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La pandemia e gli “attori” del mondo giudiziario che verrà

Usciti dalla fase di emergenza cominciano a profilarsi i risvolti giudiziari dell’impatto del Covid-19. La questione riguarderà in primo luogo le strutture sanitarie che potranno essere chiamate in causa, ma il settore assicurativo deve temere anche il concetto di “infortunio” correlato al virus

La pandemia e gli “attori” del mondo giudiziario che verrà hp_vert_img
Con l’entrata del Paese nella Fase 2 si aprono, assieme alle primarie attività produttive, anche le necessarie riflessioni sulle conseguenze di quanto accaduto e di quali riflessi economici e giudiziari questa pandemia avrà nei molteplici settori che impegnano direttamente o trasversalmente la sanità italiana. 
Gli strascichi della grave crisi sanitaria che si è abbattuta non solo sul nostro Paese porteranno in luce scenari che si articoleranno in varie sedi, fra le quali anche quelle giudiziarie (e per il vero questa fase è già iniziata in più distretti civili e penali). 
Ma se il Covid-19 ha cambiato i nostri comportamenti, appare chiaro che cambierà anche i profili di coinvolgimento dei diversi attori della scena giudiziaria, o, più che altro, il loro coinvolgimento.
Una prima riflessione va fatta per la categoria immediatamente più esposta al fenomeno, che sta riscuotendo il giusto tributo di solidarietà e riconoscenza. 
I medici, dunque, chiamati da mesi a un massimo sacrificio sotto ogni profilo, anche personale, appaiono oggi ancor di più come l’avanguardia di un sistema sanitario che ha mostrato crepe ma al tempo stesso le sue potenzialità di tutela nella sicurezza delle cure verso la collettività, sottoposto a uno stress test senza precedenti. 
Protetti dal perimetro della responsabilità extracontrattuale oggi metro di giudizio, certamente più idoneo e allineato alla struttura di una prestazione di mezzi e mai di risultato, i medici potranno evidenziare in ogni sede (proprio quella civile ma anche quella penale) la speciale difficoltà nella quale si siano trovati a operare (come anche oggi invero) ai fini di una lineare e scontata applicazione dell’esimente di cui all’articolo 2236 C.C., che indirizza l’eventuale indagine sul loro operato esclusivamente verso un’eventuale (e di difficile riscontro, crediamo) “colpa grave”. 

Rivalutare la funzione sociale del personale sanitario
L’assoluta situazione di emergenza, la precarietà della ricettività delle strutture nella fase acuta della pandemia, la non sempre disponibilità dei presìdi di cura e contenimento nella prima fase dell’emergenza e, infine, l’assenza di linee guida di fronte a una patologia mai indagata scientificamente in precedenza, costituiscono altrettanti canoni di valutazione e, a nostro giudizio, di assoluzione dei medici per il loro operato, lasciando a una sede residuale l’accertamento della loro eventuale “colpa inescusabile” pur alla luce delle emergenze citate. 
Per gli operatori sanitari si aprirà invece, è il nostro auspicio, una fase di riflessione che tragga testimonianza dal ribadito ruolo di meccanismo primario e imprescindibile della funzione sociale clinica, in un’ottica di ritrovata alleanza terapeutica medico-paziente, che li sottragga a una preconcetta ricerca della colpa, che troppo spesso in passato ha tralasciato l’indagine del contesto organizzativo nel quale si trovano a operare, anche al di fuori di questa realtà pandemica.
Anche le aziende sanitarie saranno necessariamente esposte, a tempo debito, a uno screening sulle proprie capacità organizzative e di ricettività delle indicazioni emergenziali che, dalla dichiarazione dello “stato di emergenza” del gennaio scorso in poi, hanno rappresentato le linee guida per fronteggiare un’emergenza del tutto nuova. 

L’incognita dei costi dei risarcimenti
Ci saranno necessarie indagini giudiziarie sull’impulso delle parti che si ritengano vittima della gestione organizzativa e assistenziale (le cronache riferiscono di procedimenti civili e penali già avviati) nelle quali i canoni probatori saranno particolarmente rilevanti per indagare su reali e mai presunte ipotesi di responsabilità organizzative e funzionali, tanto nelle strutture demandate alle cure quanto in quelle di lungodegenza (le Rsa), proiettate queste ultime verso funzioni mai governate in precedenza di contenimento epidemiologico. 
Anche i lavoratori non del comparto sanitario sono diventati attori primari della realtà emergenziale da quando si è deciso (articolo 42 della Legge 27/2020) di ampliare la tutela infortunistica da contagio, in ottica previdenziale, ampliando i margini di intervento dell’Inail ogni qual volta possa essere presunta la causa virulenta collegata alle funzioni del lavoratore contagiato, a prescindere dal rilievo di una reale responsabilità del datore di lavoro (circolare Inail n. 22 del 20 maggio 2020). 
Come tutte le grandi crisi (anche sanitarie), saranno ingenti i riflessi economici e sociali che rappresentano il costo dell’attacco alla salute dei cittadini. 
All’enorme dispendio di risorse statali necessarie per il contenimento del contagio e la cura dei malati, si sommerà il costo dei danni che dovranno essere risarciti alla fine del percorso giudiziario e nelle ipotesi di comprovata responsabilità delle strutture coinvolte in prima linea. 

I riflessi per il settore assicurativo
Qui la riflessione deve essere allargata al mondo assicurativo, che da tempo (complice l’elevato costo del ramo in termini di rapporto premi/sinistri) appariva freddo nella scelta di offrire coperture alle aziende sanitarie e agli operatori del settore e che, inevitabilmente, sarà indotto a una ancor maggiore diffidenza oggi, delimitando i rischi futuri e quindi l’ombrello di una garanzia patrimoniale in assenza della quale il costo dei risarcimenti si rifletterà necessariamente sui bilanci delle aziende sanitarie. 
In assenza dei decreti attuativi della legge Gelli (art. 10 L. 24/2017), il mondo della sanità non vive oggi una realtà, pur auspicata dalla norma, di pienezza dell’obbligo assicurativo e si dibatte tra forme di “autoassicurazione”, che per lo più si traducono in assenza di garanzie (le cosiddette Sir), ovvero in una forte delimitazione delle stesse (per lo più con franchigie contrattuali molto alte, o esclusioni da rischio Covid-19).
Inevitabile la riflessione sul costo sociale che il presumibile incremento delle cause e l’assenza di tutela patrimoniale avrà sul conto economico del comparto sanitario. 
Lo stesso mondo assicurativo, infine, appare oggi in allarme per i possibili riflessi che l’interpretazione traslatizia del concetto di “infortunio” da Covid-19 potrà avere sulle polizze Rco a copertura della responsabilità dei datori di lavoro e anche sulle polizze private infortuni, ove la nuova definizione previdenziale di infortunio da causa virulenta dovesse colpire il rischio normalmente inquadrato nel diverso regime della malattia, professionale o meno. 
Infine, l’organizzazione delle aziende sarà chiamata a rispondere attraverso i suoi vertici operativi delle decisioni e dei presìdi di sicurezza adottati nella fase di emergenza, secondo lo schema di giudizio proprio del D. Lgs. 81/2008, con rifessi per le figure apicali e anche per le persone giuridiche, in vigenza del D. Lgs. 231/2001 (responsabilità penale dell’azienda). 

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