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La responsabilità in caso di comunicazione tardiva

Discostandosi dalla precedente linea interpretativa, la Corte di Cassazione ha accettato il ricorso di una carrozzeria alla quale la compagnia non aveva riconosciuto l’indennizzo per un ritardo nella segnalazione del sinistro

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Con sentenza numero 24210 del 30 settembre scorso, la Suprema Corte era chiamata a decidere su un ricorso presentato da una carrozzeria (in qualità di cessionaria del credito derivante da un evento assicurato), la quale chiedeva la condanna della propria compagnia assicurativa alla liquidazione del danno occorso a una macchina a seguito di una grandinata.
I giudici di primo e secondo grado, nonostante avessero accertato l’operatività della polizza, negavano il diritto all’indennizzo alla luce del ritardo (di oltre due mesi) con cui la carrozzeria aveva denunciato il sinistro alla compagnia. Con ricorso in Cassazione, la carrozzeria deduceva la falsa applicazione degli articoli 1913 e 1915 del Codice civile assumendo che la tardiva comunicazione dell’evento alla compagnia assicurativa non era ascrivibile a un proprio dolo (che avrebbe dovuto dimostrare la compagnia) e che tuttalpiù l’articolo 1915, comma 2, C.C. prevedeva, in caso di colpa, la mera riduzione dell’indennizzo (e non la completa esclusione). 

La questione del dolo 
Nella propria decisione, gli Ermellini hanno preso le mosse dall’analisi del dolo richiamato dall’art. 1915, co. 1, C.C., relativo all’inadempimento doloso dell’obbligo di avviso e di salvataggio (disciplinato invece dall’art. 1913 C.C.), formulando due differenti interpretazioni dell’elemento psicologico richiamato dal summenzionato articolo: 1) dolo inteso come “inadempimento volontario”, ovvero 2) dolo inteso come “inadempimento dettato dal fine di recare un pregiudizio all’assicuratore”.
I giudici proseguivano sottolineando che, a prescindere dalla scelta interpretativa, alla luce del prevalente orientamento della Suprema Corte, l’onere della prova relativo all’animus doloso spetta comunque all’assicuratore. Inoltre, veniva ribadito che in tema di assicurazione contro i danni, l’inosservanza da parte dell’assicurato dell’obbligo di cui all’art. 1913 C.C., anche ove derogato secondo le modalità previste dalla polizza, di per sé, non può implicare la perdita della garanzia assicurativa, occorrendo a tal fine l’accertamento della natura dolosa o colposa della precitata inosservanza. Pertanto, la Suprema Corte, posto che i giudici d’appello avevano omesso di verificare la sussistenza del dolo necessario per la perdita totale dell’indennità, cassava la sentenza con rinvio al tribunale di Torino.
In particolare, venivano formulati i seguenti principi di diritto:

  • “in tema di assicurazione contro i danni, l’inosservanza, da parte dell’assicurato, dell’obbligo di dare avviso del sinistro, secondo le modalità ed i tempi previsti dall’art. 1913 C.C. ed, eventualmente, dalla polizza, non può implicare, di per sé, la perdita della garanzia assicurativa, occorrendo a tal fine accertare se detta inosservanza abbia carattere doloso o colposo, dato che, nella seconda ipotesi, il diritto all’indennità non viene meno, ma si riduce in ragione del pregiudizio sofferto e provato dall’assicuratore, ai sensi dell’art. 1915 C.C., comma 2”;
  • “l’onore di provare la natura, dolosa o colposa dell’inadempimento spetta all’assicuratore. Nel caso previsto dall’art. 1915 C.C., comma 1 dovrà provare il fine fraudolento dell’assicurato; in quello regolato dall’art. 1915, comma 2 dovrà invece dimostrare che l’assicurato volontariamente non ha adempiuto all’obbligo di dare l’avviso, nonché la misura del pregiudizio sofferto”.

Un’interpretazione innovativa 
A parere di chi scrive, la pronuncia in esame merita particolare attenzione specificatamente per il secondo dei due principi di diritto sopra riportati, che appare discostarsi dalla linea interpretativa precedente (con ricaduta negativa per le compagnie).
La Corte, in relazione al dolo richiesto dal co. 1 dell’art. 1915 C.C., si discosta dalle precedenti pronunce (Cfr. Cass. 11 marzo 2005 n. 5435; Cass. 22 giugno 2007 n. 14579; Cass. 19 febbraio 2016, n. 3264) ove, ai fini della configurabilità della fattispecie, era richiesto che l’assicuratore desse unicamente prova del volontario inadempimento dell’assicurato, con la pronuncia in esame viene richiesta, in aggiunta, la prova che detto inadempimento fosse mosso da una finalità fraudolenta.  
Parimenti, la sentenza in esame risulta innovativa altresì con riguardo all’interpretazione del co. 2 dell’art. 1915 C.C.; invero, l’onere probatorio dell’assicuratore in questo caso era relativo non tanto all’esistenza dell’inadempimento colposo dell’assicurato (in questo caso presunto), quanto all’eventuale danno che dal predetto inadempimento sarebbe scaturito per la compagnia (in questo senso si veda ancora Cass., Sez. III, 19 febbraio 2016, n. 3264). Viceversa, la pronuncia in esame offre una lettura ancor più rigorosa (e che travalica l’interpretazione letterale del secondo comma) della norma richiedendo all’assicuratore preliminarmente la prova della volontarietà dell’inadempimento dell’assicurato.
È evidente, dunque, che l’interpretazione evincibile dalla sentenza in oggetto comporta un notevole irrigidimento del regime dell’onere probatorio in capo all’assicuratore. Quest’ultimo sarà comunque, in ogni caso, tenuto a dar prova dell’inadempimento volontario dell’assicurato, mentre un’interpretazione letterale del co. 2 dell’art. 1915 C.C., imporrebbe di richiedere solo la prova della colpa dell’assicurato (oltre che del danno arrecato), ma non anche quella della volontarietà dell’inadempimento, elemento, quest’ultimo, proprio della fattispecie dolosa di cui al primo comma. 

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