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Unit-linked: polizze vita a valenza finanziaria

Una sottoscrizione di copertura sulla vita che non ha dato gli esiti sperati è all’origine delle due sentenze che confermano la natura demografica di questa forma di protezione assicurativa, con il relativo rischio sui risultati

Unit-linked: polizze vita a valenza finanziaria hp_vert_img
Con sentenze gemelle, 9836 e 9838 del 2021, la sezione XVI del tribunale civile di Roma ha dichiarato che le polizze di tipo unit-linked ricadono nella definizione di polizze di assicurazione sulla vita, anziché in quella di strumenti finanziari, anche quando il valore della copertura caso morte corrisposto dall’assicuratore ai beneficiari è pari all’un per cento del premio corrisposto.
Entrambe le vicende originavano dall’acquisto di una polizza di assicurazione sulla vita di tipo unit-linked, nella quale i contraenti avevano versato un cospicuo premio che, nel corso degli anni, aveva visto perdere sensibilmente il proprio valore.

A fronte del consistente deprezzamento del valore di polizza, i contraenti facevano causa all’assicuratore, richiedendo la riqualificazione della polizza come strumento finanziario e pertanto denunciandone (i) la nullità per accertata inosservanza dei requisiti di forma scritta previsti dall’articolo 23 (Contratti) del decreto legislativo 58/1998 (Testo unico delle disposizioni in materia finanziaria, Tuf)1 e/o la mancata abilitazione da parte dell’assicuratore allo svolgimento di attività finanziaria; (ii) in subordine, l’annullabilità della polizza a fronte dell’errore incorso da parte del contraente nell’acquisto della stessa; (iii) sempre in via subordinata, la risoluzione della polizza, accertato il grave inadempimento imputabile alla compagnia di assicurazioni; (iv) infine, il risarcimento del danno patrimoniale sofferto dal contraente, a fronte dell’accertata responsabilità dell’assicuratore.
Alle richieste del contraente, la compagnia replicava sostenendo l’infondatezza della domanda di nullità/annullabilità, in ragione della componente demografico/previdenziale, presente in polizza, tipica del rapporto assicurativo e assente nei contratti di natura finanziaria; che le polizze di tipo unit-linked sono polizze di assicurazione sulla vita, nelle quali il premio è investito in sottostanti finanziari, secondo quanto previsto dalla normativa comunitaria e nazionale, nonché in base alla più autorevole interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia Europea; che la domanda di annullamento era priva di qualsiasi argomentazione attorea; e che il danno patrimoniale lamentato non era attribuibile alla compagnia di assicurazioni, la quale si era limitata a dare esecuzione alle disposizioni ricevute dal contraente, senza esserne tenuta a verificarne la bontà.

La conferma dal giudizio europeo
Rispetto alle posizioni delle parti, il tribunale di Roma, risolte alcune questioni di carattere pregiudiziale, ricordava come, con sentenza 10333/2018, la Suprema Corte avesse sostenuto il principio in base al quale costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, perché di natura strettamente interpretativa, la riconduzione nella categoria contrattuale dell’intermediazione finanziaria, anziché in quella assicurativa, di un’operazione negoziale complessa quale quella relativa ad un’assicurazione sulla vita con premio investito in strumenti finanziari. Tale principio era stato successivamente riaffermato dal Supremo Giudice mediante pronuncia 6319 del 2019.

La Corte di Giustizia Europea, con sentenza datata 31 maggio 2018, aveva affermato il principio per cui “le consulenze finanziarie relative all’investimento di capitale erogate nell’ambito di un’intermediazione assicurativa afferente alla conclusione di un contratto sulla vita [...] rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2002/92 (sulla distribuzione assicurativa, ndr) e non in quello della direttiva 2004/39 relativa ai mercati degli strumenti finanziari [...]”, sulla scorta di una precedente sentenza del medesimo giudice comunitario (pronunciata nella causa C-166/11) che aveva sostenuto la natura di contratti di assicurazione sulla vita delle polizze unit-linked.

Prevale in concetto di rischio demografico
Su quest’ultima pronuncia aveva basato le proprie motivazioni il tribunale di Bergamo che, con sentenza 2426/2019, dando prevalenza ai principi indicati dalla Corte di Giustizia Europea, aveva affermato il principio in base al quale “[…] perché un contratto possa essere qualificato quale assicurazione sulla vita non è necessario che sia garantita (neppure parzialmente) la restituzione del capitale investito né è imprescindibile il trasferimento del rischio dall’assicurato all’assicuratore”.
Alla luce dei precedenti sopra richiamati, il giudice di Roma, pur riconoscendo l’elevata componente finanziaria delle polizze per le quali era causa, ha tuttavia ribadito la natura di contratti di assicurazione sulla vita delle polizze unit linked, sia perché l’assicuratore corre comunque il cosiddetto rischio demografico, dal momento che la prestazione, sebbene agganciata al valore di un fondo comune di investimento, è comunque dovuta al verificarsi di un evento attinente la vita umana, che comunque garantisce, nel caso di specie, la corresponsione dell’1% del valore del premio versato, sia perché il rischio della perdita finanziaria è comunque sostenuto anche dall’assicuratore, pure qualora non garantisca al beneficiario una prestazione minima corrispondente al capitale versato.
Conseguentemente ha rigettato anche la domanda dell’attore relativa alla nullità della polizza sottoscritta, dal momento che, sempre secondo tale corte, l’applicazione, tra l’altro, dell’articolo 23 del Tuf non riguarda il collocamento di polizze unit-linked.

1 Ai sensi dell’articolo 23, comma 1, del Tuf: “I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento, e, se previsto, i contratti relativi alla prestazione dei servizi accessori, sono redatti per iscritto, in conformità a quanto previsto dagli atti delegati della direttiva 2014/65/UE, e un esemplare è consegnato ai clienti. La Consob, sentita la Banca d’Italia, può prevedere con regolamento che, per motivate ragioni o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma, assicurando nei confronti dei clienti al dettaglio appropriato livello di garanzia. Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo”.

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