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Non c’è compensazione tra risarcimento e polizza vita

La Cassazione affronta il tema della “compensatio lucri cum damno” per affermare che il risarcimento per morte da responsabilità di un terzo è cumulabile con la polizza vita

Non c’è compensazione tra risarcimento e polizza vita hp_vert_img
È stata depositata una importante decisione dalla III sezione civile della Corte di Cassazione (n. 9380 dell’8 aprile 2021) la quale affronta ancora una volta il complesso tema della compensatio lucri cum damno, articolato con riguardo alla richiesta di applicare il cosidetto principio indennitario alle erogazioni ricevute da un familiare beneficiario a seguito del decesso del parente, contraente e assicurato con polizza Infortuni (caso morte) per rischio di trasporto aereo. 
Il tema nel caso sottoposto alla attenzione del collegio si poneva nell’ottica di decidere se dovesse essere sottratta tale erogazione dal complessivo danno liquidato dal responsabile agli stessi congiunti, ovvero se tale somma dovesse cumularsi con l’indennizzo ricevuto. 
L’oggetto, quindi, del contendere apre, in modo più generale, lo scenario su come debba o possa essere inquadrato il danno risarcibile quando il ristoro del pregiudizio posto a carico del responsabile si sovrapponga a una erogazione assistenziale da parte di enti, sociali o privati, tenuti, per legge o per contratto, alla liquidazione di indennizzi originati dal medesimo evento (infortunio o morte). 
In una articolata ed esauriente ricostruzione del concetto di polizze Infortuni, con postumi e caso morte, la Corte distingue le due fattispecie assicurative sul piano della natura del contratto aleatorio e causale.
In particolare, la Corte rammenta la irriducibilità della causa del contratto assicurativo per il rischio di infortunio mortale alla funzione indennitaria che accomuna, invece, la causa delle altre polizze contro gli infortuni invalidanti a quella propria dei contratti assicurativi contro i danni, con conseguente applicazione, alle due tipologie di polizze Infortuni, delle distinte discipline normative che regolano l’assicurazione sulla vita e l’assicurazione contro i danni.

L’OBIETTIVO DEL RISPARMIO ESCLUDE IL CASO DI INFORTUNIO
Stando così le cose, all’assicurazione contro gli infortuni mortali, risulta in conseguenza inapplicabile lo statuto normativo dell’assicurazione contro i danni contraddistinto dal principio indennitario che, richiedendo di dimensionare la prestazione assicurativa entro e non oltre la entità della perdita effettivamente subita dal danneggiato nella sua sfera patrimoniale (non potendo questi locupletare dall’accadimento del rischio un importo per equivalente maggiore dell’effettivo pregiudizio patrimoniale subìto), implica che il rischio, oggetto di assicurazione, sia riguardato esclusivamente in relazione alla esigenza di riparazione delle conseguenze dannose derivate dall’evento, esigendo la necessaria corrispondenza tra il valore-equivalente del bene, al momento in cui si è verificato l’evento-rischio che ne ha determinato la perdita, e la prestazione compensativa dovuta dall’assicuratore (nei limiti del massimale, legale o convenzionale, stabilito).
Invero, le Sezioni Unite della Suprema Corte già avevano escluso che potesse operare alcuna forma di compensatio nell’ipotesi in cui ai congiunti del defunto fosse stato corrisposto un emolumento da assicuratori privati sulla base di polizze vita, affermando che “nel caso di assicurazione sulla vita, l’indennità si cumula con il risarcimento, perché si è di fronte a una forma di risparmio posta in essere dall’assicurato sopportando l’onere dei premi, e l’indennità, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è quello di beneficiare il danneggiante” (Cass. civ., Sez. Un., 22 maggio 2018 n. 12564; Cass. civ., Sez. Un., 22 maggio 2018 n. 12565; Cass. civ., Sez. Un., 22 maggio 2018 n. 12566 e Cass. civ., Sez. Un., 22 maggio 2018 n. 12567, nonché Cass. civ., Sez. Un., 10 aprile 2002 n. 5119).
Nel caso specifico, dunque, la Corte, applicando tale inquadramento e richiamando in particolare la decisione n. 12564/2018 – ha affermato la non detraibilità della indennità da infortunio caso morte spettante ai familiari di una persona deceduta a seguito del fatto illecito di un terzo, ritenendo conseguentemente le due partite di danno (indennizzo e risarcimento) assolutamente cumulabili. 

LE REGOLE CHE DEFINISCONO LA DIFFERENZA
Ciò adottando il seguente principio di diritto: “nel caso di assicurazione sulla vita, l’indennità si cumula con il risarcimento, perché si è di fronte a una forma di risparmio posta in essere dall’assicurato sopportando l’onere dei premi, e l’indennità, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è quello di beneficiare il danneggiante” (Corte Cass. Sez. U., sentenza n. 12564 del 22/05/; id. Sez. 3 -, ordinanza n. 15870 del 13/06/2019, id. Sez. 6 - 3, ordinanza n. 26647 del 18/10/2019 che, ai fini del diffalco, richiedono anche la coincidenza delle voci di danno risarcite).
Nel dettaglio, la Corte pone dunque le seguenti regole generali di inquadramento della fattispecie sottoposta alla sua attenzione:
a) l’assicurazione contro gli infortuni mortali, deve ricondursi al tipo negoziale della assicurazione sulla vita, in relazione alla quale non trovano applicazione le norme che disciplinano l’assicurazione contro i danni (in cui invece debbono ricomprendersi le polizze Infortuni non mortali), tra cui l’articolo 1916 C.c.; 
b) la polizza in esame risulta essere stata stipulata dal contraente (omissis) sulla vita degli assicurati, venendo soddisfatto l’interesse di questi ad attribuire, in caso di decesso derivato da infortunio, un capitale ai soggetti designati come beneficiari; 
c) la funzione causale evidenziata dalla polizza prescinde da ogni collegamento tra la prestazione dovuta dall’assicuratore al verificarsi dell’evento-rischio, e un preesistente fatto illecito produttivo di un danno risarcibile cagionato ai soggetti beneficiari, risultando inapplicabile, pertanto, il principio cosiddetto indennitario che informa la disciplina delle assicurazioni del ramo danni (articoli 1905, 1910, 1914 e 1916 C.c.) e di cui è espressione il principio della cosiddetta compensatio lucri cum damno
d) la assenza di una funzione cosiddetta indennitaria, non ravvisabile nella prestazione erogata al beneficiario dalla società (omissis) Spa, e dunque la mancanza di sovrapponibilità, totale o parziale, di detta prestazione con la diversa prestazione risarcitoria dovuta al danneggiato da (omissis), esclude nella specie, in difetto di applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 1916 C.c., non estendibili al di fuori dei rapporti assicurativi concernenti il ramo danni, che con l’adempimento dell’obbligazione prevista in polizza a favore del beneficiario si sia realizzato un meccanismo di tipo surrogatorio, non essendo subentrata la società assicurativa nel credito del danneggiato avente titolo nell’illecito che continua a gravare per l’intero sull’autore del danno indipendentemente dalle vicende connesse alla attuazione del rapporto assicurativo derivante da polizza contro gli infortuni mortali, regolata dalla disciplina normativa delle assicurazioni del ramo vita.
La Corte non affronta direttamente, invece, il diverso tema della detraibilità (per compensatio) dell’indennizzo da polizza Infortuni per postumi permanenti dal volume del risarcimento del danno indotto dall’azione illecita del terzo, anche se, leggendo nella parte motiva, pare possa ritenersi predicabile la linea della non cumulabilità tra indennizzo e risarcimento, già del resto statuita dal Supremo Collegio nell’ordinanza del 27 maggio 2019 n. 14358.

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