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Claims made: una recente sentenza della Suprema Corte

Con la pronuncia 22891/2015, la Cassazione ribadisce che la clausola non è vessatoria se posta tra le condizioni generali di contratto, e quindi deputata a definire l’oggetto dell’accordo; mentre può esserlo quando restringe l’ambito di responsabilità di chi l’ha predisposta, apportando delle limitazioni al dettato normativo oppure ai precetti generali di contratto

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Il caso oggetto della sentenza 22891 del 2015 della Corte di Cassazione trae origine dalla richiesta di risarcimento danni di un soggetto contro la struttura ospedaliera presso cui era stato sottoposto a due interventi chirurgici consecutivi a seguito dei quali aveva contratto un’infezione.
Il tribunale di Milano aveva accolto la domanda risarcitoria condannando la compagnia assicurativa terza chiamata alla manleva della struttura ospedaliera.
Avverso la pronuncia della Corte d’appello, che aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, sia il danneggiato sia la compagnia assicurativa avevano proposto il ricorso per Cassazione. L’impresa si doleva che il giudice di secondo grado avesse disatteso il motivo riferito al fatto che il tribunale aveva ritenuto:

  1. vessatorio l’articolo 23 della polizza, laddove prevedeva che la garanzia operasse per le richieste di risarcimento presentate all’assicurato per la prima volta durante il periodo di efficacia dell’assicurazione e, conseguentemente,
  2. che la copertura assicurativa operasse, così come previsto dall’articolo 1917 del Codice civile, per tutti i sinistri verificatisi nel periodo di sua vigenza anche se le relative richieste di risarcimento fossero pervenute successivamente alla sua scadenza.

Anche ad avviso della Corte d’appello, l’articolo 23 della polizza doveva ritenersi vessatorio in quanto prevedeva un’evidente limitazione temporale della garanzia assicurativa con conseguente limitazione della responsabilità a favore della compagnia, in deroga all’articolo 1917 c.c. In base a questo articolo, l’assicuratore assume l’obbligo di tenere indenne l’assicurato di quanto questi deve pagare a un terzo in conseguenza di tutti i fatti (o sinistri) accaduti durante il tempo dell’assicurazione di cui il medesimo deve rispondere civilmente, per i quali la connessa richiesta di risarcimento del danno da parte del danneggiato sia fatta in un momento anche successivo al tempo di efficacia del contratto, e non solo nel periodo di efficacia cronologica del medesimo.

L’atipicità ribadita della clausola

Con la pronuncia 22891 del 2015 la Cassazione ha rigettato la censura della compagnia assicurativa ritenendo la decisione impugnata, seppure erroneamente motivata in diritto, tuttavia corretta nel suo dispositivo.
La Cassazione ha osservato come la Corte milanese avesse condotto un giudizio erroneo in diritto, che si poneva manifesta contraddizione con il condivisibile principio affermato dalla Suprema Corte nella sentenza 5624 del 2005 (richiamato in premessa dalla stessa Corte territoriale) secondo cui il contratto di assicurazione della responsabilità civile con clausola claims made costituisce un contratto atipico, generalmente lecito ex articolo 1322 c.c., non avendo la legge previsto l’inderogabilità del primo comma dell’articolo 1917 c.c., che stabilisce appunto i limiti temporali dell’assicurazione della responsabilità civile. Nel caso di specie, la Corte meneghina aveva motivato la vessatorietà della clausola individuata nell’articolo 23 della polizza per il solo fatto che la stessa derogasse all’articolo 1917, comma 1, c.c. Tuttavia, secondo la Cassazione, un simile ragionamento si pone in manifesta contraddizione proprio con la ritenuta liceità della clausola di claims made così come idonea a dar luogo a un contratto atipico meritevole ai sensi dell’articolo 1322 c.c.

“Richieste di risarcimento” e non “fatti dannosi”

In realtà, per procedere al controllo della vessatorietà della clausola la Corte milanese avrebbe dovuto esaminare il significato della stessa nell’economia complessiva della polizza, e quindi tenendo conto del modo in cui la clausola claims made è prevista ed eventualmente del rapporto di essa con altre clausole contrattuali.
La Cassazione ha rilevato come l’oggetto del contratto apparisse già compiutamente definito dalla combinazione fra altre clausole contenute nella polizza (nello specifico, si trattava degli articoli 1 e 22) e identificato nei “fatti dannosi” per cui la struttura ospedaliera fosse stata responsabile verso terzi in quanto si fossero verificati nel periodo di durata del contratto.
Ne consegue che l’articolo 23 della polizza, facendo riferimento a “richieste di risarcimento” e non a “fatti dannosi”, indicava come oggetto del contratto un qualcosa che si connotava come limitativo della garanzia come già fissata dalle altre disposizioni contrattuali. Ciò considerato, la Cassazione ha affermato che l’articolo 23 doveva ritenersi clausola vessatoria, così come, sebbene con erronea motivazione, aveva ritenuto la Corte territoriale.

La validità generale della claims made non c’entra

All’esito di tale ragionamento, la Cassazione ha ritenuto opportuno avvertire che la questione esaminata esula totalmente, per i termini in cui è stata risolta, da quella relativa la validità della clausola claims made come tale, rimessa alle Sezioni Unite con decreto del 27 marzo 2015 dal primo presidente aggiunto al fine di dirimere il supposto contrasto sorto fra la sentenza 5624 del 2005 e le sentenze 3622 del 2014 e 2872 del 2015.  
Nel caso in esame non veniva in rilievo un’unica clausola e la sua valutazione di validità/vessatorietà, bensì una pluralità di clausole in una situazione di contrasto fra quelle volte a definire l’oggetto del contratto (articoli 1 e 22) e la clausola claims made (articolo 23).



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