L’economia italiana è al palo, nonostante alcuni aspetti positivi
In un’analisi sulla situazione italiana, Coface fotografa un paese intrappolato nei sui difetti storici: bassa produttività, mercato del lavoro poco qualificato e incapacità di trasformare lo slancio degli investimenti in cambiamenti strutturali
Nel secondo trimestre del 2025 il prodotto interno lordo italiano si è contratto dello 0,1% rispetto al trimestre precedente: è il primo calo in due anni ma, secondo l’ultima analisi di Coface, il dato conferma "la fragilità della ripresa", in un paese che solo alla fine dello scorso anno è riuscito faticosamente a tornare ai livelli del Pil pre-crisi finanziaria del 2008.
La contrazione, che non può essere ancora considerata recessione perché occorrono due trimestri consecutivi con il segno meno, è dovuta principalmente alla flessione della domanda estera, fa sapere Coface: le esportazioni sono diminuite del 2,2% nel trimestre in questione, a seguito di un picco, ma solo temporaneo, dovuto all’anticipazione dei nuovi dazi voluti dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. L’Italia sconta anche la debolezza dei suoi principali partner commerciali, così come le incertezze geopolitiche.
Ma vanno male anche i consumi delle famiglie, definiti "stagnanti" e appesantiti dalla scarsa fiducia e dal potere d’acquisto che resta timido nonostante la stabilizzazione dell’inflazione.
Si torna alle vecchie abitudini
"L’Italia – ha spiegato Laurine Pividal, economista per il l’Europa del sud di Coface – è stata protagonista della ripresa post-pandemia in Europa, ma la sua economia sta tornando alle vecchie abitudini: la domanda interna ristagna, il commercio estero è sotto pressione e il paese fatica a trasformare lo slancio temporaneo in crescita sostenibile".
Nonostante gli investimenti, sostenuti dai fondi europei del piano Next Generation Eu, l’Italia non riesce a trovare lo slancio. I soldi del meccanismo europeo costruito in occasione della pandemia di Covid-19 costituiscono il principale motore della crescita italiana; d’altra parte il Belpaese è stato il principale beneficiario (oltre 190 miliardi di euro) e ha già ricevuto 122 miliardi, pari al 63% delle risorse totali assegnate, ben al di sopra degli altri Stati (media Ue 49%).
Queste risorse, che come ricorda Coface sono destinate a "riforme strutturali e investimenti in aree strategiche a lungo termine come la digitalizzazione, la transizione ecologica e la coesione sociale", avrebbero dovuto generare un effetto moltiplicatore stabile, che però, al momento, non s’è visto.
Occupazione, cosa dicono davvero i dati
Eppure l’Italia, grazie al rigore fiscale e alla graduale riduzione dell’impatto del Superbonus sulle casse dell’erario, è riuscita a dimezzare il disavanzo pubblico nel 2024, attestandosi al 3,4% del Pil, un miglioramento che ha raffreddato notevolmente i mercati conducendo così a una riduzione dei tassi di interesse sui titoli di Stato.
Tuttavia, ricorda l’assicuratore francese, il debito resta elevato, cosa che non permette ampi margini di manovra, anche perché la crescita potenziale resta debole.
Parallelamente, dal mercato del lavoro sembrano arrivare solo notizie positive, con un tasso di disoccupazione al 6% e un livello occupazionale record al 62,8%. Peccato che questi dati, se analizzati attentamente, nascondano una situazione meno rosea di quanto possa apparire: la creazione di posti di lavoro, sottolinea Coface, si concentra essenzialmente in settori a bassa produttività, come l’edilizia, il commercio al dettaglio e l’hospitality, e comprende soprattutto lavoratori over 50. La produttività pro capite resta in calo, cosa che non permette al paese di uscire dal circolo vizioso della crescita zero.
Secondo Pietro Vargiu, country manager di Coface Italia, tutti i dati confermano che l’andamento dell’economia italiana, al di là di alcuni indicatori favorevoli, mostra "fragilità profonde" che ne limitano il potenziale di crescita: "la contrazione del Pil nel secondo trimestre, il rallentamento delle esportazioni e una produttività in declino segnalano che il paese non ha ancora sciolto i nodi strutturali che lo accompagnano da anni", sottolinea Vargiu.
"Per le imprese italiane questo significa dover fronteggiare da un lato rischi crescenti legati a volatilità e incertezza, dall’altro la necessità di individuare nuove traiettorie di sviluppo per restare competitive", conclude il country manager.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
coface,
👥
