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Generali, l’audizione di Philippe Donnet in Commissione Banche

Il group ceo ha rivendicato le scelte e ha detto che gli eventuali pericoli per le sorti della compagnia non arrivano dall’estero ma dall’interno del nostro Paese

Generali, l’audizione di Philippe Donnet in Commissione Banche
Si è tenuta ieri l’audizione del group ceo di Generali, Philippe Donnet, e del presidente Andrea Sironi, davanti alla Commissione Banche della Camera. Un appuntamento che era stato inizialmente previsto prima dell’assemblea del 29 aprile e che era stato rinviato dopo qualche strascico polemico e le dimissioni dell’On Luigi Marattin da componente della commissione.

Nel corso dell’audizione, Donnet ha puntualizzato su vari aspetti su cui è alta la sensibilità dell’opinione pubblica nei confronti di Generali. Primo tra tutti la questione dell’italianità.  “Spesso – ha detto – i pericoli per le Generali non vengono da fuori ma da questo Paese. Non c’è differenza – ha aggiunto – tra azionisti italiani e stranieri. Sono qui da nove anni, sono francese e anche italiano e leggo da nove anni quest’invenzione dei francesi” che secondo rumors ricorrenti sarebbero interessati a Generali. Secondo Donnet, “è una fantasia dei giornalisti, ma non esiste. Se c’è stata una minaccia – ha aggiunto – c’è stata cinque anni fa, ma non da fuori, da questo Paese”. Il riferimento è al tentativo di scalata, quasi subito sfumato, da parte di Intesa Sanpaolo.

Donnet, inoltre, rispondendo a alle domande dei deputati, ha detto che “non c’è alcuna ipotesi di aggregazione con Unicredit, e non rientra nella nostra strategia”. Un’integrazione che “non ha senso – ha aggiunto – perchè stiamo parlando di due cose diverse, di due business differenti, che indebolirebbe entrambe”. Un principio, a suo dire che “vale per qualunque società. Ė vero che abbiamo Banca Generali - ha osservato – ma è una società di wealth management e non c'entra niente con una banca”.

L’Italia è centrale e l'acquisto di Cattolica lo dimostra

Il group ceo ha anche sottolineato la centralità dell’Italia nella strategia di Generali: “non avremmo acquistato Cattolica se non lo fosse”, ha detto, precisando: “vogliamo integrarla nel modo giusto in Generali, e vedo solo impatti positivi nella nostra strategia e per l’integrazione di Cattolica per Verona e per l'Italia nei prossimi anni”. Secondo Donnet “la Fondazione Cattolica deve avere un ruolo sempre più importante per fare arrivare le ricchezze nel territorio in cui è radicata. Dovremmo avere più fondazioni nel nostro azionariato – ha aggiunto – e sono straconvinto dell’importanza della ridistribuzione della ricchezza sul territorio”.

Quanto all'aspetto occupazionale dell'integrazione, oggetto di una domanda alla Commissione Banche, Donnet ha ricordato che “nel passato non abbiamo chiuso le sedi delle società che si sono aggregate con Generali e non chiuderemo la sede di Verona. Generali ha fatto un buon affare con Cattolica? “L'ho sentito dire da qualcuno – ha risposto Donnet – e ho sentito anche chi pensa il contrario. L’affare deve essere buono per tutti gli stakeholders. Per noi è un’ossessione dare benefici a tutti gli stakeholder, ci saranno sinergie tra Cattolica e Generali ma nel rispetto delle persone, dell'occupazione e del territorio”:

Generali non può essere di un solo imprenditore, ma di tutti

Sullo spinoso nodo della governance, senza citare direttamente il principale antagonista della partita, Francesco Gaetano Caltagirone, il group ceo ha voluto sottolineare che “le Generali non sono proprietà di qualcuno, ma un bene di tutti. Non si può fare il confronto tra l'ultima assemblea e le precedenti – ha spiegato – perchè due anni fa il cda aveva proposto di attribuirsi la possibilità di presentare alla prossima assemblea una propria lista, seguendo un modello di governance già adottato in tante società internazionali. Una possibilità – ha ricordato Donnet – votata al 99% in assemblea così il cda ha deciso di andare avanti perché quando si parla di Esg non si parla solo di S (sostenibilità, ndr) ma anche di G (governance, ndr). Se è così importante la governance – ha proseguito – non deve essere proprietà solo di alcuni ma di tutti. Alcuni – ha argomentato il manager, riferendosi evidentemente a Caltagirone – avevano una visione diversa, ma è anche giusto che sia così. Quindi è stata proposta in modo molto netto e chiaro una scelta all'assemblea degli azionisti, che hanno fatto una scelta ben precisa e vogliono questo tipo governance. Andiamo avanti su questa strada – ha aggiunto Donnet - che è quella giusta”.

Non basta solo la redditività: serve anche sostenibilità

Per quanto riguarda invece gli aspetti industriali, Donnet ha sottolineato che con il Piano al 2024 presentato lo scorso dicembre, il Leone di Trieste punta a “essere leader in Europa, mantenendo la solidità finanziaria per poter superare qualsiasi tipo di scenario negativo. Vogliamo usare questi tre anni per proiettare le Generali in un futuro e nel digitale, investendo anche nella formazione delle nostre persone. È molto importante mantenere la solidità finanziaria del gruppo per essere in grado di sostenere qualsiasi scenario”, ha spiegato il group ceo, osservando che il gruppo ha “gestito la fase del Covid molto meglio dei nostri rivali. Così non era stato nella crisi del 2008 – ha proseguito – che ci ha richiesto 10 anni per recuperare. Oggi sappiamo che ci aspettano nuove sfide come la guerra e le sue conseguenze economiche, vogliamo essere preparati per affrontare qualsiasi scenario e lo siamo. Vogliamo poi essere leader nella sostenibilità – ha aggiunto – e siamo riconosciuti per questo dai riconoscimenti ufficiali che abbiamo ricevuto. Oggi – ha concluso Donnet – non bastano più la redditività, il dividendo e il ritorno sul capitale, il gruppo deve anche dimostrare con sincerità il suo impegno sociale e per l'ambiente”.

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