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Perché il Covid non è un infortunio

Con l’articolo 42 del dl 18/2020 il contagio da Covid-19 è stato equiparato a un infortunio ai fini della copertura Inail. La distinzione rispetto alle polizze infortuni è però molto chiara e attiene in primo luogo alla definizione prevista dal diritto assicurativo. Si è tuttavia aperto un dibattito nella giurisprudenza - PARTE SECONDA - Analisi della questione sotto il profilo del lessico assicurativo

Perché il Covid non è un infortunio hp_vert_img
Al di là di quanto consolidato nella prassi e affermato in diritto, non vi è dubbio poi che un contratto assicurativo debba essere scritto in termini chiari e comprensibili, utilizzando un linguaggio che sia immediatamente comprensibile dall’assicurato o dall’avente diritto. D’altronde, il moderno diritto dei contratti assicurativi (articoli 166 e 183 del Cap) si distingue proprio per l’importanza data alla trasparenza e all’esaustività del linguaggio utilizzato nelle comunicazioni precontrattuali e contrattuali. Chiarezza, esaustività e comprensibilità che devono misurarsi con quanto normalmente percepito e percepibile da un assicurato medio in un dato contesto sociale di riferimento. Abbiamo già osservato come nel comune sentire sociale il Covid-19 è sempre stato considerato una malattia, al pari, del resto, di ogni altra forma infettiva (chi mai considererebbe un’influenza alla stregua di un infortunio?).
Ciò vale, almeno, per le polizze sottoscritte prima della pandemia e dell’emanazione della norma emergenziale che ha definito il Covid come infortunio, sia pur ai limitati fini giuslavoristici di cui si è detto. È del resto su quelle polizze (antecedenti alla pandemia) che insiste buona parte del contenzioso in oggetto. Per quel che invece attiene ai contratti stipulati in tempi più recenti, potrebbero trovar spazio considerazioni diverse: l’insorgere del dibattito medico legale sulla possibile qualificazione del coronavirus in termini di infortunio, unitamente alle previsioni di cui all’art. 42 del dl 18/2020, potrebbe aver indotto nella clientela una diversa aspettativa di copertura rispetto al passato. Ciò dovrebbe esser adeguatamente valutato al momento della realizzazione del prodotto, anche in ottica di Pog, al fine di eventualmente escludere expressis verbis la pandemia dal perimetro di garanzia, evitando equivoci e chiarendo l’ontologica incompatibilità della nozione contrattuale di infortunio con quella di infezione (e anche avendo riguardo di comprendere in modo granulare le esigenze di copertura di una clientela che potrebbe aver interesse a una protezione assicurativa dal rischio Covid e che per tale ragione potrebbe essere orientata verso l’acquisto di una polizza della salute che lo contempli, se disponibile).

IL PERDURANTE DIBATTITO GIURISPRUDENZIALE
Rimane il fatto che anche in relazione a polizze non equivocabili sul piano dei contenuti (perché addirittura stipulate prima della crisi emergenziale), si continua a sviluppare un contenzioso alimentato da chi vorrebbe forzarne il perimetro, sino a ricomprendervi il Covid. 
La risposta data dalla giurisprudenza di merito è stata sin qui non del tutto omogenea, per quanto sembri prevalere l’orientamento restrittivo e conforme alla lettura (a nostro avviso, la sola possibile) che esclude qualsiasi possibilità di trattare il Covid come infortunio indennizzabile. Si segnalano in particolare alcune recenti sentenze (tribunale di Pesaro RG 436/2021; tribunale di Roma RG 5947/2021; tribunale di Pescara 351/2022; GDP Milano 5115/2022) che hanno negato la possibilità, sulla base di una polizza infortuni, di ottenere un indennizzo per le conseguenze della malattia da Covid-19.
Si segnala in particolare la sentenza resa dal tribunale di Pescara, la cui motivazione merita speciale sottolineatura per completezza argomentativa, avendo il giudice ribadito che l’assicurazione privata contro gli infortuni è un contratto socialmente tipico che copre gli eventi dovuti a causa fortuita, violenta ed esterna che provocano lesioni corporali oggettivamente constatabili e che abbiano come conseguenza la morte, una invalidità permanente oppure una inabilità temporanea. Definizione che, si legge nel provvedimento, deriva da “un’idea primitiva ed elementare, la quale richiama una causa sostanzialmente traumatica ed improvvisa, piuttosto distante dal concetto di malattia”, cui si riconducono i casi di infezione da coronavirus. La pronuncia ha poi chiarito la non applicabilità a tale comparto della normativa emergenziale, evidenziando che, trattandosi di polizze stipulate tra privati, gli unici criteri ermeneutici utilizzabili sono quelli fissati negli articoli 1362 ss. C.c., nel rispetto del principio di autonomia privata espresso dall’art. 1322 C.c.
Questi profili seguono, come era lecito attendersi, l’orientamento favorevole.

LE RAGIONI DELLE SENTENZE A SOSTEGNO
Si registrano, peraltro, anche decisioni di segno contrario fondate a nostro avviso su argomentazioni non particolarmente pregnanti (tribunale di Torino sentenza n. 184 del 19 gennaio 2022; tribunale di Vercelli n. 382 del 4 agosto 2022; tribunale di Trento n. 102 del 2022). 
Tra queste, da ultimo, in particolare si segnala la pronuncia del tribunale di Parma del 7 febbraio 2023, che al pari delle altre riporta una motivazione non persuasiva. Il giudice ha accolto la domanda sul presupposto che la polizza escludesse dal perimetro di garanzia solo alcune limitate ipotesi di contaminazioni infettive (tra cui non vi era l’infezione da Covid) e che dunque dovesse intendersi ricompreso nel perimetro di copertura tutto il resto (nello specifico, tutte le malattie infettive). 
Ora, come detto, in tempi di Idd la regola della chiarezza impone, invero, all’assicuratore la massima esaustività informativa, a tutela dell’assicurato e, più in generale dei suoi clienti. Per tale ragione gli stessi schemi regolamentari (quanto, ad esempio, ai modelli di Dip o Dip aggiuntivo) dispongono, tra l’altro, l’obbligo di rilasciare informazioni relative a previsioni di legge che sarebbero perfettamente valide e operanti anche in assenza di loro espressa specificazione. In questo modo va letto il fatto che la maggior parte dei contratti danni riporti l’esclusione per il caso di sinistri dovuti a guerre e insurrezioni: esclusione che potrebbe ritenersi superflua, data la previsione di cui all’art. 1912, ma che, per massima trasparenza di informazione, viene espressamente richiamata in polizza.
Pertanto il fatto che una polizza infortuni possa, per chiarezza, escludere espressamente solo talune infezioni dal perimetro di copertura (e non tutte in maniera generica) non può essere considerato quale indice di inclusione, a contrario, delle infezioni non testualmente escluse.
D’altronde, i caratteri sostanziali delle polizze private infortuni, così come identificati dalle Sezioni Unite del 2002, trovano la loro forza strutturale proprio nei modelli di polizza consolidatisi nella prassi (che sempre riconducono gli infortuni indennizzabili a eventi caratterizzati da un traumatismo, anche laddove si riferiscano a ipotesi infettive quali ad esempio le “alterazioni patologiche conseguenti a morsi di animali e punture di insetti”).

UNA QUESTIONE CHE VA CHIARITA CON URGENZA
In conclusione, la previsione normativa di cui all’art. 42 del dl 18/2020, emanata nel contesto dell’emergenza pandemica allo scopo di adiuvare lavoratori e imprese, ha equiparato il Covid a un infortunio sul lavoro indennizzabile.
Secondo la tesi restrittiva, che si ritiene di condividere, essa tuttavia dovrebbe restare confinata nel settore normativo delle assicurazioni sociali (Inail) e non invece estendersi al comparto delle assicurazioni private, neppure quale norma di interpretazione autentica.
Il diverso tentativo di estendere tale portata ha trovato terreno fertile negli slanci protettivi che in tempo di Covid si sono susseguiti per provare a reperire strade utili a garantire un qualche sostegno alle vittime della pandemia. Ma pur condividendo il nobile scopo, un tale tentativo a parere di chi scrive non avrebbe comunque dovuto/potuto spingersi tanto in là da pretendere di forzare il paradigma di copertura di prodotti assicurativi realizzati e stipulati per rischi totalmente diversi e in tempi in cui di Covid non era dato discorrere.
In questa situazione di incertezza, la questione dovrà quindi ragionevolmente essere affrontata dalla Suprema Corte per chiarire definitivamente l’interpretazione coerente con le indicazioni di sistema. 
Al riguardo, potrebbe anche procedersi in via anticipata rispetto ai nomali tempi del processo, dal momento che con la riforma del giudizio civile è stata introdotta con l’art. 363 bis C.p.c. la possibilità per il giudice di merito, ove sia chiamato a decidere una questione di diritto controversa, di avvalersi dello strumento del rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione per acquisire in via preventiva una indicazione nomofilattica vincolante in quel giudizio. 
Non è quindi escluso che, in ragione dell’importanza della questione interpretativa, i giudici di prossimità intuiscano l’opportunità di acquisire immediatamente il principio a cui far riferimento scongiurando il rischio che interpretazioni contrastanti incentivino il proliferare del contenzioso. 

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