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Censis, l'Italia è una ruota quadrata

La pandemia ha sorpreso il Paese in un momento già molto difficile, esacerbandone i problemi strutturali, l'individualismo e l'egoismo. Tante le cose che non vanno e che si sommeranno all'eredità che ci sarà lasciata dall'emergenza Covid-19

Censis, l'Italia è una ruota quadrata
"Il sistema-Italia è una ruota quadrata che non gira: avanza a fatica, suddividendo ogni rotazione in quattro unità, con un disumano sforzo per ogni quarto di giro compiuto, tra pesanti tonfi e tentennamenti. Mai lo si era visto così bene come durante quest’anno eccezionale, sotto i colpi sferzanti dell’epidemia". Difficile esprimere meglio di così, con questa sintesi insieme precisa ed evocativa, la situazione italiana di questo 2020. 
Come spesso accade, a dipingere il quadro della realtà del nostro Paese (con asettica precisione da entomologo, ma anche con slanci e visioni ideali) ci pensa il Rapporto annuale del Censis che, puntuale, arriva a scandagliare con gli strumenti della sociologia, della statistica e dell'economia-politica l'anno che sta per finire. "Il nostro modello individualista - spiega l'istituto - è stato il migliore alleato del virus, unitamente ai problemi sociali di antica data", questioni che, anche nel prossimo futuro, continueranno a zavorrare l'Italia che uscirà dall'emergenza. Problemi che si stratificheranno insieme a quelli lasciati dal Covid-19, anche quando questa malattia sarà sconfitta (o almeno messa all'angolo). 

L'OTTIMISMO DEI SINGOLI NON BASTERÀ
Difficile scrivere qualcosa di più preciso e completo rispetto a ciò che non abbia già scritto il Censis, o che non sia stato detto durante le presentazione, in diretta streaming, da Massimiliano Valerii e Giorgio De Rita, direttore generale e segretario generale del Censis, e da Tiziano Treu, presidente del Cnel
"All'Italia - ha detto De Rita - non basterà più la vitalità diffusa, il furbo e cinico aggiustamento delle cose. Serve il ritorno dello Stato, ma non come calmante del Paese; serve il coraggio di mettere mano ai fondamenti strutturali e dare il senso del percorso che abbiamo davanti. Serve un sentiero di crescita continuo e sicuro. Questa crisi ha riproposto difficoltà strutturali evidenti".

Alla fine dell'emergenza, il Paese si troverà con un debito pubblico enormemente più pesante di quello già imponente che il coronavirus ha trovato, arrivando nel gennaio scorso. Occorrerà, dice il Censis, ripensare il sistema fiscale, perché iniquo e pieno di tasse occulte; bisognerà tornare a una politica industriale vera, mentre il terzo pilastro da riconsolidare sarà il territorio, sempre più diviso tra l'arretratezza del meridione e la nuova "questione settentrionale", fatta da un ricambio generazionale in affanno e dal ritorno di attività produttive che si erano delocalizzate: "serve immaginare un progetto collettivo, ma senza il coraggio della nostra classe dirigente, l’ottimismo dei singoli rischierà di cadere nel vuoto". 

DIRITTI CIVILI IN CAMBIO DI BENESSERE ECONOMICO 
L’Italia del 2020 è “spaventata, dolente, indecisa tra risentimento e speranza”, scrive l’istituto. Il 73,4% degli intervistati indica nella paura dell’ignoto, e nell’ansia che ne deriva, il sentimento prevalente in famiglia; il 77% dice di aver modificato in modo permanente almeno una dimensione fondamentale della propria vita, tra lo stato di salute, il lavoro, le relazioni, il tempo libero. Ma anche passato quest’anno funesto, le scorie della pandemia (che comunque è tutt’altro che superata), resteranno ancora a lungo nelle coscienze collettive: lo stesso concetto di libertà è messo in crisi dal virus e dalle azioni messe in campo per contenerlo.  Il 57,8% è disposto a “rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva”, mentre addirittura il 38,5% è pronto a “rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, introducendo limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione, di organizzarsi, di iscriversi a sindacati e associazioni”. Torna, come un fiume carsico che percorre da sempre l’Italia, la tentazione del pugno di ferro, dell’uomo d’ordine, della dittatura purché serva a mettere fine all’incertezza e alla paura. 

SOMMERSI E SALVATI 
Ed ecco quindi che si riaffaccia uno spettro terribile; al motto di “meglio sudditi che morti”, è proprio la pena di morte a tornare “nella sfera del praticabile”: quasi la metà de campione, il 43,7% (44,7% tra i giovani) è favorevole alla sua reintroduzione nel nostro ordinamento. Una presa di posizione chiaramente senza senso e totalmente irrazionale.   In questa polverizzazione della società, scivolata rapidamente nell’individualismo para-nichilista, si allarga la frattura tra i cosiddetti “garantiti e non garantititi”, cioè tra chi gode di protezioni sul lavoro e di redditi certi e chi all’improvviso è piombato nell’indeterminatezza.  Dai “garantiti assoluti”, quelli con datore di lavoro lo Stato, 3,2 milioni di dipendenti pubblici, ai pensionati, la cui preoccupazione principale è fornire un aiuto economico a figli e nipoti in difficoltà, “un silver welfare informale, di fatto reso possibile anche dalla certezza dei redditi pensionistici”. Poi si entra nelle cosiddette “sabbie mobili”: il settore privato, in cui il 53,7% degli occupati nelle piccole imprese vive con insicurezza il proprio posto di lavoro. 

RISVEGLIARE LA RICCHEZZA PRIVATA
Ma c’è anche chi sta peggio: un aggregato che comprende i dipendenti del settore privato a tempo determinato, tra i quali quasi 400 mila non hanno avuto il rinnovo del contratto nel secondo trimestre dell’anno. E infine “l’universo degli scomparsi”, difficile da stimare con esattezza ma che dovrebbe contare circa cinque milioni di persone: coloro che svolgono lavoretti, lavori casuali, lavoro in nero, colore che “hanno finito per inabissarsi senza rumore”, scrive lapidario il Censis. Chi può risparmia. È così che al giugno scorso nel patrimonio finanziario degli italiani, che ha raggiunto un valore complessivo di quasi 4.400 miliardi di euro, la voce contante e depositi bancari ha acquistato un ulteriore peso, passando da una quota del 32,9% nel giugno 2019 al 34,5% nel giugno 2020. Fatta eccezione per le riserve assicurative (passate dal 25,1% al 26,1%), tutte le altre voci arretrano: le obbligazioni, azioni e altre partecipazioni, quote di fondi comuni. Tutte risorse che non entrano nel ciclo produttivo, che non creano ricchezza e destinate a erodersi. 
La ricchezza privata degli italiani, da sola, rappresenta la sesta economia d’Europa. Chi la risveglierà? 

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