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Fondi pensione e DDL Concorrenza: un’occasione persa

Dopo circa un anno e mezzo di lavori parlamentari, il 3 maggio scorso il Senato ha approvato con modifiche il testo del DDL Concorrenza, il quale è tornato in seconda lettura alla Camera dei deputati (C3012-B) per la sua definitiva approvazione.
Molte (e forse troppe) sono le materie in cui il Parlamento sta intervenendo contemporaneamente e, ad essere sinceri, le “innovazioni” normative che si vorrebbero apportare non sempre convincono per chiarezza ed efficacia.
Fra i numerosi settori dell’economia interessati dalla futura riforma c’è pure la previdenza complementare, di cui si vorrebbe aumentare l’efficienza anche mediante la modifica di particolari disposizioni in tema di anticipazioni delle prestazioni pensionistiche e riscatti delle posizioni individuali maturate.
In quest’ultimo caso, ricordo come diversi anni fa si era aperto un dibattito circa la possibilità di ampliare i casi in cui gli iscritti ai fondi pensione potessero riscattare (al netto delle imposte dovute) quanto versato negli anni per la previdenza complementare. Infatti, uno dei maggiori ostacoli all’adesione a queste forme di previdenza, era (ed è) la sostanziale difficoltà (soprattutto per i lavoratori non dipendenti) di recuperare le risorse accumulate prima della maturazione dei requisiti per l’accesso alle prestazioni pensionistiche di secondo pilastro.
Secondo quanto previsto dall’art. 14, co. 2, del Testo Unico sulla previdenza complementare (D.Lgs. 257/2005) gli aderenti possono abbandonare il proprio Fondo pensione in particolari situazioni di “emergenza”. Si può infatti leggere in quella disposizione che «Ove vengano meno i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare gli statuti e i regolamenti stabiliscono»:
-    il riscatto parziale nella misura del 50% dell’intera posizione maturata, nei casi di cessazione dell’attività lavorativa, che comporti l’inoccupazione per un periodo non inferiore a 12 mesi e non superiore a 48 mesi, ovvero in caso di ricorso da parte del datore di lavoro a procedure di mobilità, cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria;
-    il riscatto totale della posizione individuale nei casi di invalidità permanente che comporti la riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo, oppure a seguito di cessazione dell’attività lavorativa, che comporti una inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi (tale facoltà non può essere esercitata nel quinquennio precedente la maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni pensionistiche complementari e dovrà applicarsi la disciplina sulle anticipazioni di cui all’art. 11, co. 4, del Testo Unico).
È evidente come queste disposizioni vadano ad avvantaggiare i lavoratori dipendenti a danno degli altri destinatari dei fondi pensione circa la possibilità di riscattare il montante maturato.
Per tali motivi lo stesso Testo Unico aveva previsto al successivo comma 5 dell’art. 14 la possibilità di riscattare la posizione anche per “cause diverse” da quelle disciplinate al comma 2, subendo però una fiscalità di minor favore.
Tutto risolto? A quanto pare no.
Infatti, secondo uno “stravagante” orientamento della COVIP (la Commissione di vigilanza sui fondi pensione), il riscatto “per cause diverse” può prevedersi «qualora vengano meno i requisiti di partecipazione al Fondo stabiliti dalle fonti che dispongono l’adesione su base collettiva» (v. schema di regolamento sui Fondi pensione aperti deliberato il 31.10.2006), il che escluderebbe automaticamente quelle forme ad adesione individuale (fondi aperti ad adesione individuale e PIP) destinate in particolare ai lavoratori non dipendenti.
Contro questa “preclusiva” interpretazione della normativa si erano espressi alcuni studiosi del mondo della previdenza. Fra questi vi era il Comitato scientifico del gruppo di studio “Itinerari previdenziali”, il quale denunciò pubblicamente il concreto pericolo di discriminazione ai danni dei lavoratori non subordinati «che, come tali potrebbero aderire unicamente ad una forma pensionistica su base individuale e riscattare solo dopo 12 o 48 mesi».
Come anticipato all’inizio, il legislatore – forse consapevole delle perplessità espresse negli ultimi anni – ha messo mano fin con la prima versione del DDL Concorrenza alla disciplina sui riscatti ed ha così proposto la modifica dell’art. 14, co. 5, del Testo Unico nei seguenti termini: «5. In caso di cessazione dei requisiti di partecipazione per cause diverse da quelle di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo, è previsto il riscatto della posizione sia nelle forme collettive sia in quelle individuali […]».
Si dirà…finalmente il legislatore ha risolto il problema! Eppure, così non è.
Infatti, la nuova disposizione ideata non potrebbe applicarsi alle forme di previdenza complementare ad adesione individuale, in cui non sarebbe di fatto possibile perdere i requisiti di partecipazione.
Che fare, quindi? La soluzione migliore sarebbe quella di correggere l’errore nella successiva votazione alla Camera dei deputati. Ma questo richiederebbe la modifica del testo approvato al Senato, su cui il Governo ha posto la questione di fiducia, chiudendo automaticamente ogni discussione sul punto.

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