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Brexit, dalla guerra valutaria alle opportunità

Per quanto analisi e previsioni ci provino, è molto difficile avere un quadro affidabile di come evolveranno i mercati dopo che il Regno Unito ha salutato l’Unione Europea

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Incertezze macroeconomiche, politiche, finanziarie: è questo il lascito del referendum di giovedì scorso che ha decretato l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Più che numeri certi, percentuali in meno o in più e revisioni di confini geopolitici, nell’immediato la vittoria della Brexit ci lascia tendenze di periodo, ipotesi e soprattutto tanta isteria. Ecco quindi che si moltiplicano in queste ore analisi e scenari che cercano di guidare gli investitori e dare un’interpretazione a quello che sta accadendo e che accadrà da qui ai prossimi anni, se è vero che il processo di uscita dall’Unione del Regno Unito non sarà breve né automatico.  

Per Mercer, uno dei principali gestori di patrimoni degli investitori istituzionali, le parole d’ordine sono “no all’emotività”. L’effetto che subiranno i portafogli degli investitori istituzionali italiani, secondo Mercer, sarà dettato dall’incertezza e dalla volatilità: “sono già evidenti – fa notare Luca De Biasi, investments & retirement leader di Mercer Italia – le pressioni sui titoli obbligazionari governativi dei Paesi periferici dell’area Euro, Italia inclusa, con un marcato aumento dello spread rispetto al decennale tedesco. A ciò si accompagna un andamento decisamente negativo dei principali mercati azionari mondiali”. Il gestore invita a mantenere una prospettiva di lungo periodo nelle strategie di investimento.  

Il gruppo Pictet, che si occupa anch’esso di gestione di patrimonio, parte invece dalla considerazione che il dubbio principale che condizionava i mercati, Brexit o non Brexit, è stato risolto. Bisogna allora partire dalla nuova realtà che ci si troverà davanti: il rischio di una guerra valutaria non è un’ipotesi da scartare, visto il probabile calo del commercio internazionale con conseguenze asimmetriche. Per l’Italia, tuttavia, il danno economico sarà particolarmente basso, anche secondo il Brexit Sensitivity Index di Standard & Poor’s, nonostante Sace fissi in circa 500 milioni di euro il calo dell’export italiano verso Uk nel solo 2016.  

Insomma, forse è ancora un po’ presto per quantificare i danni della Brexit su imprese e cittadini italiani ed europei, anche considerando che da ogni rischio possono scaturire opportunità. Un suggerimento su questo tema, specialmente per il settore assicurativo, arriva direttamente da Anra, l’associazione dei risk manager italiani: “qualora si ponessero delle condizioni di facilitazione gestionale e burocratica – ha fatto notare il presidente, Alessandro De Felice – l’Ivass dovrebbe sfruttare l’occasione per adeguarsi agli standard dell’ente omologo Uk, per esempio snellendo le procedure, così da attrarre investimenti del settore e sedi di servizi assicurativi in libera prestazione”.

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