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Investire diversificando

Le compagnie italiane sembrano ancorate agli investimenti in titoli di Stato, ma uno sguardo all’Europa e alle proposte del governo mostra che è possibile puntare su ampie e diversificate soluzioni

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Le misure introdotte dal governo, precedentemente all'adozione di Solvency II, volte ad incentivare gli investimenti delle compagnie in prodotti diversi dai titoli di Stato (in particolare, minibond e finanziamenti diretti) non sembrano avere (ancora) dato i frutti sperati.

Le rilevazioni Ania relative all'anno 2014/2015 indicano che, al 31 marzo 2015, la quota di investimenti esposti al rischio di credito ammonterebbe a circa 20 miliardi, corrispondente a solo il 6% del totale degli attivi a copertura delle riserve tecniche, di cui: 14,7 miliardi in private placement; 4,1 miliardi in fondi di debito/credito prevalentemente non italiani; 484 milioni in cartolarizzazioni e 39 milioni in minibond.

Sempre secondo tali rilevazioni, nessuna compagnia avrebbe utilizzato lo strumento del finanziamento diretto alle imprese. Tali e tanti sono gli adempimenti richiesti per lo svolgimento dell'attività di finanziamento diretto, anche in termini organizzativi e di governance, che con ogni probabilità sono poche le compagnie che in Italia possono effettivamente essere pronte, oggi, a cogliere le opportunità offerte da tale strumento. Questo accade pur nella circostanza che alcune compagnie appartengano, spesso, a gruppi nei quali si registra la presenza di una banca - o almeno di un intermediario finanziario iscritto all'albo di cui all'articolo 106 del TUB -, situazione che dovrebbe poter rendere l'attività meno onerosa.

D'altra parte, la quota di investimenti in titoli di Stato rispetto al totale degli investimenti è risultata sempre in crescita nel corso degli anni: dal 48% del 2009 a quasi il 60% del 2014/2015.

Come si investe in Germania e UK

Nella relazione di novembre 2015, Banca d'Italia ha osservato un processo di diversificazione degli investimenti delle compagnie attraverso l’acquisto di titoli di Stato di paesi dell’area Euro diversi dall’Italia e di titoli del settore privato europei, confermando il mancato interesse alle modifiche regolamentari che hanno ampliato il novero delle attività ammissibili a copertura delle riserve.
I più recenti dati disponibili relativi ad altri mercati europei offrono un quadro più variegato.

Nel 2014, la quota più rilevante degli investimenti delle compagnie del Regno Unito è stata costituita da titoli di debito del settore privato (23%). La restante parte è risultata suddivisa tra titoli di capitale esteri (18%), unit trust (18%), titoli di debito del settore pubblico (17%), titoli di capitale emessi da soggetti con sede nel Regno Unito (11%), settore immobiliare (5%) e altri investimenti (7%) .

Nello stesso anno, in Germania, la quota più rilevante degli investimenti delle compagnie è stata rappresentata da titoli di debito (88%), di cui solo il 5,4% costituito da titoli di natura statale/governativa, mentre la restante parte è risultata suddivisa tra titoli di capitale (3,8%), settore immobiliare (3,3%) e altri investimenti (2,3%) . Il quadro potrebbe mutare anche alla luce del recente monito del Fondo Monetario Internazionale alle compagnie assicurative tedesche sulla tenuta delle polizze vita a rendimento garantito (particolarmente diffuse in Germania) in un contesto prolungato di tassi bassi, e quindi sulla loro solvibilità.              

Quale contributo al sostegno dell’economia

Tornando all'Italia, passare da un contesto tradizionalmente basato su limiti quantitativi e di categoria in base, ad esempio, alla giurisdizione, alla natura del prodotto, al rischio di controparte etc., ad un regime risk-based (per quanto attenuato dalla previsione dei moduli di rischio) richiederà certamente tempo (negli Stati Uniti il regime risk-based è stato introdotto negli anni '90) e maggior familiarizzazione con le nuove regole.

Il focus del nuovo quadro regolamentare sulla qualità degli investimenti dovrebbe quindi ragionevolmente fare prevedere nel medio periodo un cambiamento - seppure non radicale - dei dati sopra indicati, anche perché, pure a livello europeo, si sta cercando di incentivare il ruolo delle compagnie nel sostegno all'economia.

Il 2 aprile 2016 sono infatti entrate in vigore alcune modifiche alle disposizioni del Regolamento (EU) 2015/35 che alleggeriscono il livello di assorbimento di capitale connesso agli investimenti in titoli di capitale o strumenti di debito emessi da società impegnate in progetti infrastrutturali.

A livello nazionale, il ruolo che il comparto assicurativo può svolgere nel sostegno all'economia del paese è chiaro, soprattutto in ambito politico, nel medio lungo periodo (basti pensare all'introduzione dei finanziamenti diretti nel Regolamento 36/2011 in materia di investimenti e attivi a copertura delle riserve tecniche). Nell'immediato, tuttavia, le preoccupazioni di Salvatore Rossi, presidente di IVASS, sembrano essere rivolte in modo particolare alla sfida rappresentata dalla redditività delle polizze che, nelle parole del Presidente, le imprese devono saper cogliere, senza che ciò debba portare ad affrontare  investimenti eccessivamente rischiosi.  

Un obiettivo impossibile?


L'attuale quadro regolamentare (nel quale si aspetta, ormai da qualche mese, la definitiva emanazione del documento di consultazione n. 26/2015 in regolamento, in sostituzione del Regolamento n. 36/2011 sopra citato) in realtà sembrerebbe consentire alle imprese molto di più di quanto non consentito in passato. Non solo in ragione dell'assenza di limiti quantitativi all'investimento (che, in realtà, permangono in misura specifica per le operazioni di finanziamento diretto) ma anche per effetto dei molto meno stringenti limiti che devono guidare un'impresa nella selezione, da un punto di vista qualitativo, degli attivi utilizzabili.

Premesso che i criteri cardine in base ai quali deve avvenire tale scelta sono quelli della "persona prudente" e del "migliore interesse degli assicurati e dei beneficiari, tenuto conto del contesto del mercato finanziario", le imprese, in aggiunta agli ormai divenuti "consueti" investimenti in fondi alternativi, potrebbero investire - stando alla lettera del documento in consultazione - in attivi caratterizzati da scarsa liquidità (quali, tra gli altri, fondi di private equity) o per i quali non è possibile disporre di valutazioni affidabili e indipendenti, titoli rinvenienti da operazioni di cartolarizzazione, investimenti occasionali, attivi complessi, titoli strutturati, oltre che operazioni in strumenti derivati o in strumenti aventi effetti o caratteristiche analoghe agli strumenti finanziari derivati, etc.. L'ampiezza dei criteri guida nella selezione degli attivi impiegabili a titolo di riserve è tale da lasciar immaginare una gamma assai generosa nella quale riversare gli investimenti.

Come già ricordato, oltre agli strumenti di debito alternativi (quali i mini-bond, a sostegno del mercato delle piccole e medie imprese), titoli infrastrutturali, etc., si potrebbe ipotizzare l'impiego, tra gli altri, di cambiali finanziarie, strumenti cartolarizzati, notes, titoli strutturati, asset backed securities, oltre a riempire di contenuto le categorie degli investimenti rappresentati da "titoli aventi scarsa liquidità", "investimenti occasionali" e "attivi complessi". Investimenti, questi tutti, che, consentiti ai sensi del futuro regolamento, dovrebbero poter rispondere alle esigenze evidenziate dal presidente Rossi di una sana sintesi tra redditività e sicurezza.




        

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