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Un appunto sull’univocità della responsabilità professionale

Per la Corte di Cassazione l’errore in cui è incorso un avvocato non può aver determinato con certezza un danno per il suo cliente. Una conclusione che si pone in senso opposto all’atteggiamento di norma tenuto se in causa è chiamato un operatore sanitario

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Una recente decisione della suprema Corte di Cassazione (sentenza 2 febbraio 2016, n. 1984, Presidente Mazzacane – Relatore Manna) permette di fare il punto sulla questione della responsabilità professionale. Essa infatti affronta i temi cardine di questa disciplina civilistica della colpa dell’esercente l’attività intellettuale, sotto il duplice aspetto del contenuto dell’inadempimento e sotto quello, assai delicato, del nesso causale tra l’errore e il danno.
La vicenda riguardava la controversia insorta tra un imprenditore e il suo avvocato in una causa di risarcimento dei danni, ove il primo lamentava il fatto che l’omessa produzione in giudizio delle scritture contabili della propria azienda, aveva impedito di provare il danno patrimoniale lamentato per la propria assenza dal lavoro, a causa di un incidente, e quindi lo avrebbe privato di un utile risarcimento del danno che altrimenti sarebbe stato ottenuto.
I giudici delle corti territoriali, pur riconoscendo l'omissione compiuta dall'avvocato nella causa risarcitoria, per non aver prodotto in giudizio le scritture contabili della società, non riconoscevano tuttavia alcun risarcimento all’attore.
Infatti, ad avviso dei giudici di merito, la supposta contrazione dei ricavi della società dell’attore ben poteva essere causata da fattori diversi e ulteriori rispetto all'assenza dal lavoro dell’imprenditore. Questi, peraltro, avrebbe potuto dimostrare l'indispensabilità della sua prestazione lavorativa, per la redditività della società datrice di lavoro, attraverso prove testimoniali che ben potevano chiarire il contenuto dell'attività lavorativa in questione. In difetto di queste prove quindi, il giudice aveva correttamente deciso nel ritenere non provato il danno patrimoniale.
In conclusione, accolto il primo profilo di colpa dell’avvocato (errore professionale), le corti rigettavano la richiesta di risarcimento per l’assenza della seconda condizione essenziale: la prova di un danno causalmente legato all’errore commesso.

Errore non significa sempre danno

Avverso la predetta sentenza, l’imprenditore ha proposto dunque ricorso per cassazione, ma la corte ha confermato l’intero impianto delle decisioni precedenti secondo il principio che “la responsabilità dell'avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente e, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone, (Cass. sez. III, 5 febbraio 2013, n. 2638)”.
Detto principio di diritto era stato dunque correttamente utilizzato dai giudici di secondo grado, che avevano deciso per la carenza di prova sul nesso eziologico, senza incorrere in alcuna contraddizione logico-giuridico della motivazione, né tantomeno nel lamentato vizio di omessa pronuncia.
Non ogni errore dunque determina danno; non ogni omissione o inadempimento comporta l’obbligo di risarcire un danno ove la parte presunta danneggiata non dimostri il collegamento tra tale omissione e il danno lamentato.

Ma per il medico è diverso

Tanto ci trova concordi tale principio (per altro fondato sulle regole del diritto sostanziale) che ancora più marcata appare la distanza tra questa disciplina della colpa professionale (comune alle altre professioni intellettuali e tecniche) e quella dell’unica categoria ancora oggi gravata di una presunzione di responsabilità quasi automatica e oggettiva: il medico.
Tutti i canoni della colpa professionale adottati dalla Corte di Cassazione negli anni, infatti, scompaiono quando a giudizio è chiamato un professionista sanitario, secondo un principio di aggravamento della responsabilità contrattuale (da contatto sociale come sappiamo) e non aquiliana che penalizza di fatto tale professione rispetto alle altre.
Questo orientamento giurisprudenziale andrebbe forse emendato e rivisitato dalla stessa magistratura superiore, in un’ottica di migliore equilibrio tra interesse pubblico alla sanità sostenibile e diritto soggettivo privato alla tutela della salute.
E ciò prima ancora che a questo provveda il Legislatore con l’approvazione del Ddl Sanità, del quale stiamo dando notizia in queste settimane, ritrovando una via di valenza del primato della regola del principio giuridico generale sul così detto “diritto vivente”, che spesso altro non è che una creazione di una deroga normativa per volere giurisprudenziale.



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