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Targa prova e Rc auto: le cose possono cambiare

Una recente sentenza della Corte di Cassazione è entrata nel merito delle prassi assicurative di officine e concessionarie che effettuano collaudi e test drive: aumenta l’incertezza in un settore già provato dalla crisi

Targa prova e Rc auto: le cose possono cambiare hp_vert_img
Il settore automobilistico, già scosso da segnali industriali non confortanti, ha accolto con una certa apprensione la recentissima sentenza della Cassazione, 17665 del 25 agosto 2020, che invaliderebbe, a una prima lettura, la prassi di officine e concessionarie di utilizzare le targhe prova per la circolazione di veicoli, ancorché regolarmente immatricolati, per le ristrette finalità di collaudo e di test drive per potenziali acquirenti. La sentenza della Cassazione precisa che “la targa prova costituisce una deroga e, sostanzialmente ‘sana’, la mancanza di carta di circolazione e, quindi, di immatricolazione [...]” ricordando dunque che “la targa prova rappresenta, in definitiva, una deroga alla previa immatricolazione e alla documentazione propedeutica alla ‘messa in circolazione’, ma se l’auto è già in regola con i due presupposti (Carta di circolazione e immatricolazione), la deroga non è funzionale allo scopo”.

Quale compagnia deve risarcire?
Il principio è affermato sulla base di una lettura razionale del dpr 474/01, che esclude l’obbligo di munire di carta di circolazione i veicoli che circolano su strada per esigenze connesse con prove tecniche, sperimentali o costruttive, dimostrazioni o trasferimenti, anche per ragioni di vendita. In tali limitate ipotesi, per circolare, i soggetti autorizzati (fabbriche di automobili, riparatori ecc.) possono avvalersi della copertura assicurativa prevista dalla cosiddetta targa prova, trasferibile da veicolo a veicolo.
La fattispecie presa in esame dalla sentenza riguardava un incidente mortale causato da un veicolo, già regolarmente assicurato, durante una prova di guida effettuata dall’autoriparatore, previa apposizione della targa prova.  Si trattava dunque di comprendere quale, tra le due polizze assicurative potenzialmente operanti, dovesse essere attivata a copertura del danno: se quella che già assicurava il veicolo, o quella della targa prova. Risolvendo il caso, la Cassazione, in applicazione al principio di cui sopra, ha posto ogni obbligo risarcitorio a carico della compagnia che già copriva il veicolo e non invece di quella che copriva la targa prova.

Un vulnus per i venditori di auto usate
Le ricadute operative di una tale interpretazione, ove ritenuta convincente e valida, sarebbero di particolare importanza soprattutto per i concessionari e i rivenditori di auto usate, che si troverebbero nella grave difficoltà di non poter più utilizzare la targa prova per effettuare test drive sui mezzi destinati alla vendita, quando già immatricolati. Di qui l’obbligo di assicurarli, tutti e ciascuno, per la Rc auto.
Quanto invece agli autoriparatori, potrebbero incontrare alcune difficoltà operative, dovendo pro futuro verificare che le condizioni della polizza che già assicura il veicolo per la Rca non presentino esclusioni di garanzia e che, in ogni caso, garantiscano il rischio durante la prova tecnica o il collaudo. 

Il parere della Corte Europea
Le conclusioni cui perviene la Cassazione fanno peraltro (inconsapevolmente) il paio con quanto predicato da tempo dalla Corte di Giustizia Europea, che ha affermato a più riprese, e da ultimo con la pronuncia del 4 settembre 2018, causa C-80/17, il principio per cui “si deve ritenere che un veicolo che sia immatricolato e che non sia stato pertanto regolarmente ritirato dalla circolazione, e che sia idoneo a circolare, corrisponde alla nozione di ‘veicolo’, ai sensi dell’articolo 1, punto 1, della prima direttiva, e non smette, quindi, di essere soggetto all’obbligo di assicurazione enunciato all’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva per il solo fatto che il suo proprietario non ha più intenzione di guidarlo e lo immobilizza su un terreno privato”. Si tratta di un allargamento dell’ambito di operatività dell’obbligo di assicurarsi, rispetto a quanto stabilito in termini più stringenti dall’articolo 122, comma 1, del dlgs. 209/2005. Duplice la finalità perseguita dalla Corte di Giustizia Europea: da un lato, quella preventiva di coprire il rischio di qualsiasi veicolo astrattamente idoneo a circolare, quali che ne siano le funzionalità d’utilizzo; dall’altro, quella di ampliare lo spettro della garanzia assicurativa, che dovrà essere ritenuta operativa a prescindere dalla natura, pubblica o privata, dell’area di verificazione del sinistro. Il tutto, nell’ottica di preminente tutela del terzo danneggiato, ovunque questo si trovi al momento dell’incidente.

Il ruolo del contratto base
La questione è stata rimessa al giudizio della Suprema Corte a Sezioni Unite, ma nelle more della sua decisione è già intervenuto il legislatore. Deve segnalarsi che il testo del nuovo contratto base della Rc auto, pubblicato il 17 giugno scorso con dm 54/2020, sembra aver già definitivamente aderito alle indicazioni europee, estendendo apertamente il perimetro della copertura dell’assicurazione Rc auto alle aree private. In questo senso si veda l’allegato A, che integra la seconda sezione del dm e costituisce una sorta di fac simile della polizza riferimento. 
Insomma, mettendo insieme i pezzi del mosaico sembrerebbe che d’ora in avanti i veicoli già immatricolati giacenti, anche in sosta, presso le concessionarie e i rivenditori debbano essere (tutti e ciascuno) assicurati, ossequiando così la nuova e più estesa concezione dell’obbligo di assicurazione sulle aree private, anche per il rischio statico. Del tutto simmetricamente, non sarebbe più bastevole, né lecita, la prassi di non assicurarli, salvo apporre la targa prova ambulatoria ai soli veicoli posti concretamente su strada in occasione di prova dimostrativa o di collaudo tecnico.
Di fronte alle evidenti complicazioni operative che conseguirebbero a tale rigida impostazione, i player del mercato hanno reagito negativamente, rimarcandone l’inopportunità, specie nel presente momento storico, e, comunque, mettendone in discussione l’effettiva fondatezza.

Una proposta di mediazione
L’argomento, invero, è da tempo oggetto di un serrato dibattito a livello istituzionale tra il ministero dell’Interno, che aveva già sostenuto l’interpretazione fatta propria dalla Cassazione (nota del 30 marzo 2018) e il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che si era invece mostrato aperto all’uso della targa prova anche per i veicoli immatricolati. E per provare a risolvere la questione, i due dicasteri, come ricordato dall’Ania in una circolare del 23 settembre, hanno elaborato e presentato una proposta di legge oggi in fase di discussione avanzata e volta a consentire, e non impedire, l’uso della targa prova anche su veicoli già immatricolati, seppur entro precisi limiti. È noto, d’altra parte, che i rivenditori, quando acquistano da privati veicoli poi destinati alla rivendita, (anche a seguito dell’attuazione del dlgs del 29 maggio 2017 n. 98) si avvantaggiano di un trasferimento di proprietà con effetti cosiddetti ridotti, perché il veicolo non è più ammesso alla circolazione su strada, se non per finalità connesse alla vendita ex articolo 56 comma 6, dlgs 446/1997. 

Nella pratica non cambia nulla
In questi casi vi è dunque da chiedersi se tale sostanziale inidoneità alla circolazione del veicolo, ancorché già immatricolato, sia tale da escludere l’obbligo assicurativo che il contratto base correla al concetto di veicolo circolante e consenta di affermare, per altro verso, la possibilità di circolare con la targa prova, ai limitati fini di cui si è detto. Al cospetto di tale incertezza, e del ben differente atteggiarsi della prassi in uso, tanto il settore automotive quanto il comparto assicurativo, pur assumendo un atteggiamento vigile, hanno sin qui deciso di mantenere inalterato il loro modus operandi. Si ritiene dunque preferibile accollarsi i rischi di una tale scelta piuttosto che affrontare le controindicazioni operative (ed economiche) che si porrebbero nel seguire alla lettera le indicazioni della Suprema Corte. 
Molto rumore per nulla, dunque? Sì, probabilmente. Salvo si voglia considerare quest’ultimo sussulto giurisprudenziale come l’occasione (da non perdere) per completare il percorso di riforma normativo in atto o comunque per intervenire con una disciplina di legge che sappia far definitiva chiarezza.

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