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Rc auto, applicazione del bonus e scatola nera: dopo il Consiglio di Stato, l'incertezza rimane

Dopo il ricorso di Ania e delle imprese di assicurazione, potrebbe essere utile un nuovo intervento legislativo. Il punto in questo ampio approfondimento curato da Maurizio Hazan e Alessandro Bugli

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La severa preoccupazione espressa dal mercato a seguito della presa di posizione assunta dall'Isvap nella propria lettera circolare del 19 aprile 2012 è sfociata, come noto, nella proposizione di un ricorso amministrativo presentato in via congiunta dall'Ania e dalla sostanziale totalità delle imprese operanti nel settore della rc auto. 

In quel ricorso, corredato da un'istanza di previa sospensione cautelare, si chiedeva al Tar del Lazio di voler annullare/disapplicare la citata lettera circolare e le successive note diramate dall'Istituto, alla prima correlate e tese a riaffermarne e rafforzarne i contenuti. Tali comunicazioni avrebbero, invero, rivestito natura provvedimentale, costituendo fonte di immediato pregiudizio per le imprese ed imponendo loro obblighi di condotta del tutto esorbitanti rispetto alle norme primarie di riferimento (il decreto liberalizzazioni, nella parte in cui riforma la disciplina del bonus/malus ed introduce una specifica disciplina in caso di offerta di un prodotto abbinato alla scatola nera).

In special modo si è ritenuta del tutto inaccettabile l'interpretazione sostenuta dall'Isvap in relazione alla riforma dell'art. 133 del cap (così come introdotta dall'art. 34 bis del decreto n. 1/2012), intesa dall'Istituto non come mera regola di trasparenza - volta ad orientare l'utenza in fase di acquisto ed a rendere nota, sin dalla stipula del contratto, la percentuale di sconto che verrebbe applicata nell'annualità successiva in assenza di sinistri - bensì come disposizione prevalentemente mirata all'effettiva riduzione dei premi a favore degli automobilisti virtuosi. Così, secondo Isvap, l'art. 133 del cap imporrebbe oggi alle imprese di calcolare lo sconto (il bonus) sul premio inizialmente pagato dall'assicurato, consentendo a quest'ultimo di versare un importo inferiore rispetto a quello corrisposto per l'anno precedente e così conseguire un sicuro risparmio di prezzo, non assorbibile da altri eventuali aumenti tariffari, quand'anche giustificati dal fabbisogno d'esercizio. Peraltro, il recupero di tale fabbisogno tariffario potrebbe avvenire, sempre secondo l'Istituto, ad anni alterni, permettendo alle imprese di adeguare la tariffa ogni biennio, ferma restando la possibilità per l'assicurato (preventivamente avvisato dell'aumento) di migrare altrove.
Quanto alla scatola nera, Isvap ha ritenuto che la nuova versione dell'art 132 del cap abbia di fatto imposto alle imprese, in ossequio (devesi ritenere) all'obbligo a contrarre, di presentare al mercato soluzioni assicurative corredate dalla black box o da altri dispositivi equivalenti, consentendo così a qualsiasi utente ne faccia richiesta di ottenerne l'installazione e la concessione del relativo sconto di premio. La contraria tesi della facoltatività, secondo l'Istituto, priverebbe (chissà perchè..) le disposizioni di concreti effetti, quasi a dire che la necessità di accordare lo sconto non rivesta, di per sé, alcuna rilevanza.

Fabbisogno tariffario e gestione dell'impresa assicurativa

E' soprattutto la prima opzione interpretativa ad aver suscitato preoccupazioni, polemiche e critiche: si è infatti sostenuto che una disciplina del bonus tale da escludere la possibilità per le imprese di fissare, anno per anno, le tariffe di base sulle quali applicarlo, violasse gli stessi principi di sana e prudente gestione dell'impresa assicurativa, la cui valutazione del premio applicabile dovrebbe invece essere effettuata, nello stesso interesse della mutualità - e tanto più nell'attuale regime assicurativo obbligatorio - tenendo conto del fabbisogno tariffario esistente al momento dell'assunzione del rischio. Ma, ancor di più, poteva ritenersi che una tale imposizione finisse per vulnerare, oltre al principio di libertà tariffaria espresso in sede comunitaria, lo stesso diritto, costituzionalmente garantito, di libera iniziativa economica e di parità di trattamento.

Detto in più semplici termini, l'opzione interpretativa propugnata dall'Isvap avrebbe l'effetto di ingessare" le tariffe ad anni alterni, con la perversa conseguenza di imporre alle imprese di mantener fermo, in sede di rinnovo ed ai fini dell'applicazione del bonus, un premio che era stato calcolato su di un orizzonte temporale annuale, e perciò strettamente limitato. Il tutto con la poco commendevole conseguenza di cercare altrove il recupero del fabbisogno tariffario, sperequando ed aggravando, in ottica di mutualità assicurativa, la posizione degli assicurati sinistrosi e di quelli che decidano di cambiare compagnia (perdendo il bonus) al termine dell'annualità di polizza (con effetti sciagurati sulla tanto auspicata mobilità del mercato di riferimento).

D'altra parte è apparso subito chiaro come l'impostazione seguita da Isvap non incontrasse alcun appiglio letterale nelle norme che l'Istituto ha, invece, preteso di interpretare: in particolar modo il recupero ad anni alterni del fabbisogno tariffario pareva costituire un'autentica "trovata", forse dettata dall'esigenza di evitare un'interpretazione ancor più oltranzista (a scapito delle imprese) della nuova disposizione di legge, ma in ogni caso in nessun modo autorizzata dal testo normativo.
Non vi è dubbio che tali critiche cogliessero nel segno, rendendo - a nostro parere - improponibile la soluzione predicata dall'Istituto.
Di qui, come detto, la decisione di proporre immediata impugnativa verso la lettera al mercato del 19 aprile (ed alle note successive), sostenendone la natura sostanzialmente provvedimentale e, comunque, allegando l'attualità del pregiudizio recato alle imprese dall'"invito", difficilmente declinabile, a conformarsi a quelli indicazioni; il tutto nell'auspicio di scongiurare il rischio di immediata applicazione di sanzioni da parte dell'Isvap e di ottenere subito, in sede amministrativa, i necessari chiarimenti in ordine alla corretta interpretazione della nuova formula dell'art. 133.

La decisione del Consiglio di Stato

Sennonché, lungi dall'assecondare le istanze delle imprese, il Tar del Lazio, nel respingere l'istanza di sospensione cautelare, ha, con la propria ordinanza n. 02404/2012, del tutto sorprendentemente ritenuto di poter già prendere una posizione di merito, sostenendo che «la nota gravata si pone in perfetta aderenza letterale con il dato normativo presupposto». Affermazione, tale ultima, tanto tranciante quanto pericolosa, oltre che palesemente ingiustificata.
Inevitabile l'impugnativa di tale decisione davanti al Consiglio di Stato, il quale, assai più prudentemente, ha riportato la vicenda entro binari forse più corretti; più precisamente, il Giudice del gravame ha chiarito che le note sottoposte al vaglio della giustizia amministrativa non hanno alcun valore provvedimentale, integrando mere indicazioni interpretative, insuscettibili, di per loro, di recar vincolo (e danno immediato) per le imprese e, ancor prima, di essere oggetto di autonoma impugnazione. 

Di più, "bacchettando" indirettamente il Tar, per la niente affatto necessitata scelta di entrare tanto perentoriamente quanto sbrigativamente nel merito di una questione che neppure avrebbe dovuto essere trattata (data la pregiudiziale non impugnabilità delle note oggetto di gravame), il Consiglio di Stato lascia aperta ogni possibile soluzione, ricordando la perdurante possibilità per le imprese di ricorrere nuovamente in via amministrativa laddove l'interpretazione dell'Isvap, che oggi si pretende erronea, dia luogo in futuro a veri e propri provvedimenti vincolanti per il mercato.

Conclusioni non convincenti

Alla luce di tale decisione più di una voce ha inteso rassicurare il mercato affermando:
-da un lato, che la natura non provvedimentale delle note escluderebbe la possibilità, per l'Istituto, di comminare sin d'ora sanzioni fondate sulla loro disapplicazione;
-dall'altro, che il Consiglio di Stato avrebbe trasversalmente sostenuto l'illegittimità dell'interpretazione propugnata dall'Isvap (evocandone, sia pur indirettamente, l'erroneità).

Nessuna di tali conclusioni ci convincono. Allo stato, infatti, la posizione assunta dal Giudice Amministrativo si risolve in un nulla di fatto, essendosi limitata a dichiarare la non assoggettabilità a gravame di indicazioni interpretative certamente autorevoli ma, di per loro, non vincolanti. Ed è assai improbabile che il Tar, chiamato a decidere il merito (prossima udienza: 7 novembre 2012) disattenda le indicazioni del Consiglio di Stato. E' ragionevole dunque attendersi che - al di là di eventuali vagli della disposizione primaria in sede comunitaria - l'esito del ricorso, si sostanzi in un rigetto fondato sulla non impugnabilità delle note, senza tornare sulla questione afferente alla fondatezza o meno dell'interpretazione fornita dall'Isvap (in relazione alla quale, del resto, stupirebbe un espresso revirement del Tar del Lazio rispetto alla incauta presa di posizione già assunta in sede di sospensiva).

Il rischio di sanzioni per le compagnie

La partita è, dunque, del tutto aperta, ben potendo, sin da oggi, Isvap - anche facendo leva sulla prima ordinanza del Tar - irrogare sanzioni sulla pretesa violazione dell'art. 133 del Cap, senza dover dar corso ad altri provvedimenti vincolanti (ma semplicemente ritenendo che quella norma, di per sé, imponga alle imprese di praticare uno sconto di premio effettivo, computato sul premio dell'annualità precedente e non assorbibile da successivi aumenti tariffari).
Non solo, l'Istituto, nell'ambito di un confronto istituzionale ora più aspro che mai, potrebbe addirittura sconfessare la propria iniziale opzione ermeneutica (tesa ad affermare il possibile recupero ad anni alterni del fabbisogno tariffario ma certamente non fondata sulla norma di riferimento), e proporre una soluzione ancor più oltranzista ma, probabilmente, maggiormente aderente al dettato letterale e tale da non consentire alcun recupero di fabbisogno, nemmeno ad anni alterni. Ed invero una volta intesa la norma come rigorosamente finalizzata a rendere effettivo e certo il risparmio di premio (rispetto a quello corrisposto nella precedente annualità), tale possibilità di assorbirlo attraverso aumenti tariffari "biennali" sembra una scelta di tipo compromissorio e di ordine politico, niente affatto legittimata dal testo di legge.

E' bene, del resto, ricordare come le imprese risultino già ora esposte al rischio di sanzione avendo, più o meno concordemente, segnalato all'Isvap, contestualmente alla propria decisione di ricorrere in via amministrativa, la volontà di non ossequiare l'interpretazione dell'Istituto e di considerare il nuovo art. 133 come mera regola di trasparenza, tale da non impattare in alcun modo sulle modalità ed i criteri di calcolo delle tariffe, anno per anno.
Complesso, peraltro, risulta il tema correlato alle modalità di irrogazione delle sanzioni che Isvap potrebbe tentare di applicare già oggi al caso di specie. Ciò in ragione, ancora una volta, della scarsa attenzione con cui il legislatore ha "composto" il nuovo articolo 133 del cap, prevedendo una sanzione ad hoc non facilmente coordinabile con quella già prevista, con riferimento alla medesima disposizione, dall'art. 317. Sembrerebbe, infatti, potersi ipotizzare che la nuova sanzione (sensibilmente accresciuta rispetto a quella precedentemente stabilita e riferita, devesi ritenere, a ciascuna violazione contrattuale) fosse circoscritta, nel decreto liberalizzazioni, all'ipotesi di violazione degli obblighi di preventiva comunicazione e di corretta applicazione dello sconto. 

Si badi, peraltro, come il consolidamento del testo abbia, più generalmente, riferito quella misura sanzionatoria a tutte le violazioni dell'intero primo comma, e cioè ad ipotesi già coperte dal menzionato art. 317. Non crediamo che tale evidente discrasia possa comportare una duplicazione di comminatoria, ancorché la violazione riguardi tanto l'obbligo di informativa quanto le modalità di concreta applicazione della formula tariffaria (entrambe a nostro parere coperte dalla nuova sanzione indicata nel corpo dell'art. 133). Certo, mentre l'infrazione della regola di trasparenza è già oggi accertabile, l'eventuale scorretta applicazione del bonus dovrebbe poter essere verificata soltanto in occasione dei prossimi rinnovi (successivi al 25 marzo). Rimane da chiedersi se, a fronte dei dubbi ermeneutici che hanno condotto alla deliberata decisione delle imprese di non conformarsi alle indicazioni dell'Istituto, sia - come riteniamo - possibile applicare al caso di specie, il "ravvedimento operoso" di cui all'art. 327 del cap in caso di violazioni seriali causate da vere e proprie disfunzioni organizzative.
Ciò a livello teorico. Sul piano pratico possono invece immaginarsi scenari del tutto diversi.

L'insostenibilità della posizione dell'Isvap

Ci sia, infatti, consentito di ritenere del tutto inopportuno che, pur nell'attuale contesto relazionale con Ania, Isvap perseveri nei propri intenti, radicalizzando la propria posizione ed irrogando sanzioni che sarebbero certamente oggetto di nuova impugnativa.

Tanto più a fronte dell'indiscutibile pregnanza degli argomenti sin qui sostenuti per censurare l'opzione ermeneutica prescelta dall'Istituto; opzione che, presentata come l'"unica possibile" per dar concreto significato alle disposizioni primarie, non pare affatto rivelarsi tale, potendosi, al contrario, perorare anche argomenti diversi ed ulteriori rispetto a quelli sino ad oggi spesi in sede contenziosa. Ed infatti, per quanto la deprecabile mancanza di chiarezza della nuova norma abbia condotto ad esiti tanto sconfortanti da consentire ad entrambe le parti in contesa di sostenere, ciascuna dal proprio di vista, l'autoevidenza del testo e l'assoluta linearità della sua impostazione, ci pare che la pretesa dell'Istituto di incentrare la propria ricostruzione sul significato dell'avverbio "automaticamente" (da intendersi come diminuzione "secca", del premio per l'annualità in corso, non altrimenti assorbibile) rischi di provare troppo.

In primo luogo può dubitarsi se l'art. 133 del cap, nel suo impianto di partenza, intendesse davvero correlare il meccanismo del bonus/malus al premio precedente (e quindi già in vigore per l'esercizio in corso) o se, invece, nel riferirsi alla "variazione in aumento od in diminuzione del premio applicato all'atto della stipulazione o del rinnovo" ammettesse di poterlo applicare sul premio futuro, così come ricalcolato in funzione delle ordinarie regole dell'evoluzione tariffaria. Accedendo a tale seconda soluzione il problema, all'evidenza, sarebbe risolto in radice.

Sul punto merita di essere ricordato come prima della riforma codicistica, l'art. 12 della legge 990/69 parlasse più semplicemente di "premio applicato all'atto della stipulazione", senza alcun accenno al premio applicabile in sede di rinnovo. Ora, l'impostazione seguita dal Codice (in uno con la formalizzazione della possibilità, per le imprese, di proporre formule tariffarie "miste") parrebbe aver accordato al lemma "rinnovo" (che è pur sempre una stipulazione.) un significato effettivo, e tale da utilmente distinguerlo da quello di "stipula iniziale". Al riguardo avrebbe potuto dunque, già allora, ipotizzarsi che l'art. 133 del cap avesse consentito alle imprese di liberamente, ed alternativamente, optare tra scegliere se calcolare il bonus sul premio convenuto ab origine ovvero su quello in concreto applicabile in sede di rinnovo.

Tale tesi risulta sostenibile sul piano letterale ed avrebbe il pregio di rivitalizzare il gioco concorrenziale tra le imprese; ma non solo, giustificherebbe il fatto che, nei sei anni intercorsi dall'entrata in vigore del Codice, l'Istituto non si sia mai curato di censurare l'operato di quelle imprese che - sempre e sistematicamente - hanno applicato il bonus sul premio praticabile in sede di rinnovo (sulla base dell'ordinaria evoluzione tariffaria).
Del resto, a ben vedere, la stessa stravagante soluzione oggi propugnata dall'Isvap ammette, sia pure ad anni alterni, una differenziazione del parametro di riferimento ai fini dell'applicazione del bonus. 

Seguendo una diversa - e forse più elementare - linea interpretativa si potrebbe affermare che il riferimento al rinnovo sia più semplicemente mirato a chiarire la necessità di guardare sempre all'ultimo premio in concreto praticato (sia esso di prima stipula o di successivo rinnovo). Così ragionando dovremmo dire che anche prima del decreto liberalizzazioni l'art. 133 riferisse sempre lo sconto di premio (in assenza di sinistri) alla tariffa in corso nell'annualità precedente rispetto a quella beneficiata dal bonus. Ed in questo senso, del resto, andrebbe letto il contenuto dell'allegato 1 al regolamento Isvap n. 4, in cui si prevede la necessità di indicare apertamente lo sconto (o l'aggravio) di premio praticato rispetto al premio inizialmente corrisposto. 

Ma anche accedendo a tale tesi nulla autorizzava a sostenere che le imprese, una volta applicato lo sconto sul premio dell'annualità precedente, non fossero comunque libere di adeguare il premio "finito" al fabbisogno e ad altre variabili di tariffa. In tal senso depone, oltre al menzionato allegato 1, lo stesso art. 172 del cap, che contemplano -entrambi - pacificamente la possibilità di far coesistere il riconoscimento del bonus con l'applicazione di altre eventuali variazioni tariffarie. Può dunque concludersi che quale che fosse la corretta interpretazione dell'art. 133, l'eventuale assorbimento del vantaggio di bonus con il nuovo fabbisogno ed altri aumenti era considerato, nel sistema"ante riforma", del tutto lecito e praticabile.

Interpretazioni e chiavi di lettura contrapposte

Occorre allora fare un passo avanti e verificare se la "postilla" introdotta dal decreto liberalizzazioni rivesta davvero, o no, nella sua minimalistica impostazione strutturale, contenuti sostanziali tanto marcati da andare oltre a mere esigenze di trasparenza ed imporre una regola del tutto nuova: quella della necessaria sterilizzazione di qualsiasi elemento di variazione tariffaria che incida negativamente sul bonus. Orbene, nell'incertezza del dettato normativo possono individuarsi chiavi di lettura tra loro contrapposte, in quanto tali utili ad affermare ovvero a negare la bontà di entrambe le tesi.

Quel che pare, peraltro, indubitabile è che la risposta possa esser data in termini o integralmente positivi o totalmente negativi, ma mai compromissori ed intermedi, come invece ha inteso sostenere Isvap propugnando la tesi del recupero biennale del fabbisogno tariffario.
A favore dell'argomento positivo, volto ad affermare la necessità di un'applicazione secca del bonus al premio precedentemente praticato possono deporre i seguenti elementi letterali:

a) il riferimento alle "migliori condizioni" che dovrebbero essere "fatte salve", consentendo all'assicurato di conseguire, se del caso, vantaggi superiori a quelli derivanti dall'applicazione del bonus, potrebbe permettere di argomentare a contrario, e sostenere la non applicabilità delle altre condizioni di contratto o di tariffa che finissero per assorbire o comunque vulnerare, in concreto, il bonus medesimo;
b) il riferimento all' "automatica" applicazione del bonus, intendendosi per tale un suo pieno riconoscimento nella misura precedentemente indicata, in forza di automatismi che non consentirebbero interferenze peggiorative.

Di segno, ovviamente, contrario le chiavi di lettura che sosterrebbero la tesi opposta (volta a mantener intatta la possibilità, precedentemente riconosciuta alle imprese, di far coesistere i meccanismi b/m con le altre variabili di tariffa):

a) da un punto di vista sistematico, va osservato che la disposizione primaria di riferimento non ha, come invece pretenderebbe Isvap, la finalità prioritaria di condurre ad una diminuzione generale dei premi, dovendosi invece ritenere mirata al rispetto del fondamentale principio della compartecipazione dell'assicurato al rischio dedotto in contratto; compartecipazione resa possibile vuoi attraverso la previsione di una variazione del premio in funzione della sinistrosità, vuoi mediante l'introduzione di apposite franchigie (od eventuali formule "miste"). Ed in quest'ottica, il fatto che il vantaggio (od il peggioramento) si applichi sul premio inizialmente stabilito o su quello aggiornato "di rinnovo" non pare particolarmente rilevante (purché il vantaggio sia effettivo e non mistificato);

b) lo stesso riferimento alle "migliori condizioni", poc'anzi speso a sostegno della tesi contraria, potrebbe esser, forse più debolmente, piegato a diversi fini, consentendo di sostenere che secondo il legislatore la nuova norma postuli e presupponga una del tutto fisiologica coesistenza dei meccanismi di bonus con le rimanenti variabili di contratto e di tariffa.

La necessità di un nuovo intervento legislativo

Si tratta ora di trarre qualche conclusione, fuoriuscendo dalle logiche di un pericoloso compiacimento eristico.
Ebbene, a nostro parere, sembrerebbe avventato pretendere di modificare i precedenti assetti - già sostenuti dalla normativa di rango primario e pacificamente votati a consentire la coesistenza del bonus con le altre ordinarie variabili di tariffa - attraverso il didascalico e scheletrico contenuto dell'art. 34 bis del decreto liberalizzazioni. Così, la sterilizzazione della possibilità, per le imprese, di operare sulle proprie tariffe secondo i più consolidati principi della buona tecnica assicurativa avrebbe dovuto, ci pare, essere affermata (qualora ammissibile..) mediante un intervento legislativo di ben più ampio respiro; non certamente per il tramite di una lettura trasversale di una disposizione che, almeno a prima vista, si presenta come norma di trasparenza, sostanzialmente diretta a consentire all'utenza di conoscere in anticipo gli sconti di cui potrebbe in futuro fruire, orientando meglio le proprie scelte di consumo. Nel complesso, dunque, nessuno degli elementi letterali portati a sostegno della tesi "abrogatrice" pare dotato di eloquenza sufficiente a scardinare la precedente impostazione di sistema. 

E nel dubbio, comunque esistente, circa la corretta interpretazione della nuova disposizione, l'operatore del diritto dovrebbe preferibilmente muoversi verso una lettura salvifica ed orientata al rispetto dei principi cardinali di diritto comunitario e costituzionale. Primo tra tutti, il più volte richiamato principio di libertà tariffaria, la cui violazione (in relazione agli artt. 6, 29 e 39 della direttiva 92/49/CE) era stata già affermata, evidenziando un indebito "congelamento" delle tariffe, dalla Corte Giustizia (controversia C-59/01) con riferimento all'art. 2 del D.L. 70/2000; norma il cui disposto richiama da molto vicino l'interpretazione rigoristica che oggi Isvap pretenderebbe di poter seguire (sia pur nella sua fantasiosa modulazione).

Può, dunque, auspicarsi che strada facendo l'Autorità - ora confluita in Ivarp - abbandoni, res melius perpensa, la rigidità sin qui a più riprese manifestata, orientandosi piuttosto ad intervenire nelle competenti sedi (come già da tempo preannunziato) al fine di promuovere una effettiva, completa, armonica e davvero sostanziale riforma del sistema bonus/malus (ferma restando la possibilità, per le imprese, di cominciare a considerare, meglio che in passato, la possibilità di ricorrere alle formule tariffarie alternative già previste dall'art. 133).

Scatola nera, manca il regolamento attuativo

Meno urgente - pur nella sua rilevanza - pare invece la questione afferente al preteso obbligo di presentazione di prodotti abbinati alla scatola nera: in assenza del relativo regolamento attuativo (che potrà certamente essere oggetto - se del caso - di autonoma impugnazione), le imprese non paiono neppure in condizione di dare concreta attuazione alla norma né di proporre (obbligatoriamente o, meglio, facoltativamente..) all'utenza soluzioni contrattuali aderenti ad assetti regolamentari che non risultano a tutt'oggi nemmeno abbozzati.

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