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Clausola claims made e responsabilità precontrattuale dell’assicurato

Una sentenza della suprema Corte di Cassazione, la n. 7273 del 22 marzo 2013, consente di richiamare alcuni aspetti ancora oggi controversi e complessi della disciplina assicurativa della responsabilità professionale

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La vicenda riguarda un avvocato al quale il cliente imputava incuria e negligenza nella conduzione dei suoi interessi, per avere lasciato prescrivere il proprio credito, non solo avendo provocato l'estinzione di una procedura esecutiva da lui promossa, ma anche per avere consentito che tale estinzione trascinasse con se anche l'intero diritto riconosciuto dal titolo a suo favore, appunto per prescrizione.
I due giudizi di merito si concludono con la condanna in proprio dell'avvocato a risarcire il danno al cliente senza poter beneficiare della copertura assicurativa invocata sia per l'esclusione prevista dalla clausola c.d. claims made, sia perché l'avvocato aveva omesso al momento della stipula della polizza di segnalare all'assicuratore di essere al corrente di elementi certi dell'accadimento e del possibile sinistro poi denunciato (art. 1892 c.c.).
Il professionista ricorre in cassazione lamentando, a suo dire, l'errata valutazione della corte di merito sul duplice aspetto, che ha portato all'esclusione della garanzia impropria da parte dell'impresa di assicurazione, la quale resiste con controricorso.

CLAUSOLA ATIPICA MA NON ILLEGITTIMA
La suprema Corte, nel respingere le censure, richiama due aspetti di rilievo nella disciplina del settore.
Da una parte viene riaffermata la perfetta legittimità della clausola definita claims made in forza della quale ha rilevanza - per la generazione del sinistro - la data della richiesta risarcitoria pervenuta per la prima volta all'assicurato, indipendentemente dalla data dell'errore o della negligenza commessa ed a lui contestata.
Tale clausola, ribadisce la Corte, non è illegittima, benché possa ritenersi atipica rispetto al contesto dell'art. 1917 c.c. (intitolato assicurazione della responsabilità civile) dal quale deroga nella parte in cui preveda che il contratto debba coprire il fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione".
Semmai il giudice dovrà valutare caso per caso se la stessa clausola sia da ritenere vessatoria e quindi accertare l'espressa approvazione (la doppia firma) dell'assicurato al momento della conclusione del contratto. Sul punto va detto che questo orientamento non è pacifico nella stessa giurisprudenza della Corte, se si pensa che in altre decisioni è stata affermata la vessatorietà automatica della clausola e quindi l'obbligo di approvazione espressa da parte dell'assicurato (si veda Cass. N. 5624 del 15 marzo 2005).
Né va dimenticato quell'orientamento che ancora (tra la giurisprudenza di merito) ritiene la clausola invece del tutto nulla sul principio della non derogabilità dell'art. 1917 c.c. secondo lo schema temporale sopra rammentato. Quest'ultimo orientamento, che esclude la validità comunque della clausola claims made, non trova conforto nelle decisioni della Corte di Cassazione ma è in ogni caso da tenere presente alla stregua di memento per le volte in cui (non di rado) si leggano clausole che limitino l'operatività della copertura non solo alla richiesta danni pervenuta in epoca di validità del contratto, ma che anche escludano ogni retroattività richiedendo quindi che anche il fatto sia occorso in pendenza di polizza. Tali restrizioni si palesano viepiù contrarie non solo alla natura del contratto in argomento, ma anche, su un piano strettamente fattuale, alla stessa regola della causalità del contratto, secondo la ratio dell'art. 1325 c.c..

LA RETICENZA DELL'ASSICURATO
La sentenza, come detto, traccia anche un chiaro solco in tema di responsabilità precontrattuale dell'assicurato che ometta (con dolo o colpa) di comunicare all'assicurazione l'esistenza di fatti a lui noti tali per cui l'assicuratore avrebbe omesso di concludere il contratto o lo avrebbe concluso a condizioni diverse (art. 1892 c.c.).
Nel caso di specie, la corte territoriale aveva accertato che il professionista stipulante quando aveva sottoscritto la polizza "era ben conscio che i danni poi discussi in giudizio si erano già verificati e che, con notevole probabilità, sarebbe stato chiamato a risponderne".
In tema di contratto di assicurazione, la reticenza dell'assicurato è causa di annullamento negoziale quando si verifichino cumulativamente tre condizioni: a) che la dichiarazione sia inesatta o reticente; b) che la dichiarazione sia stata resa con dolo o colpa grave; c) che la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell'assicuratore.

Filippo Martini,
Studio legale Mrv

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