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I primi, incerti, passi della medicina legale

Negli Anni Ottanta il riconoscimento legale del “danno alla salute” determinò una svolta nella medicina legale, non priva di qualche inciampo: ecco alcuni aneddoti tratti dai ricordi dell’avvocato Gennaro Giannini

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Ci è piaciuto in questi giorni riprendere in mano il libretto scritto dal “maestro”, avvocato Gennaro Giannini, nel lontano 1997 (i più attenti ricorderanno che ogni tanto in questa rubrica ne abbiamo ospitato alcuni stralci): una raccolta di ricordi degli albori della professione di chi poi ha lasciato nella disciplina giuridica del danno alla persona segni, anzi solchi, ancora oggi di rilievo assoluto.

Il capitolo IV era dedicato al medico legale, definito “consulente indispensabile tanto per l’avvocato quanto per il magistrato nei casi di danno alla persona, poiché questo collaboratore tecnico valuta il danno e fornisce all’avvocato e al magistrato i dati necessari per la liquidazione”.

Erano gli anni ottanta, quelli degli albori del danno biologico, con la scoperta del “danno alla salute” da parte della Corte Costituzionale e la rilevanza sempre maggiore del ruolo del medico legale che, appunto, doveva agevolare la liquidazione del danno con l’indicazione della percentuale di limitazione funzionale subita dalla vittima di un illecito.

Di qui la necessità di approfondire i temi giuridici ma anche medico legali e queste le parole di Giannini per ricordare la nascita del gruppo di studio ancora oggi attivo e noto come Medicina e Diritto: “A Milano costituimmo un gruppo di studio composto da medici legali, come Walter Brondolo, Antonio Farneti e Franco Mangili, cattedratici di vaglia dell’Istituto di Medicina Legale della Statale; da magistrati come Umberto Loi ed Ersilio Secchi; da avvocati come il sottoscritto e il collega Mario Pogliani, altro ‘parafanghista’ di razza, acuto studioso dei problemi della responsabilità civile; e da Giovanni Toscano, assicuratore colto e sensibile”.

Anche qui numerosi sono i ricordi e gli aneddoti comici sui medici legali: “riguardo ai comportamenti bizzarri di medici che, come apprendisti stregoni, si improvvisavano medici legali senza averne la preparazione, esiste una antologia di horribilia, dalla quale traggo qualche esempio:
Il paziente presenta “polpaccialgia” agli arti inferiori; riferì un altro di avere riscontrato “manite” alle mani (prurito? voglia di fare a botte?); un altro ancora attestò che il periziando aveva subito “botta acuta” (chissà com’era la botta ottusa)”.
Erano i primi anni di rilevanza giudiziaria della professione del medico legale, ove l’assenza di uno specifico albo dei consulenti presso il tribunale induceva molti ad improvvisarsi esperti: “quando non contenevano nefandezze da festival dell’umorismo, le relazioni peritali del periodo selvaggio erano uniformemente squallide, anche perché erano probabilmente fatte con lo stampino”.

Ed ancora – tra gli aneddoti più curiosi – “qualche volta si leggeva anche che il ‘periziando’ (il quale, stranamente, rimaneva tale anche a operazioni peritali concluse, e quindi quando non era più periziando, ma ‘periziato’) non presentava nulla di anormale, neppure nella posizione ‘orante’; espressione che faceva immaginare il danneggiato che implorava «dottò fagli caccià i soldi, ma tanti!»”.

L’umorismo serve anche per affrontare seriamente i problemi, come quello dell’inadeguatezza scientifica dei consulenti preparati ed adeguati al compito loro assegnato dal giudice.
Un problema anche oggi (sempre meno, invero), ma visto con la lente dell’ironia e del bonario piacere, che ci avvolge sempre leggendo il Giannini e il ricordo del lontano passato.



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