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L’inquadramento della sofferenza interiore nel risarcimento

Nella valutazione quantitativa sintetizzata dalle tabelle milanesi, il danno morale, ontologicamente diverso dal danno biologico, non è nemmeno da considerare come personalizzazione del danno stesso

L’inquadramento della sofferenza interiore nel risarcimento hp_vert_img
Con la pronuncia 27444/2022 del 20 settembre 2022, la Suprema Corte di Cassazione sembra rimescolare le carte degli approdi cui dottrina e giurisprudenza erano giunti poco tempo fa, quanto meno in termini di terminologia da utilizzarsi nella liquidazione del danno non patrimoniale.
Nel caso di specie, il ricorrente censura la decisione di primo grado “per non essersi il primo giudice espresso” sull’autonoma domanda di risarcimento del danno da infertilità, “inteso come danno morale, di relazione ed esistenziale espressamente avanzata nell’atto di citazione”.
La decisione in commento rigetta invece il ricorso sul punto, affermando che la Corte capitolina, al pari del giudice di prime cure, non ha affatto omesso di dare rilievo alla sofferenza interiore patita dalla vittima, in ragione dell’infertilità conseguente all’episodio di malpractice sanitaria di cui è risultata vittima, avendo recepito le conclusioni del Ctu il quale, nel valutare nel 22% il postumo di invalidità permanente delle lesioni subite, aveva tenuto conto “anche dell’inevitabile riflesso psichico a questa correlato”.

PER LA CORTE IL RISARCIMENTO È COMPLETO
Prosegue la Corte che “neppure può dirsi che siano rimaste senza ristoro le alterazioni soggettive e peculiari arrecate alla qualità della vita della persona dalla mancata genitorialità” (e tali da indurla a intraprendere pratiche per l’adozione), avendo le stesse trovato rilievo attraverso la massima personalizzazione operata già dal tribunale, con modus operandi condiviso dalla Suprema Corte. 
In proposito, la Suprema Corte richiama il precedente Cass. 10912/2018, affermando che sia modalità adeguata di valorizzazione delle circostanze del caso concreto, ivi compresa la sofferenza patita dalla persona menomata, la “personalizzazione” del danno da perdita della “potentia generandi”.
Concludono dunque gli Ermellini asserendo che nessun “vuoto risarcitorio” è, dunque, ipotizzabile nel caso che occupa, atteso che ha trovato ristoro sia il danno dinamico relazionale subìto (neppure escluso nei suoi riflessi propriamente psichici), sia quello da sofferenza correlato alla mancata genitorialità.

IL PROCESSO NECESSARIO A DEFINIRE LA LIQUIDAZIONE
A nostro avviso sembra che la Corte compia un doppio errore di inquadramento, in quanto sembra in primis dare rilievo al danno morale, ovvero la sofferenza interiore patita, associandolo al danno biologico di natura psichica, per poi identificarlo nella personalizzazione.
La Corte sembra non rammentare che proprio nell’anno 2020 con la decisione 25164 (in senso conforme vedi anche Cass. 10 Febbraio 2021, 3310) anch’essa richiamata, si era precisato come in materia di rapporto tra danno morale e “personalizzazione” del danno biologico, nel procedere alla liquidazione del danno alla salute, il giudice di merito doveva: 1) accertare l’esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale; 2) in caso di positivo accertamento dell’esistenza (anche) di quest’ultimo, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano (che prevedono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervengono all’indicazione di un valore monetario complessivo, costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno); 3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico, depurata dall’aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, liquidando, conseguentemente il solo danno dinamico-relazionale; 4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno, procedere all’aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato dalla componente morale del danno automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui all’articolo 138, punto 3, del novellato Codice delle assicurazioni. 

L’ATTUALE VERSIONE DELLE TABELLE RISPECCHIA LA DISTINZIONE
E quindi i giudici meneghini provvidero a una rivisitazione grafica delle famose tabelle milanesi con l’edizione 2021 dell’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano, che esplicitava e distingueva il valore monetario riferibile al danno biologico in senso stretto dal valore monetario imputabile alla cosiddetta sofferenza, o, come definita dalla Suprema Corte, “danno da sofferenza soggettiva interiore”.
Si era dunque precisato con chiarezza che una cosa è la lesione psicofisica e i connessi aspetti dinamico-relazioni e un’altra la sofferenza morale conseguente e disancorata dalle menomazioni (il punto tabellare era stato dunque epurato dalla componente morale erroneamente ricompresa nel valore ivi indicato fino all’edizione 2018, principio ora ribadito dalla recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione sezione 3 civile nella sentenza 13 aprile 2022, 12060).
Ma è proprio la stessa Corte a cadere ancora in contraddizione nel successivo richiamo alla Cass. 10912/2018, pronuncia questa che ben chiarisce la differenza che sussiste tra riflessi dinamico-relazioni “comuni” (danno biologico) e “peculiari” (personalizzazione): “Il grado di invalidità permanente indicato da un barème medico legale esprime in misura percentuale la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che una determinata menomazione si presume riverberi sullo svolgimento delle attività comuni a ogni persona; in particolare, le conseguenze possono distinguersi in due gruppi: quelle necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare grado di invalidità e quelle peculiari del caso concreto che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili”.

In conclusione il danno morale richiesto, qualora allegato, doveva essere oggetto di un’autonoma valutazione a parte, mentre la Suprema Corte sembra prima associarlo al danno biologico (di natura psichica) e poi ancora alla personalizzazione (che attiene sempre al danno biologico), quando invece è oramai pacifico che il danno morale, rispetto al danno alla salute, mantiene la sua autonomia, non essendo in esso conglobabile, visto che si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d’animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto (pur potendole influenzare) dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato.

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