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È nato prima l’uomo (e la donna) o il digitale?

La scelta di Intesa Sanpaolo di inserire due giovani top manager, provenienti da esperienze di innovazione in ambito bancario, mostra che per cambiare le cose serve soprattutto l’approccio umano

È nato prima l’uomo (e la donna) o il digitale? hp_vert_img
Il 17 marzo Intesa Sanpaolo ha annunciato l’ingresso di due top manager, una donna e un uomo, entrambi 41enni e ingegneri.
Lei è Claudia Vassena, ex head di Buddybank, modello di banca conversazionale di Unicredit, sarà responsabile della direzione Sales & Marketing Digital Retail.
Lui è Antonio Valitutti, ex ceo di Hype, la prima challenger bank che ha come azionisti illimity e Banca Sella, sarà responsabile della direzione Isybank, la nuova banca digitale di Intesa Sanpaolo.
Che Intesa Sanpaolo facesse sul serio sul fronte digital banking non l’ho mai dubitato, ma l’ingresso di due top manager, entrambi millennial, provenienti dall’esterno, mi ha fatto fare una serie di riflessioni.
Il sistema bancario cosiddetto tradizionale, già sofferente da anni, ha subito un colpo quasi mortale dalla pandemia, che ha fatto fare agli italiani un balzo in avanti di almeno cinque anni nell’uso del digitale anche (ma non solo) nella relazione con la banca, si pensi al boom di acquisti online.
Tutte le banche, da Intesa Sanpaolo a Unicredit, passando da Bnl Bnp Paribas, hanno presentato piani industriali caratterizzati da investimenti di decine di milioni nel digitale.
Le banche hanno dunque deciso, meglio tardi che mai, di passare da una posizione di difesa a una di attacco, non solo rispetto alle reti dei consulenti finanziari e alle banche online (che sono come punture di zanzara per un elefante), ma rispetto ai quasi 2.000 miliardi impantanati in liquidità nei conti correnti.
Le banche non riescono a intercettare questa enorme massa di denaro parcheggiata nei loro conti correnti, pur sapendo che trasformarla in risparmio gestito sarebbe più remunerativo per loro e per i risparmiatori, perché con l’attuale modello il cosiddetto cost to serve sarebbe proibitivo.
L’attuale modello di servizio si basa infatti, con poche eccezioni, su gestori mediamente poco o per nulla motivati, scarsamente incentivati, residenti in filiali ingolfate da un eccesso di pratiche che rende la gestione dell’operatività troppo complessa. In questo contesto, la scelta di attrarre dall’esterno giovani talenti è per certi versi coraggiosa e certamente non tanto scontata.
Reclutare talenti esterni soprattutto nelle posizioni apicali potrebbe infatti risultare destabilizzante sia per gli equilibri interni alla banca, da sempre vivaio di giovani talenti, sia per quelli esterni: chissà infatti come e se reagiranno Unicredit, che controlla Buddybank, illimity e Banca Sella, azionisti di Hype?
Certamente i due giovani manager avranno lasciato nelle rispettive realtà da cui provengono chi saprà più che degnamente sostituirli, ma se così non fosse? 
Se così non fosse, partirebbe una bellissima gara alla rincorsa dei migliori talenti nelle fintech italiane e non solo: l’industria bancaria si trasformerebbe così da bella addormentata in una principessa risvegliatasi dopo un lungo torpore.
Siamo dunque ancora così sicuri che la cosiddetta rivoluzione digitale, che cambierà il mondo almeno per come lo conosciamo oggi, con l’intelligenza artificiale, il machine learning e gli algoritmi, possa fare a mano dell’intelligenza umana?
Parafrasando il paradosso che si interroga se sia nato prima l’uovo o la gallina, potremmo chiederci se sono nati prima l’uomo e la donna o il digitale?
La risposta ce l’ha data la più grande banca italiana. 

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