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Compagnie assicurative e Pmi: occhio alla sostenibilità

Considerare e misurare la sostenibilità d’impresa aiuterà le compagnie assicurative a costruire un’offerta su misura per le aziende di piccole e medie dimensioni e a far evolvere la selezione dei rischi

Compagnie assicurative e Pmi: occhio alla sostenibilità hp_vert_img
Il 2020 sarà l’anno della verità per le Pmi italiane: l’emergenza sanitaria ha imposto dure misure di contenimento alle attività economiche delle nostre imprese, che per la prima volta si sono trovate di fronte a un’emergenza globale non legata a fattori economici o finanziari, ma socio-ambientali. Le ultime stime di Fitch sull’andamento del Pil italiano indicano un calo del 10% nel 2020 e una ripresa del 5,8% nel 2021. Ma anche se siamo lontani da uno scenario di rapida ripresa, esistono motivi di cauto ottimismo per la nostra economia, in particolare guardando alle piccole e medie imprese. Per esempio, l’indice di fiducia del settore manifatturiero, misurato da Ihs Markit a settembre, si attesta a quota 53,1 punti, con un aumento significativo rispetto agli ultimi 24 mesi e alla situazione pre-Covid. Secondo il Rapporto Export di Sace, dopo la contrazione dell’11,3% che dovremmo registrare nel 2020, nelle esportazioni ci si aspetta una crescita del 9,3% già nel 2021, e del 5,1% medio nel 2022 e 2023. È un segnale importante per le nostre imprese, anche se le differenze settoriali saranno forti: le esportazioni italiane di agricoltura e alimentari saranno le meno colpite nel 2020, con una flessione attesa del 5,4% e una rapida ripresa (+8%) nell’anno successivo. Discorso opposto per i beni di investimento, dove la flessione, in particolare del comparto automotive, peserà sull’export con un recupero del 9,3% che seguirà però la caduta di 10,8% del 2020. In generale, le nostre Pmi hanno comunque affrontato l’emergenza Covid-19 con una preparazione più solida rispetto alla crisi del 2008-2009. Secondo gli studi Cerved per Mbs Consulting, tra il 2007 e il 2014 il numero di Pmi si è ridotto del 9%, e la successiva crescita complessiva del 18,5% negli anni 2014-2019, da 136.114 a 161.334 imprese, è stata trainata da aziende più solide: prima del Covid-19, le imprese a rischio default erano il 13,9% del totale, rispetto al 24,8% del 2007. Si è pertanto assistito a una selezione naturale delle imprese, che ha premiato quelle più sostenibili. Questo cauto ottimismo potrebbe però scontrarsi con la realtà nei prossimi mesi: negli scenari ipotizzati da Cerved, in caso di nuove misure di chiusura, il Covid-19 potrebbe portare la percentuale di imprese a rischio default fino al 32% del totale.

Impresa, motore di coesione sociale
In questo contesto di incertezza, l’impresa ha giocato un ruolo di coesione sociale importante, rappresentando per i lavoratori un punto di riferimento, soprattutto nei difficili periodi di isolamento. Fondamentali sono state le politiche di welfare adottate, che rappresentano uno dei fattori di sostenibilità più rilevanti per le Pmi. Questo emerge dal rapporto Welfare Index Pmi promosso da Generali in collaborazione con Innovation Team del gruppo Mbs Consulting, che ha confermato il ruolo centrale del welfare nelle strategie delle Pmi. Non solo il 78,9% delle aziende ha confermato appieno il proprio piano di welfare anche durante l’emergenza sanitaria, ma oltre il 48% delle imprese intervistate prevede di rafforzare il proprio impegno nel settore, mentre il 91,6% delle imprese ritiene oramai cruciale la salute dei dipendenti come fattore di sostenibilità. A conferma del ruolo sociale delle Pmi, il 26,4% delle imprese ha sviluppato iniziative di sostegno per le comunità locali e verso il Sistema sanitario nazionale, mentre il 12,5% ha addirittura sviluppato iniziative di assistenza sanitaria per i propri dipendenti che includono video-consulto, telemedicina, prevenzione, assistenza sanitaria. Ma c’è di più: le imprese con un sistema di welfare maturo hanno registrato performance di produttività superiori rispetto alle Pmi meno ingaggiate. Questo emerge dall’analisi dei bilanci delle aziende del Welfare Index Pmi effettuata da Cerved su un campione di oltre 3.000 imprese, prendendo in considerazione il triennio 2016-2018. Le imprese più fortemente impegnate nei programmi di welfare registrano utili in relazione al fatturato pari all’8%, mentre le imprese meno ingaggiate si fermano al 2,4%. Anche una misura di produttività come il dato sull’utile per addetto conferma la rilevanza del welfare: 29.407€ di utile per ogni addetto nelle imprese con welfare sviluppato e maturo, contro 6.260€ per le imprese meno ingaggiate.

Rispondere ai bisogni delle PMI
Dal punto di vista delle compagnie di assicurazioni, si apre quindi un tema chiave nell’approcciare il segmento delle Pmi: come individuare le imprese maggiormente sostenibili nei prossimi anni. Questo per perseguire due obiettivi: da una parte proporre alle Pmi un’offerta più orientata ai bisogni complessivi e non solo assicurativi, dall’altra parte selezionare con maggiore efficacia i “buoni” clienti, ossia le Pmi maggiormente sostenibili.
L’offerta delle compagnie assicurative alle Pmi dovrebbe quindi considerare sia i bisogni delle imprese sia quelli dei lavoratori. Dovrebbe promuovere i programmi di welfare aziendale, contribuendo così a rafforzare il legame sociale tra impresa e lavoratori e affiancando nuovi servizi alle aree tradizionalmente già indirizzate verso questo obiettivo, come infortuni, malattia e previdenza. In particolare, i servizi sanitari rivestiranno un’importanza cruciale nel sostenere le Pmi nella difficile ripartenza: la possibilità di accedere a un video-consulto, di prenotare test rapidi presso strutture convenzionate, di disporre di protocolli di cura e terapia a domicilio, di informare correttamente i lavoratori sui comportamenti da adottare, sono solo alcuni esempi di come le compagnie possono affiancare le Pmi, contribuendo contemporaneamente alla protezione della salute dei lavoratori e alla salvaguardia della continuità operativa delle Pmi stesse, fortemente a rischio in caso di diffusione dei contagi. La tecnologia rappresenta un’opportunità per ottimizzare il costo delle visite specialistiche: nel caso di un video-consulto specialistico, il costo della prestazione a carico della compagnia potrebbe ridursi di oltre il 75%. Tutto ciò fornendo un miglior servizio al cliente: riduzione dei tempi di attesa, facilitazioni di accesso, rapidità nella diagnosi e nell’eventuale orientamento ai percorsi di cura. Ma i bisogni delle imprese sono molto ampi, e le compagnie potrebbero valutare di sviluppare anche altri ecosistemi e offerte dedicate, per esempio al finanziamento, al noleggio di veicoli su richiesta, al supporto legale, giuslavoristico e su tematiche fiscali. Un esempio di questo sono le numerose offerte recentemente proposte dalle compagnie assicurative alle imprese edili per l’acquisto dei crediti fiscali, tra i quali il noto Ecobonus 110% previsto dal decreto Rilancio.
Un’altra sfida significativa per le Pmi è l’adeguamento alla nuova normalità che il Covid-19 ci sta lasciando in eredità: lavoro a distanza, digitalizzazione dei processi, sviluppo delle vendite online, digital marketing, internet delle cose, cloud, solo per citare gli ambiti più noti. Secondo un’indagine realizzata da Promos Italia per Il Sole 24 Ore, su un campione di 399 piccole e medie imprese, il 49% ha aumentato il ricorso alle vendite online per sostenere l’export durante la pandemia e il 66,9% prevede un ulteriore sviluppo dell’export digitale nei prossimi tre anni. Data l’urgenza della situazione, per garantire la continuità del business le nostre imprese si sono dovute adeguare in tempi strettissimi, anche a costo di prendersi qualche rischio nel breve periodo. Secondo diversi osservatori tematici, nel 2019 un’impresa su quattro ha dichiarato di aver subito attacchi informatici, con perdita di dati e informazioni sensibili. 
Guardando a medio termine, sarà quindi necessario che le Pmi prendano maggiore consapevolezza dei rischi collegati alla digitalizzazione delle attività, e adeguate azioni preventive.
Per le compagnie sarà tuttavia importante far evolvere l’approccio alla selezione dei rischi. Anche su questo aspetto è fondamentale considerare e misurare la sostenibilità d’impresa, in quanto potenzialmente correlata al rischio. Diventa quindi importante disporre di informazioni ampie sull’attività di impresa, al fine di considerare in fase assuntiva anche rischi specifici legati all’attività, al settore o alla filiera nella quale l’impresa opera. Valutazioni sul posizionamento di mercato, sulla competitività dell’offerta, sull’innovazione, ma anche sulle scelte di organizzazione interna e sul welfare dei lavoratori, potrebbero essere rilevanti nel valutare il rischio della singola impresa. Questo in aggiunta alle valutazioni di solidità patrimoniale e finanziaria, affidabilità nei pagamenti, rischio frode o riciclaggio, o ancora la valutazione più puntuale del patrimonio di impresa – in particolare gli immobili – in maniera del tutto simile a quanto già fanno le banche nella concessione del credito. Persino le relazioni potrebbero contribuire alle valutazioni sul rischio: conoscere come le persone che governano un’impresa sono collegate al resto del mercato è un’informazione preziosa, che permette di valutare rischi specifici di concentrazione o potenziale frode. Considerando il peso rilevante dei crediti delle compagnie verso le imprese, la capacità di valutare quantitativamente la sostenibilità delle Pmi potrebbe diventare un elemento chiave dei modelli assuntivi, in particolare nelle coperture che prevedono delle regolazioni premio, oppure in settori con coperture specifiche come edilizia o trasporti.
In sintesi, gli assicuratori hanno l’opportunità di proporsi alle imprese come partner per una gestione strategica dei rischi indirizzando tre possibili obiettivi: garantire la stabilità del business e non solo la copertura dei danni patrimoniali; rafforzare l’impatto sociale e ambientale del business, anche attraverso un contributo al rinnovamento del welfare; gestire la digitalizzazione affrontando i nuovi rischi che questa comporta. A questo va aggiunta una riflessione sul modello assuntivo, studiando nuove possibili correlazioni con il tema ampio della sostenibilità, e sulle implicazioni che potrebbe avere nel lungo termini sui rischi coperti dalle compagnie.

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