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Pensioni e lavoretti

Complice la crisi di Governo nata dopo il recente esito referendario, il Parlamento ha approvato con inusuale velocità l’ultima Legge di bilancio, la quale ha finalmente dato vita a quelle “novità” in tema di lavoro e previdenza di cui si discuteva già da diversi mesi.
Fra gli interventi più rilevanti introdotti nel mondo delle pensioni, oltre alla rideterminazione della c.d. quattordicesima mensilità pensionistica, vanno sicuramente menzionati i tanto attesi APE, APE-Social e RITA. Queste tre misure verranno introdotte in via sperimentale dal 1° maggio 2017 ed  avranno lo scopo di fornire un sostegno in via anticipata a tutti coloro i quali si trovino ancora a qualche anno di distanza dal tanto agognato traguardo della pensione.
Oltre a tali interventi, meritano di essere segnalate anche quelle misure volte alla detassazione dei premi di produttività ed alle agevolazioni per il ricorso alla previdenza complementare, all’assistenza sanitaria e alla partecipazione azionaria da parte dei dipendenti. Il tutto col chiaro intento di aumentare i salari dei lavoratori, consentire risparmi fiscali alle aziende e promuovere l’integrazione sussidiaria del welfare aziendale alle forme di welfare pubblico.
Questo, quindi, il quadro complessivo nato dall’ultima Legge di bilancio.
Rimarrebbero però sullo sfondo alcune problematiche, altrettanto importanti, come quelle riguardanti certe classi di lavoratori che, in questi anni, non riescono più a versare regolarmente i contributi pensionistici.
Il pensiero corre non tanto ai nuovi lavoratori “a tempo indeterminato”, ma in particolare a quelli nati con l’affermarsi della c.d. “gig economy”, ossia l’economia dei lavoretti: quel mondo del lavoro in cui molte persone – anche con un’istruzione di tutto rispetto - cercano di sbarcare il lunario cimentandosi, ad esempio, come tassisti impropri, affittacamere o fattorini (anche per 2,7 € netti a consegna!).
Appare infatti evidente come per tali categorie di lavoratori sia particolarmente difficile versare quel minimo di contributi necessari per una pensione di base dignitosa e come risulti addirittura fuori luogo parlare di previdenza complementare o sanità integrativa.
Il mondo della politica sembrerebbe però aver ascoltato gli allarmi provenienti dal “nuovo” mondo del lavoro e negli ultimi mesi ha partorito alcune idee, fra le quali spicca il (quasi) recente progetto volto ad istituire una pensione contributiva di garanzia (più o meno negli stessi termini anticipati nel verbale di Governo e sindacati del settembre scorso). Ovvero la previsione di uno “zoccolo di base” che lo Stato dovrebbe garantire (anche mediante l’erosione delle pensioni più elevate) al fine di assicurare quel minimo sostentamento per coloro i quali non siano stati in grado di crearsi una pensione dignitosa nel corso della vita lavorativa.
Tale progetto, accompagnato da altre idee in tema di previdenza complementare, potrebbe essere una buona soluzione, anche se – a dirla tutta – non sembrerebbe poter risolvere la vera radice del problema: la crescente insicurezza nel mondo del lavoro e le basse retribuzioni.
Infatti, è ben noto come l’attuale sistema pensionistico (di base e complementare, fondato sulla contribuzione definita) non sia altro che una proiezione del mondo del lavoro e, pertanto, se quest’ultimo dovesse andar male anche il primo inizierà inevitabilmente ad arrancare perché privato della sua linfa vitale.
Allora, mi chiedo: dopo aver affrontato le problematiche più urgenti del sistema pensionistico, non sarebbe altrettanto opportuno frenare o quantomeno regolare il dilagante fenomeno della gig economy o dei lavori atipici, che (per usare un altro anglicismo) producono solo working poors? Oppure, non sarebbe mica il caso di fornire più sicurezza per i lavoratori e maggiori garanzie (più solide ed estese delle attuali) per coloro che hanno perso il proprio impiego e ne cercano uno nuovo?
Al “nuovo” Governo spetterà sicuramente una grande sfida. Chissà se saprà o potrà porvi rimedio.


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