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L’impatto della pandemia sulle polizze D&O

Il Covid-19 ha posto in situazione di grande stress le imprese, esponendole a conseguenze non prevedibili e mettendo a rischio gli amministratori. Il decreto Liquidità offre delle deroghe, che non è detto portino a un esito positivo

L’impatto della pandemia sulle polizze D&O hp_vert_img
La diffusione mondiale del coronavirus può produrre riflessi anche per le coperture D&O (e le estensioni “cariche sociali” delle polizze di Rc professionale). La situazione emergenziale ha imposto ad amministratori e manager decisioni drastiche in tempi ristretti, nella gestione del personale, delle forniture, delle vendite e dei flussi finanziari, nonché delle chiusure aziendali, creando un terreno fertile per errori e possibili contestazioni da parte di shareholder e stakeholder.
Pur tenendo a mente come tali polizze prevedano solitamente una esclusione per richieste di risarcimento per infortuni e danni a cose o persone, ricordiamo come agli imprenditori sia imposto l’obbligo di attuare misure di pianificazione di emergenza per affrontare l’epidemia, in modo che l’attività di impresa sia gestita con misure adeguate per la salvaguardia tanto dei dipendenti quanto dei terzi fornitori e dei clienti (con risvolti anche penali in caso di omissione di misure di prevenzione). Senza dimenticare il rischio privacy derivante dal trattamento di informazioni relative allo stato di salute dei dipendenti o al massivo ricorso allo smart working che potrebbe aumentare il rischio cyber.

Le misure previste dal Decreto Liquidità
Proprio per evitare che la situazione di crisi potesse comportare un assoluto blocco delle decisioni da parte del management, con il decreto Liquidità (D.L. 23/2020) sono state introdotte tre misure derogatorie in materia di (i) riduzione di capitali (art. 6), (ii) redazione del bilancio (art. 7) e (iii) finanziamenti alle società (art. 8):
i. non si applicano fino al 31 dicembre le norme sulla riduzione del capitale sociale per perdite (artt. 2446, 2447, 2482-bis e 2482-ter C.C.) e sullo scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale (artt. 2484 e 2545-duodecies C.C.). La previsione mira ad evitare che, a causa della riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo di legge, gli amministratori vengano posti nell’alternativa tra l’immediata messa in liquidazione della società e la necessaria ricapitalizzazione (perché le perdite di capitale potrebbero non riflettere le reali ed effettive potenzialità dell’impresa);
ii. la redazione del bilancio di esercizio in corso si effettua nell’ottica della continuità di impresa anche se la società è insolvente, purché non lo fosse nell’ultimo bilancio chiuso prima del 23 febbraio 2020 (al fine di evitare che una situazione ritenuta contingente ed eccezionale porti a raffigurare una rappresentazione distorta della realtà);
iii. il rimborso dei finanziamenti effettuati a favore delle società da parte dei soci (e di chi esercita attività di direzione e coordinamento o di altri soggetti ad esse sottoposti), non è soggetto al meccanismo della postergazione rispetto alla soddisfazione degli altri creditori (cercando dunque di stimolare il concreto coinvolgimento dei soci nella raccolta di risorse utili alla continuità aziendale). 
Va comunque ricordato come restano ferme tutte le previsioni in tema di informativa ai soci (di cui artt. 2446 C.C. co. 1 e 2482-bis C.C. co. 1, 2 e 3). Così come permangono in capo ai sindaci i doveri di vigilanza (in particolare, circa la verifica del rispetto delle prescrizioni imposte dai Dpcm e dei presidi di sicurezza, nonché circa la prospettiva della continuità aziendale, avendo cura di esprimere i propri giudizi nella prossima relazione al bilancio). 

L’improcedibilità delle istanze di fallimento
A tali misure deve poi sommarsi l’improcedibilità delle istanze di fallimento e ammissione a liquidazione coatta amministrativa sino al 30 giugno 2020. Indubbiamente, nel breve periodo, l’improcedibilità comporterà una consistente riduzione del numero dei fallimenti, è tuttavia altrettanto vero che dopo il 30 giugno le istanze di fallimento torneranno ad essere “procedibili”. In altri termini, è facile immaginare che il numero dei fallimenti rimarrà, nel medio-lungo periodo, invariato (incrementando addirittura il passivo fallimentare, così potenzialmente aggravando le richieste risarcitorie e le relative responsabilità).
Va infine ricordato come l’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi d’impresa sia stata posticipata al primo settembre 2021, vista l’inedita situazione emergenziale in corso e le misure derogatorie resesi necessarie.

Una opportunità a doppio taglio
L’aumento esponenziale delle situazioni di stress finanziario unito all’innalzamento degli standard di regulatory compliance, protezione dei dipendenti e controllo sugli investimenti, comporterà conseguentemente un generale aumento del rischio coperto dalle polizze D&O (e organi sociali). La possibilità per gli amministratori di continuare l’operatività aziendale, nonostante una situazione di crisi (anche di liquidità), avrà certamente un effetto benefico sotto il profilo dei sinistri, in quanto spunta una delle principali armi contro amministratori e sindaci in ambito delle azioni di responsabilità (spesso esercitate in ambito fallimentare) contro costoro. Purtuttavia, va notato come tali norme consentano di fatto alle imprese di continuare ad operare anche in una situazione di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, con possibile accrescimento delle dimensioni delle future richieste risarcitorie in caso di successiva insolvenza della società.
In aggiunta, tanto in fase di quotazione e sottoscrizione quanto di gestione dei sinistri, le compagnie dovranno tener conto che i meccanismi e le procedure previste dalle norme “sterilizzate” non costituiranno un valido parametro di riferimento. In altre parole, in fase di quotazione o rinnovo, le compagnie potranno avere di fronte imprese che continuano a operare in condizioni patrimoniali che, in un contesto ordinario, avrebbero comportato l’obbligo di scioglimento della società o che esibiscono bilanci che (pur magari in una situazione contingente) non riflettono l’effettiva mancanza di continuità aziendale.
Conseguentemente, gli assicuratori potrebbero dover rivedere le domande dei questionari assuntivi o il testo delle polizze (ad esempio clausole, termini di copertura, domande che riguardino riduzione di capitale o patrimonio netto negativo, attivo circolante, stato di scioglimento, “circostanze” e loro comunicazione, estensione “postuma”, ecc.). Senza dimenticare l’attenzione anche alla eventuale estensione cyber (e all’analisi della policy del Byod, ad esempio).

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