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Se il beneficiario è sconosciuto

La Cassazione si esprime a favore della privacy dei destinatari delle polizze vita. Legittimando gli eredi ad accedere solo ad alcune informazioni, ma non all’intera documentazione di polizza contenente dati sui soggetti terzi

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A meno di un mese dalla sentenza n. 17024 in materia di clausole vessatorie, la Corte di Cassazione torna a occuparsi di polizze di assicurazione sulla vita, questa volta sotto il profilo della tutela della riservatezza dei nominativi dei beneficiari di polizza.
E’ infatti del 9 settembre, la pronuncia n.17790 della Sezione I della Corte Suprema, in materia di privacy e di polizze di assicurazione, con la quale il giudice di ultima istanza ha statuito il principio in base al quale gli eredi di un contraente di una polizza di assicurazione sulla vita non possono chiedere alla compagnia di assicurazione di rivelare i nominativi dei beneficiari, attivando il diritto di accesso ai dati del congiunto deceduto.
La vicenda in questione trae origine dalla richiesta, presentata dagli eredi testamentari di un soggetto che aveva stipulato una polizza, di conoscere i nominativi dei beneficiari designati dal contraente deceduto. Alla base della richiesta, la tutela dei diritti successori degli eredi e la verifica che la polizza stipulata dal contraente deceduto non fosse stata stipulata in stato di incapacità di intendere e volere.
Appellandosi al diritto, previsto dall’articolo 9, comma 3 del d. lgs.196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali, Codice Privacy), gli eredi del contraente deceduto avevano richiesto infatti di accedere ai dati personali, in possesso dell’impresa di assicurazione, concernenti la persona deceduta, ai quali sensi della previsione citata, può accedere anche chi ha un interesse proprio o agisce a tutela dell’interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione. In linea con la previsione menzionata, gli eredi avevano chiesto di avere accesso a tutta la documentazione contrattuale di polizza, incluso il modulo di proposta indicante i nominativi dei beneficiari.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della richiesta, ha invece affermato il principio in base al quale il diritto di accesso ai dati personali - previsto dall’articolo 7 del Codice Privacy e che consiste nel diritto, da parte dell’interessato, titolare del dato personale, di ottenere conferma del fatto che i suoi dati sono nella disponibilità di un soggetto terzo per le finalità di trattamento - ha in realtà ad oggetto i dati personali che riguardano direttamente la persona richiedente che, per legge è l’unica titolare dell’interesse a ricevere quelle informazioni.

Un diritto dei beneficiari

Con il principio sopra riportato, la Corte ha di fatto escluso la possibilità, nel caso di specie, per gli eredi di richiedere dati riguardanti terze persone, cioè i beneficiari di polizza, fornendo qualche ulteriore spunto per l’interpretazione dell’articolo 9, comma 3, del Codice.
Inoltre, in linea di continuità con il precedente della Corte n. 14656/2013, il Supremo Giudice ha inteso altresì riaffermare il principio che, in caso di soggetto deceduto, l’esercizio del diritto di accesso ai suoi dati da parte degli eredi deve essere inteso come limitato unicamente ai dati personali di quest’ultimo e non già di terzi, con ciò precisando essere possibile per gli eredi chiedere, ad es., l’accesso a eventuali cartelle cliniche del deceduto, ma non già all’intera documentazione di polizza, contenente dati e informazioni relative anche a soggetti terzi (i beneficiari), altrettanto meritevoli di tutela, in un’ottica di protezione alla riservatezza dei dati.
Nel caso di specie, peraltro, il ragionamento della Cassazione è stato ricondotto al principio, stabilito dall’articolo 1920, terzo comma del codice civile, ai sensi del quale, in caso di contratti di assicurazione sulla vita, i beneficiari acquistano un diritto proprio a vantaggio dell’assicurazione.
E’ indubbio che la sentenza in questione agevolerà le imprese, come già ricordato, alle prese con la precedente sentenza del Supremo giudice del 20 agosto scorso (n. 17024/2015) sulle clausole vessatorie, nelle procedure di pagamento degli indennizzi.
Se, infatti, con la precedente sentenza, la Corte ha imposto alle imprese di rivedere le clausole di pagamento dell’indennizzo – le cui formulazioni rendono di fatto, in alcuni casi, pressoché impossibile o non tempestivo il pagamento dell’indennizzo (come nel caso di richiesta di allegazione di documentazione in originale) – con quest’ultima pronuncia le imprese di assicurazione potranno definitivamente dirsi sollevate dall’essere coinvolte in dispute successorie che spesso preludono a scomodi contenziosi.



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