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Danno da perdita del bene vita: primi effetti della sentenza n. 1361

A un mese e mezzo dal discusso pronunciamento della Corte di Cassazione, le prime pronunce in merito non accolgono quanto espresso nel testo, rifiutando la nuova figura di danno e mostrando, a vario titolo, perplessità su cui si rende necessario un chiarimento

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Dopo il clamore suscitato dalla sentenza n.1361 depositata dalla Corte di Cassazione lo scorso 23 gennaio (presidente dott. Russo, rel. dott. Scarano), e di cui abbiamo dato notizia su questo giornale nell'edizione del 28 gennaio (n. 444), ci pare giusto dare conto oggi delle prime reazioni e degli effetti registrati prevalentemente nella magistratura ordinaria, la sola demandata (se del caso) alla applicazione del principio innovativo proposto con la nota sentenza.
Rammentiamo che, nella decisione rubricata al n.1361, la Corte di Cassazione ha stabilito (in modo del tutto innovativo) che costituisce danno non patrimoniale risarcibile anche il danno da perdita della vita, quale bene supremo dell'individuo, oggetto di un diritto assoluto e inviolabile garantito in via primaria da parte dell'Ordinamento, anche sul piano della tutela civilistica".
Ancora, si legge nella motivazione, che questo "danno da perdita della vita è altro e diverso, in ragione del diverso bene tutelato, dal danno alla salute, e si differenzia pertanto dal danno biologico terminale e dal danno morale terminale (o catastrofale o catastrofico) della vittima, rilevando ex se nella sua oggettività di perdita del principale bene dell'uomo costituito dalla vita".
Non rileva tanto il profilo di critica, che anche da parte nostra abbiamo evidenziato, circa l'antigiuridicità della motivazione con la quale la Corte si propone di allegare un danno del tutto avulso dal sistema risarcitorio consolidatosi nel nostro ordinamento in tanti anni di giurisprudenza della stessa Corte (anche con pronunzie rese a Sezioni Unite e quindi dalla valenza nomofilattica cogente). Più interessante è monitorare le prime reazioni rese dalla magistratura di merito sotto forma di prime sentenze chiamate a decidere sul punto risarcitorio dopo l'affermazione del principio.

UNA PRONUNCIA CHE NON SUPERA IL PROBLEMA DI FONDO
Così, ad esempio, pochi giorni dopo il deposito della decisione in argomento, la Corte di Appello di Milano, chiamata dall'appellante ad applicare il principio proposto e, di contro, a disattendere i precedenti orientamenti di segno contrario, ha respinto la richiesta di danno da perdita del bene vita: l'argomentazione sostiene che "la corte condivide appieno la motivazione del primo giudice (che aveva respinto la richiesta di liquidazione del danno da perdita del bene vita, ndr), pur essendo nota la recentissima sentenza contraria della suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass. N. 1361 del 2014), per altro contrastata da altre pronunzie conformi all'indirizzo seguito dal primo giudice e che questa Corte condivide" (Corte di Appello di Milano, n. 495 del 18 febbraio 2014).
La conoscenza della decisione, la sua comprensione, accompagnata alla non condivisione degli arresti raggiunti, e della pretesa di elevare il nuovo danno da perdita del bene vita, è matrice di ragionamento anche nelle motivazioni che, in due altrettanto recentissime sentenze, portano il tribunale di Roma al rifiuto di adottare la nuova argomentata figura di danno (nn. 3018 e 3708 del 2014).
Si legge, infatti, in alcuni passaggi delle citate decisioni che l'estensore non ritiene di dare ingresso alla sentenza n. 1361/2014 perché "si ritiene che la pronuncia, ancora isolata, non riesca a superare in modo convincente il problema dell'assenza del centro d'imputazione in capo ad un soggetto non più esistente" e ancora che la decisione suggerisce "un mutamento di prospettiva che, però, non fornisce risposte concrete alla frantumazione del sistema attualmente vigente su cui si fonda il meccanismo di trasmissione dei beni iure hereditatis" .
Sono queste, riferite nelle massime, le prime decisioni di merito registrate dopo l'affermazione del principio (quelle a noi pervenute: tutte, come si vede, di senso contrario alla sentenza 1361), che riportano i principali spunti di censura del nuovo danno come ideato nella sentenza della Corte di Cassazione, che quindi comincia a presentare il conto sul piano pratico delle proprie incongruenze motive e giuridiche.

POSSIBILE COINVOLGIMENTO DELLE SEZIONI UNITE
La novità dell'ultim'ora è però data dall'ordinanza della suprema Corte stessa che, in data 4 marzo 2014, ha rimesso al Primo Presidente della Corte di Cassazione una questione di merito ove si dibatteva dello stesso danno, perché egli valuti l'opportunità di assegnare la decisione sulla controversa questione alle Sezioni Unite, in modo da trovare un condiviso o prevalente orientamento all'interno dei due diversi e non conciliabili filoni interpretativi (ordinanza n. 5056, relatore dott. Travaglino).
Non resta che attendere dunque quale opzione adotterà il presidente della Corte e, se del caso, come verrà trovata una sintesi di condivisione tra i giudici di legittimità su quello che si presenta a tutti gli effetti come un futuro passaggio essenziale del nostro così tormentato sistema di risarcimento del danno alla persona.

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