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Quale ruolo e valore per il consulente tecnico d’ufficio

Quello del Ctu è un lavoro sempre più importante in molte controversie, in modo particolare nell’ambito sanitario. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce l’utilità ai fini di un corretto giudizio di una mansione che necessiterebbe di maggiore riconoscimento

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Nel numero del 16 ottobre di questo giornale, il giudice Marco Rossetti (consigliere presso la Suprema Corte di Cassazione) ha affrontato il tema della consulenza tecnica d'ufficio nel contenzioso civile e penale, in modo articolato ed esauriente.
Colpiscono nel pensiero dell'autore la profonda conoscenza della tematica e delle procedure di generazione degli incarichi giudiziali, ma anche la lucida presentazione di proposte per dare a tale importante funzione consulenziale un ruolo qualificato sempre più idoneo a supportare la complessità delle controversie tecniche nel mondo moderno.
Certamente, tale sviluppato pensiero ben si attaglia alla materia delle controversie giudiziali da colpa medica, perché spesso proprio l'apporto del consulente dell'ufficio è determinante non solo e non tanto per la determinazione del danno, ma anche e proprio per la qualificazione della condotta del sanitario o della struttura ai fini di un accertamento della colpa quanto più possibile vicino allo sviluppo causale della vicenda clinica.
Tra i principali aspetti critici del sistema, Rossetti evidenzia la difficoltà che incontrano i comitati addetti al compito di selezionare professionisti qualificati; l'assenza di rotazione degli incarichi e dei controlli sull'operato dei Ctu; la questione, infine, assolutamente rilevante dell'eccessiva sottostima dei compensi dovuti per prestazioni talvolta assai complesse.
Quest'ultimo fenomeno, in particolare, determina spesso l'allontanamento dalla funzione di importanti professionisti del mondo accademico e scientifico per l'inadeguatezza del valore attribuito al loro apporto.

Il contributo alla conoscenza scientifica
Il ruolo del Ctu è divenuto, specie nella disciplina della responsabilità sanitaria, essenziale ai fini della composizione della lite e del conferimento al magistrato di quel conoscere scientifico che è base per la creazione del suo convincimento, sintetizzato nella sentenza finale. Questo ragionamento sul ruolo del Ctu trova sponda nelle pagine di una importante sentenza resa di recente dalla Corte di Cassazione, sezione penale, la numero 16237 del 9 aprile 2013.
In tale decisione (nota e trattata già in questo giornale in tema di applicazione della Legge Balduzzi alla colpa sanitaria), esistono profili chiari di valorizzazione del ruolo del Ctu, sia sotto l'aspetto della qualificazione dell'apporto tecnico, sia sotto quello dei limiti del ruolo del consulente nell'iter decisorio del giudice.

Supporto alla guida dell'indagine e al lavoro del giudice

Hanno grande valore le espressioni utilizzate nello sviluppo della motivazione della sentenza e se ne dà quindi diretto riporto testimoniale. Circa il rapporto tra giudice e suo consulente, si legge che il giudice di merito non dispone delle conoscenze e delle competenze per esperire un'indagine siffatta: le informazioni relative alle differenti teorie, alle diverse scuole di pensiero, dovranno essere veicolate nel processo dagli esperti".
Tuttavia, con riguardo al contenuto tecnico dell'apporto dei Ctu, si evidenzia che gli stessi "non dovranno essere chiamati a esprimere (solo) il loro personale seppur qualificato giudizio, quanto piuttosto a delineare lo scenario degli studi ed a fornire gli elementi di giudizio che consentano al giudice di comprendere se, ponderate le diverse rappresentazioni scientifiche del problema, vi sia conoscenza scientifica in grado di guidare affidabilmente l'indagine".
La sintesi del ragionamento con l'inquadramento dei rispettivi ruoli è ben delineata nella seguente massima centrale: "il giudice, con l'aiuto degli esperti, individua il sapere accreditato che può orientare la decisione e ne fa uso oculato, metabolizzando la complessità e pervenendo ad una spiegazione degli eventi che risulti comprensibile da chiunque, conforme a ragione ed umanamente plausibile: il più alto ed impegnativo compito conferitogli dalla professione di tecnico del giudizio".
Con il monito finale che "il perito non è più (non avrebbe mai dovuto esserlo) l'arbitro che decide il processo, ma l'esperto che espone al giudice il quadro del sapere scientifico nell'ambito cui il giudizio si interessa, spiegando quale sia lo stato del dibattito nel caso in cui vi sia incertezza sull'affidabilità degli enunciati della scienza o della tecnologia".
Non mai arbitro dunque, ma qualificato e responsabile tecnico che introduce il sapere scientifico in giudizio, sulla base del quale il giudice crea la sintesi, di assoluzione o condanna, che noi chiamiamo sentenza.

Filippo Martini, Studio Legale MRV

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