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L’integrazione tra risarcimento e previdenza

Discussione aperta, con remissione alle Sezioni Unite, sulla detraibilità del compenso previdenziale dalla somma stabilita come risarcimento alla persona vittima di fatto illecito: quale orientamento seguire?

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Un’altra ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ci conferma come la materia del risarcimento del danno la persona da fatto illecito sia controversa e multiforme.
La terza sezione civile della Corte, infatti, con ordinanza interlocutoria del 5 marzo 2015 (n. 4447, Pres. Berruti, rel. Vincenti), ha rimesso gli atti di un procedimento in discussione al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della controversia sulla quale ha registrato contrasto interno, in ragione del quesito “se, nell’ipotesi di morte della persona offesa, dall’ammontare del risarcimento per danno patrimoniale conseguente al fatto illecito debbano o meno escludersi le prestazioni erogate ai congiunti superstiti dall’assicuratore sociale o dall’ente previdenziale”.

È questa, in effetti, una controversia che – pur con alcuni punti fermi – non ha trovato ancora oggi una unitarietà nelle valutazioni delle corti di merito ed anche dei giudici di legittimità.
Il tema, in generale, è quello se la vittima (ovvero i suoi eredi) che agisca per il risarcimento dei danni subiti per effetto della lesione cagionata da un terzo responsabile, possa pretendere l’interezza del pregiudizio (patrimoniale e non) subito, ovvero se dall’ammontare valutato dal giudice debbano essere detratte le erogazioni che gli enti pubblici assistenziali abbiano rogato allo stesso (o a i suoi eredi) proprio per effetto della lesione subita.

Esempi di scuola, approdati però ad un orientamento tutto sommato condiviso, riguardano la detraibilità dal danno spettante alla vittima delle somme che l’Inail abbia erogato alla stessa a titolo di danno patrimoniale (per la perdita reddituale ad esempio) ovvero per danno biologico (così è dopo la novella disciplinare dettata dal D.Lgs. 28 del 2000 che da allora regolamenta la materia dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro).

L’ipotesi di un doppio indennizzo

Il caso per il quale si prospetta una decisione delle Sezioni Unite riguarda invece una diversa ipotesi di detraibilità delle erogazioni pubbliche, sulla quale non vi è unitarietà di valutazione da parte dei giudici.

In particolare, ci si chiede se gli eredi della vittima deceduta a causa di un fatto illecito, che beneficino dell’erogazione da parte dell’Inps della rendita a favore degli orfani, ovvero della pensione di reversibilità a favore del coniuge superstite, non possano poi pretendere dall’autore dell’illecito anche il danno patrimoniale per la perdita del contributo economico che offriva il congiunto in vita, in quanto appunto assorbito da tale erogazione dell’ente pubblico.

La rendita agli orfani, ovvero la pensione di reversibilità, hanno una indubbia natura patrimoniale che tende proprio a compensare il nucleo familiare superstite per la perdita della contribuzione economica che era invece presente con il parente ancora in vita.
Se tale erogazione ha dunque una componente patrimoniale e compensativa del pregiudizio economico, parte della giurisprudenza ritiene che i danneggiati non possano pretendere, per lo stesso titolo, le somme già coperte dall’ente pubblico (che per altro potrà in certi casi agire in rivalsa verso l’effettivo responsabile dell’illecito).

Se invece la previdenza è erogazione di diritto

Diversamente, altra parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che tali erogazioni siano obbligatorie e meramente indennitarie e che quindi non debbano andare ad intaccare l’integralità del risarcimento spettante ai congiunti delle vittime.

Il contrasto è così ben riassunto nella ordinanza in argomento: da una parte, quella giurisprudenza (da ultimo Cass. 10 marzo 2014 n. 5504) che esclude che dal montante risarcitorio del danno patrimoniale conseguente a fatto illecito possano escludersi le prestazioni erogate dall’assicuratore sociale o dall’ente previdenziale, così optando per il conferimento del danno integrale a favore degli aventi diritto. Dall’altra parte, decisioni della stessa Cassazione (si veda da ultimo la n. 13537 del 13 giugno 2014) optano per l’orientamento opposto, in base al quale “dall’ammontare del risarcimento deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità percepita dal superstite in conseguenza della morte del coniuge, attesa la funzione indennitaria assolta da tale trattamento”.

L’adozione dell’una piuttosto che dell’altra soluzione si riflette, come è facile intuire, su entità economiche tutt’altro che trascurabili, sia per le vittime, sia per il soggetto responsabile sia, infine, per l’ente assistenziale stesso, che non potrà certamente pretendere dal responsabile il rimborso di somme se già versate all’avente diritto o ai suoi eredi.
In effetti, questo contrasto ha portato, soprattutto sul piano pratico, una serie di difficoltà operative nelle procedure di risarcimento del danno da fatto illecito.

Ancora una volta il frutto di un conflitto di norme non sempre chiare evidenzia la complessità della materia del risarcimento del danno da lesione del bene salute e, di contro, ancora una volta a dipanare questa matassa è chiamata la giurisprudenza, in una funzione sempre più suppletiva di un legislatore distratto o pasticcione.

 

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