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Come evolvono le coperture infortuni e malattia

Recenti interventi della Corte di Cassazione si sommano a regolamenti e disposizioni a creare nuovi stilemi nella costruzione di polizze sui danni alla persona. Il distinguo è tra tutela dell’assicurato e opportunità dell’impresa

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In tema di polizze infortuni e malattie, recenti sentenze della Corte di Cassazione hanno suscitato un rinnovato interesse tra i giuristi, in particolare per la soluzione adottata dagli ermellini sulla dibattuta questione inerente alla legittimità o meno del cumulo dell’indennizzo assicurativo (derivante dalla polizza, di matrice contrattuale) con il risarcimento di natura aquiliana a favore del danneggiato. 
Il caso occorre laddove il soggetto danneggiato da un fatto/atto illecito di un terzo è anche assicurato con una polizza infortuni/malattia. Ebbene, l’assicurato ha (ma ora dovremmo meglio dire, avrebbe) diritto tanto alla prestazione da parte della compagnia in forza degli obblighi contrattuali assunti dall’assicuratore, quanto alla liquidazione del risarcimento da parte del terzo. Questo era, molto sinteticamente, l’orientamento giurisprudenziale maggioritario espresso per circa un lustro dalla Suprema Corte (Cassazione civile, 28 luglio 2005, n. 15822; Cass. civ., 6 dicembre 2004, n. 22883; Cass. civ., 10 febbraio 1999, n. 1135) (1).  
La Suprema Corte, con chiaro intento nomofilattico, ha invece da ultimo aderito all’orientamento minoritario contrario (tra cui: Cass. civ. 11 giugno 2014, n. 13.233; Cass. civ. 13 aprile 2015 n. 7.349). In particolare, con la sentenza 22 maggio 2018 n. 12.565, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha affermato che “il danno da fatto illecito deve essere liquidato sottraendo dall’ammontare del danno risarcibile l’importo dell’indennità assicurativa derivante da assicurazione contro i danni che il danneggiato-assicurato abbia riscosso in conseguenza di quel fatto”.

La diversa natura di indennizzo e risarcimento
La pronuncia che, come si può ben comprendere, ha una portata afflittiva per il soggetto danneggiato, trova la sua spiegazione ultima nel principio indennitario, tale per cui l’indennizzo non può superare il valore del danno. Sostanzialmente, secondo un principio cardine del nostro ordinamento, il danneggiato ha diritto a essere ristorato per intero, ma non oltre. Si potrebbe disquisire sul fatto che, come già molti in dottrina hanno opinato (e come in effetti ragionava l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, precedentemente alla sentenza delle Sezioni Unite), indennizzo e risarcimento hanno diversa natura, causa e fonte giuridica; pur tuttavia il principio tale per cui l’ammontare liquidato non può superare il danno sofferto è stato ritenuto argomentazione decisiva. Detto ciò, alcune considerazioni meritano di essere tratte.
In primo luogo, va detto che tale principio si applica solo alle polizze infortuni ramo danni, proprio in ragione del fatto che il ramo vita non si muove né opera attraverso il principio indennitario. In secondo luogo, come noto, le voci di danno a cui un soggetto può essere esposto, sono molteplici e afferiscono tanto a danni non patrimoniali (danno biologico e danno morale) (2) quanto a danni patrimoniali (lucro cessante, perdita di chance di reddito, spese vive sostenute ecc.). Orbene, è interessante notare come anche all’interno dell’orientamento giurisprudenziale minoritario è stato colto il distinguo (seppur non richiamato dall’ultima sentenza delle Sezioni Unite). 
La Cassazione del 2014 (sopra citata) stabiliva che “la detrazione dal risarcimento dal danno aquiliano dell’indennizzo assicurativo percepito dalla vittima in virtù di una assicurazione contro gli infortuni esige che il danno patito e il rischio assicurato coincidano: se l’assicurazione copre il danno da perdita della capacità di lavoro (danno patrimoniale) e la vittima del fatto illecito abbia subito solo un danno biologico (danno non patrimoniale) nessuna detrazione sarà possibile, a nulla rilevando che l’assicuratore abbia, per effetto di particolari clausole contrattuali che ammettano l’indennizzabilità di un danno presunto, pagato ugualmente l’indennizzo”. 

L’impatto sul contenuto della polizza 
Quanto questa giurisprudenza possa impattare sulle clausole contrattuali di una polizza infortuni può essere colta laddove un assicuratore, proprio in ragione delle peculiarità del sistema giuridico italiano, preveda una differenziazione di coperture e indennizzi, a seconda del tipo di danno subito. Si pensi ad esempio a una polizza infortuni modulare che copra ipotesi e fattispecie diverse di danno (dalle spese vive, alla perdita di capacità reddituale, dall’invalidità biologica alla perdita di chance di lavoro), tale per cui, anche laddove venga applicato il meccanismo di indennizzo più stringente, l’assicurato/danneggiato possa trarre vantaggio dalla polizza sottoscritta, almeno per quanto non meramente coperto dal risarcimento del terzo. In tal caso, la polizza potrà prevedere diverse e autonome coperture (il cui premio dovrà richiedere quindi una maggior affinazione nel calcolo attuariale) e potrà vestire con maggior personalizzazione le esigenze e necessità dell’assicurato. 
Se ciò appare coerente con il novellato corpus normativo introdotto a seguito dell’implementazione della direttiva Ue 2016/97 (Idd), non possiamo dimenticare, sempre disquisendo in tema di polizze infortuni, che l’assicuratore dovrà aver cura anche di rispettare gli ulteriori e cogenti impegni che sono stati implementati con la norma di cui all’art. 38 del regolamento Ivass 41 del 2 agosto 2018. 

La querelle della premorienza 
Per comprendere meglio il tema dobbiamo fare un passo indietro. Con lettera al mercato del 28 febbraio 2018, l’Autorità si soffermava su quelle clausole, contenute nelle polizze infortuni e malattie, tali per cui la compagnia si riservava di valutare i postumi permanenti dell’invalidità, prevedendo, in caso di decesso dell’assicurato per cause diverse da quella che aveva generato l’invalidità e prima del decorrere del termine di valutazione, la non trasmissibilità agli eredi del diritto all’indennizzo. Tali clausole sono state considerate dalla giurisprudenza vessatorie (3) e, prosegue Ivass, a determinare uno squilibrio ancora più sfavorevole nei confronti dell’assicurato rileva il fatto che “anche qualora gli eredi/aventi causa dell’assicurato siano in possesso di documentazione medica di provenienza diversa dall’impresa (certificazione Inail, Inps, certificazione ospedaliera o del medico di famiglia di vario tipo), attestante la sussistenza dell’invalidità permanente nel periodo precedente al decesso, tale documentazione non viene ritenuta rilevante dalle imprese, che subordinano l’indennizzo e la sua trasferibilità unicamente all’accertamento svolto da professionisti di propria fiducia”.

Alla ricerca di maggiore fiducia
Possiamo dire che, come spesso accade, ciò che l’Autorità usa raccomandare, attraverso l’opera di moral suasion, (volenti o nolenti) alla prima occasione utile diventa norma cogente. E sembra proprio che sia accaduto così con la norma sopra citata.
Stante la disciplina delineata dall’articolo 38 del regolamento 2018, è prevista la possibilità che gli eredi dell’assicurato, nel caso di premorienza di quest’ultimo rispetto al termine minimo previsto dalla compagnia per l’accertamento dei postumi permanenti dell’invalidità derivante dalla malattia o dall’infortunio, o all’accertamento medico-legale della compagnia medesima, possano dimostrare la sussistenza del diritto all’indennizzo mediante la consegna di altra documentazione idonea ad accertare la stabilizzazione dei postumi (ad esempio attraverso la consegna della cartella clinica o altri referti).
La previsione regolamentare (che a ben vedere si inserisce nel rispetto dei criteri di correttezza e trasparenza previsti dalla legge primaria) è volta quindi ad aumentare la fiducia nel mercato assicurativo e a tutelare contraenti e assicurati, il cui numero, giova ricordarlo, verosimilmente tenderà sempre di più ad aumentare, se è vero che il terzo pilastro della sanità supplirà, per necessità o scelta personale dei singoli, al sempre maggior definanziamento del Sistema sanitario nazionale.



(1) Il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte era tale per cui in tema di liquidazione del danno alla persona, qualora la vittima dell’illecito, a causa dell’invalidità dallo stesso derivata, abbia perduto in tutto o in parte il proprio reddito da lavoro e la prospettiva di futuri guadagni, ma abbia ugualmente lucrato vantaggi patrimoniali con altri mezzi o per effetto di un rapporto giuridico indipendente dal fatto illecito, tali vantaggi, in quanto meramente occasionati dal fatto illecito e dall’evento dannoso, e non causalmente ricollegabili a esso, non riducono né elidono il pregiudizio legato alla perdita del reddito da lavoro. In applicazione di tale principio, la Cassazione ha ritenuto che il lavoratore costretto al pensionamento anticipato a causa dell’invalidità provocata dall’altrui illecito extracontrattuale ha diritto al risarcimento del danno conseguente alla perdita dei proventi della sua attività lavorativa fino al compimento dell’età pensionabile, escludendo l’operatività della “compensatio lucri cum damno” con il reddito derivante dalla pensione eventualmente percepita.
(2) Usiamo l’accezione danno morale in senso lato, senza entrare nelle querelles che per decenni si sono susseguite sulla qualifica di tale voce di danno.
(3) Si confronti ad esempio il provvedimento dell’Agcm 26661 del 28 giugno 2017; e sentenza Cass. civ. n. 395 del 11 gennaio 2007.

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