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Il danno ambientale e le recenti modifiche legislative. Seconda Parte

In materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente la parte Sesta del Codice dell’Ambiente ha di recente subito importanti modifiche. Definiti gli ambiti di applicazione della disciplina, i princípi e i criteri riguardanti la riparazione del danno e della relativa valutazione monetaria

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Il risarcimento del danno ambientale deve comprendere sia il pregiudizio prettamente patrimoniale arrecato a beni pubblici o privati, sia quello (avente anche funzione sanzionatoria) non patrimoniale rappresentato dal vulnus all'ambiente in sé e per sé considerato, costituente bene di natura pubblicistica, unitario e immateriale. Ne consegue che la condanna del responsabile sia al ripristino dello stato dei luoghi, sia al pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento non costituisce una duplicazione risarcitoria, allorché la prima condanna sia vòlta a elidere il pregiudizio patrimoniale e la seconda quello non patrimoniale (Cass. 17.4.2008 n. 10118).
Nella prova del suddetto danno, in ogni caso, bisogna distinguere tra danno ai singoli beni di proprietà pubblica o privata, o a posizioni soggettive individuali, che trovano tutela nelle regole ordinarie, e danno all'ambiente considerato in senso unitario, in cui il profilo sanzionatorio, nei confronti del fatto lesivo del bene ambientale, comporta un accertamento che non è quello del mero pregiudizio patrimoniale, bensì della compromissione dell'ambiente, vale a dire della lesione in sé del bene ambientale, la cui sussistenza è valutabile solo attraverso accertamenti, eseguiti da qualificati organismi pubblici, in presenza dei quali non può fondatamente rigettarsi la richiesta del danneggiato di consulenza tecnica di ufficio, non sussistendo in ottemperanza di questi all'onere della prova ed essendo la consulenza finalizzata alla verifica di fatti essenziali per la decisione, rispetto ai quali essa si presenta come strumento tecnicamente più funzionale ed efficace d'indagine (vedi sempre Cass. 17.4.2008 n. 10118 e Cass. 01.09.1995, n. 9211, in Corriere giur, 1995, 1146).

I principi generali nell'art. 298 bis
In materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente, tuttavia, la parte sesta del Codice dell'Ambiente (normativa che ha recepito in Italia nel 2006 la direttiva e i criteri in materia di responsabilità ambientale e quantificazione del danno dettati dalla direttiva europea 2004/35/CE) ha di recente subìto importanti modifiche.
Con la c.d. legge Comunitaria 2013 (legge 06.08.2013 n. 97, pubblicata sulla gazzetta ufficiale 20.08.2013 n. 194), all'art. 25, il Legislatore ha innanzitutto introdotto l'art. 298 bis che detta i princÍpi generali in materia, affermando che la disciplina dettata dalla parte sesta del Codice dell'Ambiente si applica: a) al danno ambientale causato da una delle attività professionali elencate nell'allegato 5 alla stessa parte sesta (ndr: ad esempio gestione e smaltimento dei rifiuti, scarichi di sostanze nelle acque sotterranee, estrazione e arginazione di acque, fabbricazione, uso, stoccaggio di sostanze pericolose, ecc.) e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno derivante dalle suddette attività; b) al danno ambientale causato da un'attività diversa da quelle elencate nell'allegato 5 alla stessa parte sesta e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno derivante dalle suddette attività, in caso di comportamento doloso o colposo".
La riparazione del danno secondo il secondo comma dell'art. 298 bis: "deve avvenire nel rispetto dei princÍpi e dei criteri stabiliti nel titolo secondo e nell'allegato 3 alla parte sesta, ove occorra anche mediante l'esperimento dei procedimenti finalizzati a conseguire dal soggetto che ha causato il danno, o la minaccia imminente di danno, le risorse necessarie a coprire i costi relativi alle misure di riparazione da adottare e non attuate dal medesimo soggetto".

Misure e obblighi per la riparazione del danno

Sempre l'art. 25 della legge Comunitaria ha poi profondamente modificato il secondo e il terzo comma dell'art. 311 del Codice dell'Ambiente.
Al secondo comma, in pratica, si statuisce che: "quando si verifica un danno ambientale", sia che venga cagionato dagli operatori le cui attività sono elencate nell'allegato 5, sia che venga provocato anche da "chiunque altro cagioni un danno ambientale con dolo o colpa", i danneggianti sono obbligati primariamente "all'adozione delle misure di riparazione di cui all'allegato 3 alla medesima parte sesta secondo i criteri ivi previsti".
Solamente nel caso in cui: "quando l'adozione delle misure di riparazione anzidette risulti in tutto o in parte omessa, o comunque realizzata in modo incompleto o difforme dai termini e modalità prescritti, il ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio determina i costi delle attività necessarie a conseguirne la completa e corretta attuazione, e agisce nei confronti del soggetto obbligato per ottenere il pagamento delle somme corrispondenti" (la possibilità di chiedere la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, del resto, secondo la Suprema Corte, deve intendersi compresa, sebbene non espressamente formulata, nella generica domanda di risarcimento del danno: Cass. 10.12.2012 n. 22382).
Al terzo comma dell'art. 311 viene poi previsto che: "Il ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio provvede in applicazione dei criteri enunciati negli allegati 3 e 4 della presente parte sesta alla determinazione delle misure di riparazione da adottare, e provvede con le procedure di cui al presente titolo terzo all'accertamento delle responsabilità risarcitorie".

Valutazione economica e responsabilità individuale
I criteri e i metodi, anche di valutazione monetaria, per determinare la portata delle misure di riparazione complementare e compensativa verranno definiti: "con decreto del ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio, sentito il ministro dello Sviluppo Economico, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 in conformità a quanto previsto dal punto 1.2.3 dell'allegato 3".
Tali criteri e metodi dovranno essere applicati: "anche ai giudizi pendenti non ancora definiti con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore del decreto, di cui al periodo precedente" (sulla portata retroattiva anche dei criteri individuati dalla precedente versione dell'art. 311 secondo comma del Codice dell'Ambiente vedi Cass. 22.03.2011 n. 6551).
Il Legislatore, infine, ha ribadito nell'ultima parte dell'art. 311 il principio importantissimo della responsabilità individuale (e non solidale) del c.d. danno ambientale: "nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità personale. Il relativo debito si trasmette, secondo le leggi vigenti, agli eredi, nei limiti del loro effettivo arricchimento".

Avv. Marco Rodolfi, Studio legale Mrv

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