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Il danno tanatologico, riflessioni critiche

La pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 15350/2015 non pare aver posto fine al dibattito sulla risarcibilità a favore degli eredi del danno da perdita della vita quando la morte di verifichi immediatamente o dopo brevissimo lasso di tempo dalle lesioni personali. Per discutere delle molte questioni aperte, Aida ha organizzato una giornata di approfondimento e confronto sul tema

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Lo scorso 19 novembre si è tenuto, presso la sede milanese di Cattolica Assicurazioni, il convegno dal titolo “Il danno tanatologico, gli altri danni da morte e il danno non patrimoniale dopo la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 15350/2015” organizzato dalla Sezione lombarda dell’Associazione Internazionale di Diritto delle Assicurazioni (Aida).

Obiettivo dell’incontro è stato quello di porre a confronto le diverse opinioni sorte all’indomani della sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 15350 del 22 luglio 2015 che ha risolto il contrasto giurisprudenziale avente ad oggetto la questione della risarcibilità o meno agli eredi del danno da perdita della vita quando la morte della vittima sia immediata o comunque segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni derivanti da un fatto illecito.
Come è noto, le Sezioni Unite della Cassazione hanno risolto in senso negativo tale contrasto, ritenendo che allo stato non sussistano ragioni convincenti atte a giustificare il superamento del risalente e costante orientamento per il quale gli eredi della vittima non possono invocare il diritto al risarcimento di un siffatto tipo di danno.

Tra i relatori che sono intervenuti sul tema erano presenti Patrizio Gattari, magistrato presso la prima sezione Civile del Tribunale di Milano, Marco Frigessi di Rattalma, ordinario di Diritto dell’Unione Europea presso l’Università degli Studi di Brescia, Diana Cerini, associata di Diritto privato comparato presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, Patrizia Ziviz, associata di Diritto privato presso l’Università degli Studi di Trieste e Riccardo Zoja, ordinario di Medicina legale presso l’Università degli Studi Milano.

L’incontro ha richiamato una folta platea composta in prevalenza da operatori del settore assicurativo (liquidatori, sottoscrittori, broker, ecc.), oltre che da avvocati e medici legali.

L’impressione unanime dei partecipati al tavolo di discussione è stata quella che la pronuncia delle Sezioni Unite non abbia affatto posto la parola “fine” alla questione della risarcibilità “iure successionis” del danno da perdita della vita, attese le difficoltà interpretative che permangono in relazione ai concetti espressi in alcuni passaggi motivazionali della sentenza e su cui continuano ad arrovellarsi gli addetti ai lavori.     

Gattari, ragionare non sul bene reso ma sul risarcimento

Gattari ha rilevato la singolarità di una pronuncia a Sezioni Unite intervenuta dopo soltanto un precedente giurisprudenziale contrario al costante e risalente orientamento (il riferimento è alla cosiddetta sentenza “Scarano” della Cass. civ. n. 1361 del 23 gennaio 2014).

Lo stesso ha altresì osservato come la Cassazione abbia delimitato il campo d’indagine alla sola questione della risarcibilità agli eredi del danno da perdita della vita immediatamente conseguente alle lesioni, con esclusione del risarcimento dei danni derivanti dalla morte che segua dopo un apprezzabile lasso di tempo alle lesioni, così come la qualificazione di tale danno in termini di “danno biologico terminale” o di “danno catastrofale”.

All’esito dell’analisi del contenuto della sentenza della Cassazione, Gattari ha osservato come il comune sentire porterebbe a considerare errata la stessa, posto che il diritto alla vita è più importante di quello salute. Tuttavia, secondo il magistrato, l’irrisarcibilità agli eredi del danno da perdita della vita ha una sua ragione logica che risiede nella constatazione che nel caso di danno da perdita della vita non vi è un pregiudizio economico al patrimonio della vittima suscettibile di essere trasmesso agli eredi. Diversa è l’ipotesi in cui il danneggiamento abbia ad oggetto, ad esempio, un’autovettura, caso in cui vi è per certo un pregiudizio economico al patrimonio del danneggiato che viene ripristinato attraverso il risarcimento.

Seppur favorevole alla pronuncia, Gattari non ha tuttavia mancato di rilevare come risulti poco convincente l’argomento che fa leva sull’impossibilità di individuare un soggetto legittimato ad azionare il diritto risarcitorio in quanto il legittimo titolare verrebbe a mancare nel momento stesso della sua morte. Sotto questo profilo Gattari ha osservato come il problema in realtà non sussiste poiché il nostro ordinamento dà già spazio ad ipotesi in cui il diritto di un soggetto, al momento della sua morte, entra nella sfera giuridica di un altro soggetto.

A chiusura del proprio intervento, Gattari ha auspicato che la Cassazione torni nuovamente sul tema del danno tanatologico, aggiungendo come in tal caso probabilmente servirà ragionare non tanto sul bene leso, quanto sul risarcimento, perché logica vuole che il diritto al risarcimento sorga solo dopo la morte della vittima e non prima (come pretenderebbe, invece, di sostenere la sentenza Scarano che collega la risarcibilità del danno all’evento lesivo e non al danno-conseguenza).

Patrizia Ziviz ha tratteggiato le diverse posizioni degli interpreti della sentenza della Cassazione raggruppandole in quattro categorie che vanno dal plauso, per aver posto la parola fine al danno da perdita della vita, alla severa critica, per aver posto a base della decisione argomenti che non sono convincenti.

Anche per Zivis ci si aspettava un esame più approfondito delle questioni affrontate dalle Sezioni Unite, le quali non compiono nessuno sforzo di analisi rispetto all’argomentazione centrale della sentenza Scarano, vale a dire l’affermazione, in via di eccezione, della risarcibilità del danno-evento.

Il confronto con l’Europa

Dal un punto di vista del diritto privato comparato, Diana Cerini ha sottolineato come tutti i Paesi europei vorrebbero armonizzare le legislazioni in materia di danno alla persona, ma che le differenze sono ancora molte, anche se le difficoltà sono comuni ed individuabili nella terminologia, nella individuazione delle poste risarcitorie, nella moltiplicazione delle voci di danno. Cerini ha rilevato come all’estero i risarcimenti per danni non patrimoniali in caso di morte siano sempre più bassi che rispetto all’Italia o addirittura assenti (anche se per ovviare ciò in molti di questi Stati ricorrono forme assistenziali che sopperiscono tale mancanza). In Europa, inoltre, vi sono numerosi Stati che prevendono danni punitivi per il caso di morte.

Frigessi di Rattalma ha trattato il tema del risarcimento del danno tanatologico alla luce del diritto dell’Unione Europea, rilevando come il diritto comunitario non si interessi della questione. Ed infatti, in realtà, il diritto dell’Unione Europea rimette alla totale discrezionalità degli Stati membri la disciplina sostanziale della materia della responsabilità civile. E’ per questo che, ad oggi, si contano 28 sistemi diversi con la loro rispettiva normativa. Anche in tema di Rc auto non vi è pertanto un modello unico: ciò che, invece, il legislatore europeo ha espressamente previsto già a partire dagli anni ’70 (con la direttiva 72/166/CEE del Consiglio, del 24 aprile 1972) è l’obbligatorietà dell’assicurazione Rc Auto.

Frigessi di Rattalma ha, ad ogni modo, osservato come il rinvio da parte del legislatore europeo agli Stati membri della disciplina della responsabilità civile non sia incondizionato, ma soggiaccia ad alcuni principi ricavabili nella sentenza della Corte di Giustizia del 23 gennaio 2014 (Causa C-371/12, nota come “Sentenza Petillo”, la quale ha stabilito che il diritto comunitario non osta a una legislazione nazionale, come l’art. 139 del Codice delle assicurazioni private, che stabilisce criteri per la quantificazione del risarcimento dovuto dall’assicurazione per i danni non patrimoniali subiti dalle vittime di incidenti automobilistici). Detti principi di matrice comunitaria possono così individuarsi: (i) gli Stati membri non possono escludere tout court il diritto al risarcimento del danno e (ii) l’entità del risarcimento non può essere limitata in maniera sproporzionata (congruità del risarcimento).

Gli argomenti posti a fondamento della sentenza 15350/2015 possono, con uno sforzo di estrema sintesi, così sintetizzarsi:

  • il danno da morte non lede il bene giuridico “salute”, ma il diverso bene “vita” che “è fruibile solo in natura da parte del titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente”: l’irrisarcibilità deriva dalla assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica il pregiudizio e quindi sorge il credito risarcitorio, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito;
  • non è accoglibile la tesi che ritiene contrastante con la coscienza sociale negare un credito risarcitorio della vittima, trasmissibile agli eredi, per la perdita della vita, seguita immediamente o a brevissima distanza di tempo dalle lesioni. La coscienza sociale, infatti, non è criterio legittimo per orientare l’attività dell’interprete nel diritto positivo;
  • non convince l’argomento che sostiene sarebbe contradditorio concedere onerosi risarcimenti dei danni derivanti da lesioni gravissime e negarli del tutto nel caso di illecita privazione della vita in quanto ciò costituirebbe violazione del principio dell’integralità del risarcimento. L’argomento “è più conveniente uccidere che ferire” è solo suggestivo;
  • non è corretto affermare, come fatto dalla sentenza Scarano n. 1361/2014, che eccezionalmente sarebbe risarcibile il danno evento (evento lesivo) perché si tratterebbe di eccezione di portata così ampia da vulnerare il principio;
  • non si può far leva sul rilievo che l’evento stesso, salvo poche eccezioni, precede sempre cronologicamente la morte cerebrale, così da far sorgere in capo alla vittima una specie di danno morale terminale relativo alla sofferenza derivante dalla lucida attesa della morte: tale assunto rischia di far confluire il bene giuridico “salute” in quello “vita” quando, diversamente, vanno tenuti ben distinti.


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