Insurance Trade

Come valutare il danno patrimoniale futuro

L’impossibilità della vittima di un illecito di continuare a percepire il proprio reddito apre alla necessità di stabilire l’importo del lucro cessante, attività che oggi si avvale di regole e interpretazioni giurisprudenziali consolidate

Come valutare il danno patrimoniale futuro hp_vert_img
Ci è già capitato in questa nostra rubrica di raccontare come molti profili della responsabilità civile e del risarcimento del danno si siano nel nostro sistema affinati e perfezionati grazie al sapiente e costante contributo interpretativo della giurisprudenza.
Le norme costituiscono, come sempre avviene, la cornice insuperabile degli istituti della colpa e risarcitori, ma la tela, intesa come trasfigurazione pratica dei principi nella casistica quotidiana, necessita di un contributo applicativo e spesso anche creativo del magistrato, chiamato appunto a trasferire il principio al caso concreto.
Il danno ingiusto deve per principio assoluto essere risarcito nella misura congrua idonea a ripristinare la condizione lesa, ma spesso questa operazione richiedesi inquadrare una componente astratta attraverso il meccanismo della previsione di un pregiudizio futuro.
Ciò è per dire che se, ad esempio, con la mia condotta colposa distruggo un manufatto di altri, il danno potrà essere risarcito obbligandomi a corrispondere la somma necessaria per riparare il bene leso e ridargli il valore economico preesistente.
Ma se il danno che l’illecito genera ha una proiezione che verrà percepita dalla vittima solo nel futuro, questa operazione compensativa necessita di una valutazione prognostica e quindi non ancorata a canoni certi (il valore economico del bene leso), ma bensì a parametri aleatori di prevedibilità ipotetica e futura.

Nessun dubbio sull’obbligo del risarcimento
È il caso (tema di questo contributo) del danno patrimoniale futuro da perdita di capacità reddituale, con il quale si deve risarcire, appunto, un pregiudizio (la perdita di guadagno) che non si è ancora realizzato ma che presumibilmente verrà percepito dalla vittima nel corso della vita a venire.
Si pensi a chi abbia subìto una grave lesione del bene salute. Oltre al risarcimento del danno biologico, la menomazione potrebbe incidere altresì sulle sue funzioni dinamiche professionali e quindi riflettersi nella sua capacità di guadagno per il resto della vita lavorativa.
Come può essere inquadrato e quindi risarcito questo danno?
È proprio questa una ipotesi dove alla regola si sovrappone la prassi giurisprudenziale il cui contributo ha sempre negli anni permesso di giungere a meccanismi di calcolo accettati dall’ordinamento e condivisi dalla dottrina.
Vediamo quali sono queste regole normative ed empiriche.
Nel nostro Codice Civile il titolo IX del libro IV regola il sistema giuridico della responsabilità civile e del risarcimento del danno che si regge su alcuni principi centrali come quello dettato dall’articolo 2043 (“qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”).
La giurisprudenza ha quindi affinato i criteri di determinazione empirica del danno patrimoniale subìto da una persona (fisica o giuridica) per il fatto illecito del terzo.
Certamente l’azione colposa o dolosa che generi un danno a terzi deve essere sanzionata (in ipotesi di reato con l’intervento del giudice penale) e portare sempre al ristoro del pregiudizio ingiusto subito dalla vittima. 
Quanto al risarcimento del danno, il successivo articolo 2056 C.c. prevede che lo stesso sia determinato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 dello stesso codice, per i quali il danno è solo quello direttamente collegato alle conseguenze dell’azione illecita. 

Lucro cessante, questione di probabilità
Un principio normativo che genera complessità di calcolo del danno risarcibile è proprio quello legato al secondo comma dell’articolo 2056 C.c. per il quale “il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso”. 
Il danno futuro legato appunto al mancato utile economico, subìto dalla vittima nel resto della sua esistenza dopo aver patito le conseguenze del fatto illecito, è spesso di difficile inquadramento e liquidazione.
Ecco perché la giurisprudenza da tempo si occupa di questa particolare dimensione di danno, adattando la regola alle peculiarità del caso concreto.
Si pensi all’operaio che subisca lesioni agli arti tali da impedirgli le mansioni meccaniche proprie del suo ruolo, oppure all’atleta professionista che non possa più competere ai livelli pre-sinistro. 
In questi casi, il danno patrimoniale subìto dalla vittima si compone di una parte, detta danno emergente, che attiene alla immediata incidenza dei costi di cure e ripristino nell’immediatezza del fatto, e di altra parte che attiene al futuro della esistenza menomata e che riguarda le possibili flessioni di guadagno, detto appunto lucro cessante. 
I meccanismi di calcolo di questo danno ipotetico, che deve essere, come si è visto, valutato dal giudice sulla base degli elementi oggettivi accertati in istruttoria, si sono affinati nella consuetudine giurisprudenziale secondo sistemi di calcolo empirico di grande diffusione. 
In particolare, il danno patrimoniale da mancato guadagno, concretandosi nell’accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dal fatto illecito, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell’utilità patrimoniale che la parte lesa avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta, esclusi solo i mancati guadagni meramente ipotetici, perché dipendenti da condizioni incerte.
Sicché la sua liquidazione richiede un rigoroso giudizio di probabilità, e non di mera possibilità, che può essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi offerti dalla parte creditrice, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l’entità del danno subìto (C. App. Milano n.796 del 2019).

Un meccanismo di calcolo accettato 
Da un lato, dunque, il danneggiato deve allegare l’entità effettiva del mancato guadagno, seppure in termini probabilistici, provando l’incidenza del danno sulla specifica capacità lavorativa e gli effetti di tale disfunzionalità sulla contrazione di guadagno.
Dall’altro, raggiunta quella prova, al giudice spetterà di valutare e liquidare sulla base degli elementi acquisiti, l’entità del mancato guadagno per il resto della vita del danneggiato in una misura che dovrà tenere conto dei presumibili anni lavorativi residui e della anticipazione immediata di una somma che valga a compensare tutta la durata di tale flessione professionale. 
Il meccanismo di conto che porta alla erogazione di un risarcimento anticipato e unico si basa sulla determinazione in via equitativa da parte del giudice di una presumibile flessione annuale di guadagno, somma che poi andrà calibrata alla durata della vita lavorativa. 
L’importo accertato in ragione del singolo anno lavorativo, in pratica, andrà moltiplicato per la vita professionale residua, non attraverso una mera sommatoria matematica degli anni mancanti, ma con il meccanismo della capitalizzazione anticipata che si ottiene moltiplicando il mancato reddito annuale per un coefficiente utilizzato abitualmente per la costituzione di rendite previdenziali o assistenziali.
La scelta di quale sia, fra molti, il coefficiente più adeguato a rendere congrua e giusta la capitalizzazione anticipata è rimesso alla discrezionalità del magistrato che dovrà motivare le ragioni dell’opzione di un indice piuttosto che di un altro.
La suprema Corte di Cassazione si è però spesso occupata della questione, rammentando ai magistrati ordinari che la scelta deve essere orientata verso indici quanto più possibile aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti vigenti per la capitalizzazione di rendite assistenziali o previdenziali o quei coefficienti elaborati in dottrina che abbiano sempre una base scientifica attualizzata (da ultimo Cass. n. 2463 del 2020).

La possibilità della rendita annuale
Il danno non patrimoniale da lucro cessante futuro, in conclusione, deve essere sempre valutato partendo da una base oggettiva (l’incapacità lavorativa accertata dal medico legale e l’entità della flessione documentata) e poi essere parametrata dal giudice sulla base di indici di calcolo quanto più scientifici e attualizzati. 
L’alternativa alla liquidazione di una somma unica anticipata, e quindi capitalizzata, risiede in una prassi adottata ancora in misura residuale dalla magistratura di merito, e che consiste nella erogazione di una rendita annuale per tutta la durata effettiva della vita residua della vittima, che si basa sul disposto dell’articolo 2057 del codice civile. 
Anche del meccanismo compensativo previsto dall’istituto della rendita ci siamo occupati in queste pagine e di tale tema torneremo certamente a occuparci in futuro, perché la nostra magistratura ha dato sempre prova, negli anni, di ragionare in termini di crescita intellettuale verso l’obbiettivo di rendere il risarcimento sempre più allineato alla entità reale dell’interesse leso e alla giusta compensazione del pregiudizio subìto dalla vittima.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Articoli correlati

I più visti