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Rischio Nat-Cat: gli strumenti ci sono, manca la cultura

Migliorano gli strumenti di analisi forniti dalla scienza, ma in Italia la cultura della tutela del rischio da catastrofi naturali è ancora limitata: alle best-practice di alcune aziende si associano imprese che corrono sul filo del danno irrimediabile. E la copertura obbligatoria va bene, in un contesto di solidarietà e prevenzione

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In un Paese come l'Italia, stupisce che la cultura del crisis management sia ancora così arretrata: non è necessario essere un risk manager per prevedere che il rischio sismico o di alluvioni non è eventualità rara e per pensare ad adottare forme di tutela. Lo imparano, purtroppo a proprie spese, le molte imprese che subiscono un evento naturale, e che hanno sempre sottovalutato l'importanza di una copertura o di adeguata prevenzione. Ma, come è stato illustrato al convegno di ieri Emergenze e Crisis Management: istruzioni per l'uso, organizzato da Anra, l'associazione italiana dei risk manager e responsabili assicurazioni aziendali, le soluzioni per prevedere e contenere i danni da terremoto ci sono e potrebbero essere applicate nell'ambito di un disegno complessivo di presa d'atto e azione. Sullo sfondo di tutti gli interventi aleggiano i dati di una ricerca, citata da Paolo Tassetti, property and technical lines manager di Ace group: nel 2013, un terzo dei danni causati a livello mondiale dalle catastrofi naturali era assicurato, limitatamente all'Europa la percentuale sale al 50% dei danni. In Italia, però, è pari al 10% del totale dei danni, informazione ancora più eclatante se si pensa che i danni conseguenti al terremoto della Nuova Zelanda (area notoriamente sismica) erano assicurati al 78%: nel nostro Paese - spiega Tassetti - il problema della percezione del rischio è quindi fondamentale".

STRUMENTI E MODELLI PER LA PREVENZIONE

Gli strumenti però ci sono, e la previsione dei terremoti, intesa come capacità di capire il rischio sismico di una determinata zona, è una disciplina che si sta sempre più affinando. Ne hanno illustrato le caratteristiche Marco Santulin e Denis Sandron, studiosi del Centro ricerche sismologiche dell'Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale, che attraverso l'esemplificazione di alcuni progetti che stanno seguendo hanno chiarito quali sono i criteri che permettono di calcolare la prevedibilità di un terremoto: i metodi di calcolo adottati associano vari parametri come la storicità sismica della zona, la presenza di faglie attive o dormienti, il calcolo dei periodi di ritorno e la specifica analisi della zona. La pericolosità sismica, associata alla vulnerabilità di un sito e al valore esposto, determina il rischio sismico.

VALUTAZIONE DEL PATRIMONIO E MESSA IN SICUREZZA COME ELEMENTI STRATEGICI

È seguita la presentazione di due casi, il primo relativo alla valutazione del rischio sismico adottato da Telecom Italia e presentato da Paolo Rubini (nella foto), responsabile assicurazioni in Telecom Italia e presidente di Anra, per gli oltre 10 mila siti presenti in Italia; il secondo relativo allo specifico caso di messa in sicurezza di uno stabilimento strategico di Prysmian group situato in zona sismica, presentato da Alessandro De Felice, Cro dell'azienda. A fronte di due casi di eccellenza come quelli illustrati, esistono migliaia di aziende, che non prendono in considerazione le conseguenze dirette (e soprattutto indirette) di una catastrofe naturale: un caso esemplare è stato presentato da Filippo Emanuelli, amministratore delegato di Belfor Italia relativamente a un salvataggio compiuto in un'impresa a seguito del terremoto in Emilia Romagna.

TUTELARSI È QUESTIONE DI CULTURA SUL RISCHIO?

Il tema della cultura del rischio nelle imprese, e più ampiamente della cultura del rischio catastrofale nel nostro Paese, è stato al centro della tavola rotonda a cui hanno partecipato Giancarlo Dalle Fratte, responsabile property di Gc&c Italia Generali Italia, e Daniele Ortelli, head of loss prevention di Gc&c Italia Generali Italia, e Paolo Tassetti di Ace Group. Il dato citato da Tassetti di Ace, sulla percentuale del 10% dei danni da terremoto in Emilia Romagna coperti da assicurazione, paragonato al 78% della Nuova Zelanda, apre una serie di interrogativi, a partire dalla scarsa percezione del rischio. Secondo Ortelli per colmare in parte l'abisso tra i casi di Telecom e Prysmian Group e quello dell'azienda emiliana, citata in precedenza, si dovrebbe eseguire una macro analisi in azienda rispondendo a quattro questioni fondamentali: dove è costruito lo stabilimento, quando stato progettato e costruito, come è caratterizato e con quale scopo è stato costruito. Fatto ciò, per Giancarlo Dalle Fratte, diventa anche più semplice definire un pricing corretto per la compagnia, formato dall'analisi del rischio sismico e dal business continuity plan predisposto dall'impresa. Sul tema, sia Generali che Ace hanno sottolineato come la capacità di copertura dei danni in Italia ci sia, ma è fondamentale che l'imprenditore metta a completa conoscenza dell'assicuratore quali sono i suoi rischi.

UNA RESPONSABILITÀ NON SOLO PRIVATA


Da ultimo, Alessandro De Felice ha fatto notare che la concausa del disinteresse per la tutela dal rischio sismico, piò essere anche un approccio poco incisivo delle amministrazioni pubbliche e della politica nazionale sul rispetto delle norme sulla sicurezza o, a livello più alto, su decisioni concrete in merito alle coperture catastrofali obbligatorie. La posizione di Anra è chiara, ed è a favore di un sistema che preveda l'obbligatorietà della copertura catastrofale all'interno della polizza danni, ma associata a concrete attività di prevenzione e controllo del rischio. Tutti gli intervenuti hanno concordato sul fatto che l'obbligatorietà sia una soluzione che va a toccare molti punti del problema catastrofi naturali: se si intendono, ad esempio, le catastrofi come problema della collettività prima che dei singoli, la copertura danni diventa anche un dovere civico perché il danno di un singolo ricade su tutti gli stakeholder. Allo stesso modo la copertura danni sottoscritta da un'azienda all'interno di un sistema di non obbligatorietà diventa una garanzia limitata agli impianti e al patrimonio, che non tutela dalle difficoltà derivanti dall'assenza di prevenzione e coperture, ad esempio, da parte di fornitori locali. La logica collettiva delle coperture da danni catastrofali permetterebbe inoltre, secondo Dalle Fratte e Ortelli, di evitare le conseguenze di un mercato selettivo per compagnie e aziende; inoltre come sottolinea Tassetti, "non va sottovalutato che l'obbligatorietà associata a un fondo statale può garantire premi più equi e non differenziati in maniera marcata tra zone a rischio e non a rischio". In conclusione, Rubini ha sottolineato come "un'adeguata cultura del rischio catastrofale sia uno dei temi su cui Anra maggiormente si impegna per sensibilizzare gli imprenditori, richiamando comunque al dovere di operare in maniera concreta anche dal punto di vista normativo".

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