO ALLE LACUNE DELLA NORMATIVA
La verità, purtroppo, è che l'introduzione della mediazione in Italia è stata accompagnata (e continua ad esserlo anche nei primi commenti successivi alla decisione della Consulta) da una "propaganda" (soprattutto sui mass media non tecnici - organi di stampa e televisioni) che ha tentato (per evidenti interessi di carattere politico ed economico) di celare scientemente le gravi lacune della normativa ed i problemi sostanziali relativi alla sua applicazione. Alcuni esempi. In primo luogo, si è cercato di far passare il principio che la mediazione, così come è stata introdotta, sarebbe stata imposta dall'Unione Europea, quando invece la Direttiva Europea a cui viene fatto riferimento (2008/52/CEE), ed a cui è stata data attuazione dal Legislatore, riguardava le controversie transfrontaliere (e non quelle nazionali, a cui va detto, avrebbe potuto peraltro essere estesa), e non ne prevedeva la necessaria obbligatorietà. In sede europea, d'altro canto, le perplessità circa le modalità con cui lo Stato Italiano ha recepito la Direttiva 2008/52/CEE sono del resto già state manifestate dalla Commissione Europea nelle osservazioni presentate in data 04.04.2012 alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea nel procedimento C - 492/11.
In secondo luogo, la mediazione è stata resa applicabile, senza limiti di valore, a una serie di materie del tutto eterogenee tra loro, senza alcun discernimento, sul presupposto, del tutto errato, che alcune di queste fossero di "facile soluzione".
Tra queste, le controversie in materia di "responsabilità medica", che sono state oggetto della mediazione obbligatoria, perchè sarebbero state "più facilmente mediabili" e "caratterizzate da una complessità che può essere più facilmente dipanata in ambito stragiudiziale" (vedi Relazione illustrativa al D. Lgs. N.28/2010). Sarebbe stato sufficiente rivolgersi a coloro che operavano nel settore per rendersi conto che la realtà era completamente differente. Così come l'introduzione della materia del risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti è stata quantomai opinabile (lo stesso Legislatore non lo aveva previsto nella redazione originaria del medesimo D. Lgs. n. 28/2010), dal momento che per questo settore esiste già un percorso di "mediazione obbligatoria", soggetto a controllo Isvap, e che, se non rispettato, comporta tra l'altro, la declaratoria di improponibilità della domanda giudiziale, ai sensi degli artt. 145, 148 e 149 del Cda.

UN PROCEDIMENTO POCO UTILIZZATO
Anche l'efficacia dell'istituto, così come è stato congegnato, si è peraltro rivelata essere sino a oggi deficitaria (circostanza anche questa passata sotto silenzio). I dati ufficiali dello stesso Ministero della Giustizia circa l'andamento delle mediazioni sono emblematici. La cosiddetta mediazione obbligatoria, (che anche nell'ambito della responsabilità professionale medica è in vigore, lo ricordiamo, dal marzo 2011, e quindi da oltre un anno e mezzo) è stata sino ad ora un fallimento. Solo il 17% delle procedure ha avuto un esito risolutivo della controversia (fonte Il Sole 24 Ore del 25.10.2012). Del resto, nell'unica materia di rilevante entità ove un preventivo tentativo obbligatorio di conciliazione era previsto a pena di improcedibilità della domanda (vedi artt. 410, 410 bis e 412 bis cpc) il Legislatore è intervenuto abolendolo, stante l'assoluta inefficacia e disapplicazione dell'istituto (Legge 04.11.2010 n. 183).

LA GIUSTIZIA COME UN DIRITTO DEL CITTADINO
Il tutto per non parlare dell'aspetto più importante, che è quello del rispetto dei diritti dei cittadini italiani, i quali hanno il diritto costituzionalmente garantito di accedere alla giustizia al fine di veder affermate le proprie ragioni (art. 24 della Costituzione) e pagano, tra l'altro, le imposte per garantire che il servizio giustizia venga erogato dallo Stato e non da organismi privati che debbono essere pagati, con dei costi che raggiungono degli importi assolutamente non indifferenti per le materie di non scarso valore (non corrisponde al vero, infatti, che la procedura di mediazione è gratuita, come falsamente è stato propagandato al momento di presentare l'istituto).
Questi sono solo alcuni esempi. Siamo costretti, per motivi di spazio, a tralasciare altri problemi quali la imparzialità e la competenza degli organismi di mediazione (ad oggi vi sono in Italia 948 organismi di mediazione e 365 enti di formazione dei mediatori iscritti nei registri del Ministero !), la possibilità di sanzionare chi non si presenta alla procedura di mediazione sia sotto il profilo economico, che sotto quello delle conseguenze nel processo successivamente incardinato, la mancata previsione di una competenza territoriale, la previsione che il mediatore possa formulare una proposta "anche in assenza di richiesta concorde delle parti" o addirittura anche in assenza di una delle parti, ecc..
La verità è che la obbligatorietà della mediazione non rispondeva a una finalità di ampliamento della tutela dei diritti dei cittadini ma a un mero intento deflativo dell'accesso alla giurisdizione, con la contestuale creazione di nuovi posti di lavoro.
In pratica è stato creato un istituto che è privo di quelle che sono le caratteristiche essenziali della mediazione, come molto onestamente ammettono anche coloro che nella mediazione lavoravano prima del 2010, e cioè: la partecipazione volontaria da parte dei soggetti in lite ed il ruolo di mera assistenza del mediatore nei confronti delle parti.
In definitiva, se l'intenzione del Legislatore rimarrà quella di "privatizzare" la giustizia, non essendo in grado lo Stato italiano di gestire l'ordinamento giudiziario, stravolgendo i principi del nostro ordinamento, dovrà farlo quantomeno rispettando l'iter di formazione del relativo provvedimento legislativo che, si spera, la prossima volta tenga conto e rispetti i diritti costituzionali dei cittadini.


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